CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 31368 depositata il 10 novembre 2023
Lavoro – Pensione di inabilità civile – Revoca – Divieto di retroattività della legge penale – Rapporto di lavoro fittizio a copertura di attività illecite – Legge n. 92/2012 – Momento di passaggio in giudicato della sentenza di condanna – Accoglimento
Fatti di causa
Con sentenza n. 554 del 2018, la Corte d’appello di L’Aquila ha rigettato, salvo quanto al profilo della condanna alle spese che ha compensato, l’impugnazione proposta dall’INPS nei confronti di L.S. avverso la sentenza di primo grado che aveva ritenuto illegittimo il provvedimento di revoca della pensione di inabilità civile, operata nei confronti dello stesso S. in applicazione dell’art. 2, comma 61, l. n. 92 del 2012.
La Corte territoriale ha confermato l’interpretazione del comma 61 citato seguita dal Tribunale, nel senso che lo stesso vada applicato solo alle fattispecie in cui la sentenza di condanna relativa ai reati menzionati sia passata in giudicato sin dalla data di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012 o nei tre mesi successivi, mentre il comma 58, dello stesso articolo 2, si applicherebbe solo nell’ipotesi di sentenza penale di condanna pronunciata dopo l’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012.
La Corte d’appello, sul presupposto che lo S. era stato condannato con sentenza della Corte d’appello di Bari per uno dei reati di cui al comma 58 in data 10.11.2011 e che la sentenza era passata in giudicato il 30.5.2013, ha ritenuto che tale situazione sfuggisse alla previsione sia del comma 58 (relativo alle sentenze pronunciate dopo il 18 luglio 2012) che del comma 61 (relativo alle condanne passate in giudicato alla data di entrata in vigore della legge o nei tre mesi successivi).
Una diversa interpretazione, infatti, avrebbe violato il divieto di retroattività della legge penale data la natura comunque sanzionatoria della revoca.
Tale interpretazione, ad avviso della sentenza impugnata, non realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra persone condannate per i medesimi reati di forte allarme sociale, essendo tipica espressione di discrezionalità legislativa.
Avverso tale sentenza, l’INPS ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
Resiste L.S. con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
La Procura Generale ha rassegnato conclusioni scritte ai sensi dell’art. 23, comma 8 bis d.l. n. 137/2020, come conv. dalla legge n. 176 del 2020
La causa è stata chiamata alla presente udienza pubblica a seguito del rinvio a nuovo ruolo disposto il 20 aprile 2022 in ragione della pendenza di questione di costituzionalità riferita alla normativa applicabile.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di ricorso, l’INPS denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, commi 58-61- della legge n. 92 del 2012, in relazione all’art. 360, primo comma n.3), c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto illegittima la revoca della pensione di inabilità di cui alla legge n. 118 del 1971, disposta dall’INPS nei riguardi del controricorrente a seguito della inclusione del medesimo nell’elenco trasmesso dal Ministero della giustizia riferito ai soggetti già condannati con sentenza passata in giudicato per i reati di cui al comma 58, per i quali la legge prevede la revoca, con effetto non retroattivo, delle prestazioni di cui al comma 58, primo periodo, del medesimo articolo.
Sostiene il ricorrente che l’interpretazione della disposizione richiamata sia errata in ragione del fatto che l’inserimento del nominativo del condannato nell’elenco trasmesso dal Ministero della Giustizia, proprio ai sensi del comma 61 del citato art. 2, costituisce la premessa vincolata della materiale revoca della prestazione, senza che l’INPS possa esprimere propria diversa valutazione.
Peraltro, non sarebbe in discussione il rispetto del principio della irretroattività delle norme penali (artt. 25 Cost., 2 c.p.), dal momento che la misura non opera che per i ratei successivi alla revoca e sul presupposto che sia stata pronunciata la sentenza di condanna passata in giudicato, relativa ai reati indicati dal comma 58 cit. Precisamente si tratta dei reati di particolare allarme sociale previsti e puniti dagli articoli 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter e 422 del codice penale, nonché dei delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo.
Il motivo è fondato.
La questione prospettata riguarda l’ambito temporale di estensione della norma introdotta dal comma 2, artt. 58-61, con particolare riguardo alle ipotesi di sentenza di condanna pronunciata prima dell’entrata in vigore della normativa stessa il cui passaggio in giudicato è avvenuto successivamente ai tre mesi dall’entrata in vigore della disposizione.
