CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 27300 depositata il 25 settembre 2023
Tributi – IRPEG – Aliquota agevolata – Istanza di rimborso – Accoglimento
Fatti di causa
1. La Fondazione C.R.C., titolare del 21 per cento delle azioni della C.R.C. s.p.a., per gli esercizi compresi tra il (…) ed il (…), sul presupposto del perseguimento di fini di interesse collettivo ed utilità sociale, vantava il diritto all’applicazione ai fini Irpeg dell’aliquota agevolata prevista dal d.p.r. 29 settembre 1973, n. 601, art. 6.
In particolare, la contribuente, in qualità di ente originatosi a seguito dell’operazione di scorporo e conferimento dell’azienda bancaria già di proprietà della C.R.C., assumeva di aver cessato l’attività bancaria, per altro preclusa dallo Statuto, e di perseguire fini di interesse collettivo e utilità sociale. Per l’effetto, per alcuni esercizi procedeva ab origine a liquidare i propri debiti tributari secondo l’aliquota agevolata, mentre per altre annualità applicava prima l’aliquota piena e poi, in sede di dichiarazione integrativa quella agevolata, presentando, conseguentemente, istanza di rimborso.
L’Ufficio non provvedeva al rimborso e, a seguito di sollecito, con separati provvedimenti del 24 ottobre 2008, oggetto di ricorso, negava espressamente il diritto a beneficiare dell’aliquota ari al 18,5 per cento di cui all’art. 6 cit.
2. La contribuente, questa volta con riferimento ai soli anni di imposta (…) e (…), presentava ulteriore istanza di rimborso del credito Irpeg, determinato, tuttavia, in ragione dell’applicazione dell’aliquota ordinaria del 37 per cento.
Su detta istanza si formava il silenzio-rifiuto, oggetto di ulteriore ricorso da parte della contribuente.
3. Il giudizio avente ad oggetto i provvedimenti del 24 ottobre 2008 veniva deciso dalla C.t.p. di Cuneo in senso favorevole alla contribuente.
La C.t.r., in riforma della sentenza di primo grado, escludeva il diritto all’agevolazione per la sola annualità (…) (sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, n. 48/29/11 depositata il 14 giugno 2011).
Detta sentenza veniva cassata con rinvio alla C.t.r. con la seguente motivazione: “affinché provveda a un nuovo esame della controversia, verificando se la Fondazione abbia dimostrato di avere in concreto svolto un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale anziché, attraverso il controllo e governo delle partecipazioni nella conferitaria C.R.C. s.p.a., un’attività di impresa bancaria, con riferimento sia al periodo d’imposta (…), sia a ciascuno dei periodi d’imposta (…); per i quali ultimi periodi, la questione dello svolgimento di un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale – rimasta assorbita dall’accoglimento della tesi che gli impugnati provvedimenti di diniego dei rimborsi richiesti per tali periodi violavano il d.l. n. 269 del 2003, art. 10 e l. n. 212 del 2000, art. 10 – potrà essere riproposta davanti alla stessa CTR” (Cass. 11/08/2020, n. 16906).
La C.t.r., pronunciandosi in sede di rinvio, confermava la sentenza della C.t.p di accoglimento del ricorso e riconosceva il diritto all’aliquota agevolata per tutte le annualità oggetto di giudizio.
Avverso detta ultima ricorre (ricorso n. 19826 del 2022) l’Agenzia delle Entrate e la Fondazione resiste con controricorso.
4. Nel secondo giudizio – avente ad oggetto il silenzio rifiuto avverso l’istanza di rimborso formulata in ragione dell’applicazione dell’aliquota ordinaria – la C.t.p. accoglieva il ricorso limitatamente al credito per l’anno di imposta (…), mentre sospendeva il giudizio ex art. 295 c.p.c. quanto al credito per l’anno di imposta (…). Assumeva, infatti, che solo quanto all’annualità (…) il giudizio già pendente tra le parti, e giunto in Cassazione non avesse ad oggetto il rimborso della minor somma pretesa in ragione dell’aliquota ordinaria ma solo l’eventuale riconoscimento della maggior somma pretesa applicando l’aliquota ridotta.
La C.t.r., pronunciandosi sull’appello di entrambe le parti, accoglieva il ricorso della contribuente anche per l’anno di imposta (…) di cui disponeva il rimborso secondo quanto dovuto in ragione dell’applicazione dell’aliquota ordinaria.
In primo luogo assumeva che l’altro giudizio (nelle more giunto in Cassazione ed ivi pendente) aveva ad oggetto il diritto all’applicazione dell’aliquota agevolata, mentre il giudizio pendente innanzi a sé aveva ad oggetto, per entrambe le annualità, il rimborso di quanto dovuto facendo applicazione dell’aliquota ordinaria. Evidenziava in proposito che la motivazione del diniego impugnato nell’altro giudizio faceva esclusivo riferimento alla non spettanza dell’aliquota ridotta e che la C.t.r. (sent. N. 49 del 2011) si era pronunciata esclusivamente quanto a quest’ultima.
Nel merito del diritto al rimborso, assumeva che l’Ufficio non aveva né allegato né dimostrato di aver rettificato la dichiarazione della contribuente e che, pertanto, gli importi ivi esposti dovevano ritenersi incontestati.
Avverso detta ultima sentenza ricorre (ricorso n. 2198 del 2020) l’Agenzia delle entrate e la Fondazione resiste con controricorso.
5. All’udienza pubblica del 28 marzo 2023, alla quale veniva chiamato il solo ricorso n. 2198/2020, le parti hanno versato in atti accordo stragiudiziale del 29 ottobre 2020. In quest’ultimo davano atto che la somma chiesta a rimborso nel primo ricorso era comprensiva anche di quella chiesta a rimborso nel secondo ricorso; per l’effetto, nella pendenza del ricorso per cassazione n. 2198 del 2020, la Fondazione si impegnava a non agire in ottemperanza in caso di esito favorevole del giudizio di riassunzione dell’altra controversia, nonché di rinunciare ad una parte del rimborso spettante nel caso in cui fosse divenuta definitiva la statuizione contenuta nella sentenza della C.t.r.
A quella udienza veniva disposto rinvio a nuovo ruolo del ricorso 2198 del 2020 per la trattazione congiunta con il ricorso n. 19826 del 2022.
6. In data 08 settembre 2023 la società contribuente ha depositato in entrambi i giudizi memorie ex art. 378 c.p.c.
Nella stessa data l’Agenzia delle Entrate ha depositato memoria nel solo giudizio n. 19826 del 2022.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente, deve disporsi la riunione dei ricorsi in quanto tra le due cause si configura un rapporto di continenza. Infatti, l’una ha ad oggetto la domanda di rimborso di parte dell’Irpeg corrisposta dal 1994 al 1999 su presupposto dell’applicabilità dell’aliquota agevolata d.p.r. n. 601 del 1973, ex art. 6. L’altra, ha ad oggetto la domanda di rimborso dell’Irpeg, calcolata su medesimo imponibile, per le sole annualità dal (…), sul presupposto dell’applicabilità dell’aliquota ordinaria.
1.1. A seguito della riunione dei due ricorsi la domanda di rimborso, per sole due annualità e per somma minore, derivante dall’applicazione dell’aliquota ordinaria si pone in posizione logicamente subordinata rispetto alla domanda di rimborso spiegata per tutte le annualità ed in ragione della pretesa applicazione dell’aliquota ridotta. Tanto è, altresì, conforme a quanto dichiarato dalle parti nell’accordo stragiudiziale, sebbene quest’ultimo, stante il suo contenuto, non ha definito la controversia.
2. Nel ricorso n. 2198 del 2020 l’Agenzia delle entrate propone due motivi.
2.1. Con il primo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 c.p.c. richiamato dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1 comma 2.