Il testo della legge è il seguente:
<[…]58. Con la sentenza di condanna per i reati di cui agli articoli 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter e 422 del codice penale, nonché per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, il giudice dispone la sanzione accessoria della revoca delle seguenti prestazioni, comunque denominate in base alla legislazione vigente, di cui il condannato sia eventualmente titolare: indennità di disoccupazione, assegno sociale, pensione sociale e pensione per gli invalidi civili. Con la medesima sentenza il giudice dispone anche la revoca dei trattamenti previdenziali a carico degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, ovvero di forme sostitutive, esclusive ed esonerative delle stesse, erogati al condannato, nel caso in cui accerti, o sia stato già accertato con sentenza in altro procedimento giurisdizionale, che questi abbiano origine, in tutto o in parte, da un rapporto di lavoro fittizio a copertura di attività illecite connesse a taluno dei reati di cui al primo periodo. […] 59. I condannati ai quali sia stata applicata la sanzione accessoria di cui al comma 58, primo periodo, possono beneficiare, una volta che la pena sia stata completamente eseguita e previa presentazione di apposita domanda, delle prestazioni previste dalla normativa vigente in materia, nel caso in cui ne ricorrano i presupposti. 60. I provvedimenti adottati ai sensi del comma 58 sono comunicati, entro quindici giorni dalla data di adozione dei medesimi, all’ente titolare dei rapporti previdenziali e assistenziali facenti capo al soggetto condannato, ai fini della loro immediata esecuzione. 61. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della giustizia, d’intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, trasmette agli enti titolari dei relativi rapporti l’elenco dei soggetti già condannati con sentenza passata in giudicato per i reati di cui al comma 58, ai fini della revoca, con effetto non retroattivo, delle prestazioni di cui al medesimo comma 58, primo periodo>>.
La sentenza impugnata ha ritenuto che la sanzione accessoria sia modulata differentemente con riguardo alle ipotesi di sentenza di condanna pronunciata dopo l’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, posto che in questo caso la misura è adottata (ex comma 58) contestualmente alla condanna, e con riguardo alle ipotesi di sentenze di condanna già passate in giudicato al momento di entrata in vigore della legge.
In questo ultimo caso, in particolare, la revoca, come previsto dal comma 61, avrebbe efficacia ex nunc ma solo per i condannati con sentenza passata in giudicato entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge, come dimostrerebbe il meccanismo della trasmissione degli elenchi delle persone condannate, compilato dal Ministero della Giustizia, agli Enti erogatori delle prestazioni indicate.
In definitiva, l’indicazione del periodo di tempo di tre mesi successivi all’entrata in vigore della legge, pur se testualmente riferito alla trasmissione degli elenchi sopra indicati, avrebbe la valenza di una disposizione selettiva della platea dei destinatari della misura con l’effetto di escludere che la stessa possa applicarsi alle ipotesi di passaggio in giudicato della sentenza di condanna pronunciata prima dell’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, ma passata in giudicato oltre tale periodo di tre mesi.
Questa interpretazione non può essere condivisa per plurime ragioni.
In primo luogo, è vero che l’art. 2, comma 58, l. n. 92 del 2012 regola l’applicazione della sanzione a regime, mentre il comma 61 disciplina un aspetto transitorio, ma non è vero che ciò autorizzi una interpretazione complessiva che escluda dall’applicazione (sempre con effetti ex nunc) della sanzione accessoria alcuni tra i condannati per i quali la sentenza sia passata in giudicato, del tutto casualmente, oltre il termine di tre mesi che la legge ha assegnato al Ministero della Giustizia per provvedere alla formazione degli elenchi dei condannati con sentenza definitiva, da trasmettere agli Enti erogatori.
Tale interpretazione, all’evidenza, non è giustificata dal testo e non è sorretta da alcuna forma di ragionevolezza, posto che la scelta del legislatore è stata chiaramente quella di estendere la misura della revoca, con effetti ex nunc, anche ai soggetti condannati in via definitiva al momento di entrata in vigore della legge e sino alla espiazione della pena. Mentre il termine di tre mesi è norma di azione, rivolta al Ministero competente per avviare il meccanismo amministrativo di operatività della revoca e certamente non può assolvere alla funzione selettiva che la sentenza impugnata le ha assegnato.
Peraltro, quanto al rilievo da attribuire alla circostanza che solo nel comma 61 si faccia cenno ai soggetti condannati con sentenza passata in giudicato, va osservato che il comma 58, prevedendo che sia lo stesso giudice che pronuncia la condanna ad applicare la sanzione, non avrebbe potuto logicamente fare riferimento al passaggio in giudicato della stessa pronuncia.
Di contro, la stabilizzazione della revoca per tutta la durata dell’espiazione in carcere della pena (vd. Corte Cost. n. 137 del 2021 che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale della disposizione) postula logicamente che la sentenza sia passata in giudicato ed alla stessa sia stata data esecuzione in regime di restrizione carceraria.