Assume che la causa è identica, oggettivamente e soggettivamente a quella precedentemente introdotta avverso il diniego espresso in quanto le istanze respinte dall’Ufficio nel 2008 avevano ad oggetto il rimborso, sia della somma minore derivante dall’applicazione dell’aliquota del 37 per cento che della somma maggiore derivante dall’applicazione dell’aliquota agevolata del 18,5 per cento di cui al d.p.r. n. 601 del 1973, art. 6. Aggiunge che la motivazione del diniego (nella quale si era esclusa la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione dell’aliquota agevolata) era del tutto irrilevante. Censura, per l’effetto, la sentenza impugnata per non aver dichiarato la litispendenza, sul presupposto che l’altro giudizio avesse ad oggetto esclusivamente la questione dell’aliquota ridotta, e per non aver disposto la cancellazione dal ruolo.
2.2. Con il secondo motivo l’Ufficio denuncia, in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 la violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 602 del 1973, art. 41 comma 2.
La ricorrente assume che, diversamente da quanto deciso dalla C.t.r., la mancata rettifica della dichiarazione non comportava alcuna decadenza dal potere di negare il rimborso.
2.3. Il primo motivo è inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse stante la riunione disposta in questa sede.
2.4. Il secondo motivo è fondato.
2.4.1. Il credito d’imposta esposto dal contribuente nella propria dichiarazione non si consolida con lo spirare del termine previsto per il controllo della stessa o qualora l’amministrazione sia decaduta dal potere di accertamento e rettifica d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 43 atteso che detti termini di decadenza operano solo con riferimento alla pretesa erariale e non anche rispetto al potere del Fisco di contestare il credito fatto valere dal contribuente; tale principio non viola il diritto di difesa di quest’ultimo, il quale può impugnare in sede giurisdizionale il silenzio dell’amministrazione che non dia seguito all’istanza di rimborso, al fine di ottenere una pronuncia di accertamento del proprio credito (Cass., sez. un., 15/03/2016, n. 5069, richiamata da Cass. 29/07/2021, n. 21766, Cass. 19/10/2022, n. 30804, Cass. 6/02/2019, n. 3404, Cass. Cass. 31/01/2018, n. 2392).
2.4.2. La C.t.r. non si è attenuta a questi principi in quanto ha affermato in sentenza che “L’Ufficio non asserisce e non dimostra di aver rettificato tale dichiarazione e pertanto gli importi esposti in dichiarazione devono ritenersi incontestati”.
2.4.3. Va disatteso l’assunto della contribuente secondo cui la C.t.r. avrebbe inteso affermare che i crediti erano incontestati (e non incontestabili per decadenza) in quanto l’ente impositore non aveva sollevato né prima dell’instaurazione del giudizio né nel giudizio alcuna contestazione in ordine agli stessi. Tale interpretazione del decisum non trova conforto nel tenore letterale della motivazione come sopra riportata e trova smentita nella stessa sentenza, ove, nella parte relativa allo svolgimento del processo, si legge che l’Ufficio aveva eccepito l’impedimento al rimborso per carichi pendenti d.lgs. n. 472 del 1997, ex art. 23 oltre che in ragione della litispedenza.
3. Nel ricorso n. 19826 del 2022 l’Agenzia delle Entrate propone tre motivi.
3.1. Con il primo motivo l’Ufficio denuncia, in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 601, art. 6; d.lgs. 30 settembre 1990, n. 356, artt. 1, 12, 13, 14; artt. 107 e 108 T.F.U.E.; art. 2697 c.c..
Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che la Fondazione Cuneo appartenesse agli enti di cui all’art. 6 D.P.R. cit. per il solo fatto che aveva provato di avere erogato somme a finalità sociali; che per ciò solo avesse perduto i connotati, tutt’altro che non profit, dell’ente conferente ex d.lgs. n. 356 del 1990. Precisa che, invece, il perseguimento di quelle finalità statutarie era tipico proprio degli enti conferenti, ma si collegava ed era assorbito dalle altre finalità, creditizie e pubblicistiche, sopra delineate, sicché non era certo sufficiente a trasformare un soggetto bancario in una istituzione benefica, sociale o culturale come quelle contemplate dall’art. 6. Aggiunge che la C.t.r. ha violato nel norme sull’onere della prova ponendolo erroneamente a carico dell’Ufficio.
3.2. Con il secondo motivo l’Ufficio denuncia, in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36 comma 2, n. 4, per omissione totale di motivazione.
Assume che la sentenza nel punto di fatto decisivo concernente l’attività svolta dalla Fondazione Cuneo, sia in concreto che a termini di statuto, è viziata da omissione totale di motivazione.
3.3. Con il terzo motivo l’Ufficio denuncia, in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di punti di fatto decisivi e controversi ravvisati nel “tipo di attività che la Fondazione svolgeva: se attività complessa di vero “ente conferente”, cioè di controllo e indirizzo gestionale della banca partecipata, da un lato, e di erogazione per finalità sociali, dall’altro; o, invece, attività meramente di promozione e sostegno di talune attività socialmente utili, senza alcuna finalità lucrativa e senza alcuna possibilità legale e di fatto di influenzare la gestione della banca partecipata, tale che il possesso di questa costituiva per l’ente un mero cespite patrimoniale detenuto in modo passivo”.
3.4. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso e, in particolare, del primo motivo, sollevata dalla società contribuente la quale assume che le censure, apparentemente rivolte alla sentenza impugnata, mirerebbero, in realtà, a rimettere in discussione quanto statuito da questa Corte con la sentenza di rinvio.
Questa Corte, come riportato nella parte espositiva, demandava alla C.t.r. di accertare in concreto se la contribuente, per tutti gli anni di imposta dal 1994 al 1999 avesse svolto un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale anziché – attraverso il controllo e governo delle partecipazioni nella conferitaria C.R.C. s.p.a. – un’attività di impresa bancaria. Più precisamente, a seguito della disamina del decimo motivo di ricorso incidentale, la sentenza di rinvio precisava che “la possibile fruizione per le fondazioni bancarie della agevolazione di cui al D.Lgs. n. 601 del 1973, art. 6 dipende dalla dimostrazione, di cui detti enti sono onerati, di avere in concreto svolto per l’anno di imposta rilevante un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale, anziché avere indirettamente esercitato, attraverso il controllo e il governo delle partecipazioni nella società conferitaria una attività di impresa bancaria”.
Con il primo motivo l’Ufficio assume che, nel compiere tale disamina, la C.t.r. ha violato le norme riportate in epigrafe, avendo ritenuto che il solo fatto di aver erogato somme per finalità sociali consentisse di ricondurre la Fondazione agli enti di cui al d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, art. 6. La censura, pertanto, lungi da disattendere quanto statuito nella sentenza di rinvio, si pone correttamente nel solco di quest’ultima.
3.5. I motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.
3.5.1. Non è controverso che la contribuente rientra tra fondazioni bancarie risultate dal conferimento delle aziende di credito in società per azioni ai sensi della c.d. riforma Amato di cui alla L. 30 luglio 1990, n. 218 e del d.lgs. 20 novembre 1990, n. 356.
3.5.2. La sentenza di rinvio emessa da questa Corte riprende il principio espresso dalle Sezioni Unite, e successivamente consolidato, secondo cui la possibile fruizione, per dette fondazioni – anteriormente alla cosiddetta riforma Ciampi di cui alla l. 23 dicembre 1998, n. 461 e al d.lgs. 17 maggio 1999, n. 153 che ha completato la riforma del sistema bancario – dell’agevolazione di cui al D.Lgs. n. 601 del 1973, art. 6 richiede la dimostrazione, di cui detti enti sono onerati in base al comune regime della prova ex art. 2697 c.c., di avere in concreto svolto un’attività, “per l’anno d’imposta rilevante”, di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale, anziché quella di controllo e governo delle partecipazioni bancarie (Cass., sez. un., 22/01/2009, n. 1576; Cass. 5/07/2013, n. 16842; Cass. 20/04/2016, n. 7882; Cass. 11/05/2017, n. 11648).
Tale orientamento, a propria volta, è in linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE che, chiamata a pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da questa Corte, dopo aver precisato che costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato e che nell’ambito del diritto della concorrenza il concetto di impresa comprende qualsiasi ente che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento ha statuito che, in linea di principio, il semplice possesso di partecipazioni, anche di controllo, non è sufficiente a configurare un’attività economica del soggetto che detiene tali partecipazioni, ove tale possesso comporti solo l’esercizio dei diritti connessi alla qualità di azionista o socio nonché, eventualmente, la percezione dei dividendi; che, invece, un soggetto che, titolare di partecipazioni di controllo in una società, eserciti effettivamente tale controllo partecipando direttamente o indirettamente alla gestione di essa, deve essere considerato partecipe dell’attività economica svolta dall’impresa controllata e, quindi dev’essere considerato, a tale titolo, un’impresa. Osserva in proposito la Corte UE che la semplice suddivisione di un’impresa in due enti distinti, uno con il compito di svolgere direttamente l’attività economica precedente e il secondo con quello di controllare il primo, intervenendo nella sua gestione, consentirebbe di eludere le norme comunitarie sugli aiuti di Stato in quanto l’ente controllante potrebbe beneficiare di sovvenzioni o di altri vantaggi concessi dallo Stato e di utilizzarli in tutto o in parte a beneficio dell’impresa controllata, sempre nell’interesse dell’unità economica costituita dai due enti (Corte giustizia 10/01/2006, n. 222 causa C-222/04).
Le Sezioni Unite della Corte hanno precisato che la c.d. riforma Amato ha previsto un tipo di ente, nuovo nel nostro panorama legislativo, difficile da classificare, ma comunque con caratteristiche che non si conciliano con quelle degli enti elencati nel d.p.r. n. 601 del 1973, art. 6 ed hanno precisato che, all’evidenza, gli enti conferenti, fino a quando hanno amministrato in regime pubblicistico le partecipazioni nelle società conferitarie, hanno svolto essenzialmente e/o prevalentemente una vera e propria attività di gestione pubblica dell’impresa bancaria privatizzata rapportabile all’attività delle holding.
E’ da escludere, pertanto, che l’attività delle fondazioni sia finalizzata al perseguimento di obbiettivi sociali, meritevoli di agevolazioni in quanto gli enti in questione non hanno alcuna somiglianza con quelli ammessi alle agevolazioni.
3.5.3. Sul piano processuale ne deriva l’esistenza di una vera e propria presunzione di esercizio dell’attività di impresa bancaria in capo a coloro che in ragione della entità della partecipazione al capitale sociale sono in grado di influire sull’attività dell’ente creditizio, per accedere al beneficio invocato.
Punto centrale dell’orientamento di questa Corte è che la Fondazione bancaria, per poter beneficiare dell’aliquota ridotta di cui all’art. 6 cit., è gravata dell’onere di provare di non aver svolto attività bancaria nemmeno in forma indiretta. Infatti, ciò che trasforma la mera detenzione di partecipazioni in esercizio di attività d’impresa è il controllo della fondazione sull’attività della banca e quest’ultimo non è dipendente dal tipo di partecipazione detenuta (di maggioranza o non), ma si qualifica in relazione alle modalità di gestione delle partecipazioni e ai rapporti che intercorrono fra la banca e la fondazione.