E’ dunque da condividere la conclusione cui è giunta la Procura generale nel senso dell’accoglimento del motivo in quanto l’interpretazione adottata dai giudici di merito non pare ragionevole, restando esclusa l’applicazione della normativa solo in ragione del momento di passaggio in giudicato della sentenza di condanna, in un contesto in cui tale momento non è in alcun modo rilevante ai fini dell’adozione della revoca.
L’interpretazione qui affermata, che non consente di limitare l’applicazione della misura nei casi di sentenze di condanna per i reati previsti dal comma 58 comunque passate in giudicato successivamente all’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, è coerente anche con la giurisprudenza costituzionale nel frattempo intervenuta.
In particolare, Corte Costituzionale n. 169 del 2023 ha affermato che <il ripetuto richiamo alla pena in esecuzione (il comma 59 fa riferimento all’espiazione della pena; il comma 60 alla immediata esecuzione dei provvedimenti di cui al comma 58 e il comma 61 alle condanne passate in giudicato) – consente un’interpretazione nel senso che anche per il comma 58 la «revoca» operi solo in conseguenza di condanne definitive>.
La Corte Costituzionale, inoltre, dalla ulteriore considerazione degli effetti dell’intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale della norma, di cui alla sentenza n. 137 del 2021, ha tratto la conclusione che < […] la revoca è condizionata all’espiazione della pena in regime carcerario. Non opera invece nei confronti di coloro che scontano la pena in regime alternativo alla detenzione in carcere. Si tratta, quindi, in realtà, di una condizione di erogabilità della prestazione legata alla modalità, in ipotesi anche variabile nel tempo, di espiazione della pena>.
Dunque, è stata colta una simmetria tra il comma 58 ed il successivo comma 61, che pure è stato oggetto della pronuncia di illegittimità costituzionale, negli stessi termini, sicché <la revoca (in sede amministrativa) della prestazione è da intendersi come sospensione della sua erogazione ove si verifichi la condizione dell’espiazione della pena in regime carcerario>.
In definitiva, l’art. 2, commi 58-61, ha introdotto una disciplina che regola in modo analogo sia le fattispecie in cui si è in presenza di pregresse condanne penali, pronunciate prima della data di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, applicando in tali casi la revoca in via amministrativa con effetto non retroattivo, adottata dagli enti titolari dei relativi rapporti (nella specie, dall’INPS), sia quelle (a regime) che vedono la revoca affidata direttamente al giudice penale, quando, a partire dalla data suddetta, pronuncia condanna per uno dei reati indicati al comma 58, anche se commessi prima di essa.
Dunque la revoca della prestazione con efficacia ex nunc, rispettivamente dalla comunicazione dell’ente erogatore della prestazione o dalla condanna pronunciata dal giudice penale, quando divenuta definitiva – rende la stessa non esigibile allorché la pena irrogata è espiata in regime carcerario (sentenza n. 137 del 2021); non verificandosi questo presupposto, come in ipotesi di detenzione domiciliare del condannato, è ripristinata l’erogazione della prestazione.
In definitiva, il motivo di ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata in ordine alla declaratoria di illegittimità dell’applicazione della sanzione accessoria de qua.
Peraltro, la riformulazione sostanziale della fattispecie operata con la sentenza della Corte Costituzionale n. 137 del 2021, essendo venuta meno la revoca/sospensione per chi espia la pena in regime alternativo alla detenzione in carcere, mentre resta vigente per chi espiava la pena in carcere, comporta la necessità, sopravvenuta per ius superveniens rispetto al momento di proposizione anche del ricorso per cassazione, di rinviare la causa alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, affinché, sul presupposto che il controricorrente è compreso tra i destinatari dell’applicazione della misura, proceda ad accertare l’effettiva espiazione in carcere della pena ai fini dell’applicazione dei contenuti della sentenza n. 137 del 2021 della Corte Costituzionale.
Questa Corte di cassazione ha infatti affermato che il mutamento normativo prodotto da una pronuncia d’illegittimità costituzionale, configurandosi come “ius superveniens”, impone, anche nella fase di cassazione, la disapplicazione della norma dichiarata illegittima e l’applicazione della disciplina risultante dalla decisione anzidetta; con l’ulteriore conseguenza che, ove la nuova situazione di diritto obiettivo derivata dalla sentenza d’incostituzionalità richieda accertamenti di fatto non necessari alla stregua della precedente disciplina, questi debbono essere compiuti in sede di merito, al qual fine, ove il processo si trovi nella fase di cassazione, deve disporsi il rinvio della causa al giudice di appello (Cass. n. 34209 del 2019; Cass. n. 4349 del 1995).
La Corte di merito, in sede di rinvio, regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.