Non e’, pertanto, condivisibile l’assunto di cui alla memoria della parte contribuente secondo cui nessun ulteriore accertamento potrebbe essere demandato al giudice del merito per mancanza di contestazione. Per altro, sul punto, deve richiamarsi quanto già espresso in accoglimento del secondo motivo del ricorso n. 2198 del 2020.
3.6. La sentenza impugnata non è conforme a questi principi; non ha esaminato la questione rilevante relativa allo svolgimento di attività bancaria in forma indiretta; ha reso in ordine alla natura dell’attività svolta, motivazione meramente apparente.
La C.t.r. non ha verificato se la contribuente avesse fornito la prova di non svolgere anche indirettamente attività di impresa. La stessa, infatti, si è limitata ad accertare che la Fondazione aveva impiegato per gli anni in questione una consistente parte della risorse per attività di promozione sociale e culturale. Tale circostanza, tuttavia, non è determinante perché, laddove si accedesse all’interpretazione dell’art. 6 sottesa a tale statuizione, si finirebbe con il riconoscere il beneficio in ragione del mero status di Fondazione, così disattendendo sia la sentenza di rinvio che le Sezioni Unite che ne costituiscono l’antecedente.
Ha errato, inoltre, nell’affermare che spettava all’Ufficio dimostrare che “al di là della generale affermazione di una presunzione di attività di impresa per il solo fatto di possedere il pacchetto azionario della conferitaria, di quale potrebbe essere stata l’attività di impresa diretta od indiretta esercitata dalla Fondazione”. Così motivando, si è discostata dai principi affermati da questa Corte, ovvero che opera una vera e propria presunzione di esercizio dell’attività di impresa bancaria in capo a coloro che in ragione della entità della partecipazione al capitale sociale sono in grado di influire sull’attività dell’ente creditizio e che, per poter beneficiare dell’aliquota ridotta di cui all’art. 6 cit., spetta alla Fondazione provare di non averla svolta nemmeno in forma indiretta.
Ancora, la C.t.r non ha compiuto alcuna indagine in ordine all’esercizio indiretto dell’attività bancaria, sebbene l’Ufficio nelle sue controdeduzioni all’atto di riassunzione (riportate in ricorso) avesse evidenziato gli elementi dai quali poteva piuttosto desumersi il contrario.
Infine, la C.t.r. ha escluso l’esercizio di attività bancaria affermando testualmente che: “il restante delle risorse viene utilizzato per: spese di gestione, accantonamenti per futuri aumenti di capitale della conferitaria, per riserve statutarie e per il fondo di partecipazione per futuri aumenti di capitale (peraltro mai avvenuto)” assumendo che si tratterebbe di “spese che non rappresentano attività alcuna da parte della Fondazione”; non ha spiegato, tuttavia, le ragioni di detta ultima affermazione, ovvero le ragioni che la inducevano ad escludere che tale impiego potesse essere indice di esercizio indiretto dell’attività bancaria.
4. In conclusione, entrambi i ricorsi vanno accolti nei termini di cui in motivazione e le sentenze impugnate vanno cassate con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte. Quest’ultima dovrà accertare, ove ritenuto opportuno anche disponendo consulenza tecnica d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 7 se la Fondazione, attraverso la proprietà del capitale della società bancaria conferitaria, abbia esercitato per ciascuno degli anni di imposta cui si riferisce l’istanza di rimborso, i poteri connessi al possesso del pacchetto azionario di controllo, così gestendo, sia pure indirettamente, l’impresa bancaria; conseguentemente, dovrà pronunciarsi in via principale sulla domanda di rimborso delle somme determinate in applicazione dell’aliquota agevolata e, in caso di esclusione dei presupposti di cui al d.p.r. n. 601 del 1973, art. 6 sulla domanda di rimborso delle somme pretese in ragione dell’applicazione dell’aliquota ordinaria. Dovrà pronunciarsi, altresì, anche sulle spese dei giudizi di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie i ricorsi nei termini di cui in motivazione; cassa le sentenze impugnate e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese dei giudizi di legittimità.
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