Corte di Cassazione sentenza n. 32905 depositata l’ 8 novembre 2022
vizio motivazionale – Il vizio motivazionale, rilevante ai sensi dell’art. 132, 4, cod. proc. civ. (nonché dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, e tale da integrare un’ipotesi di nullità della sentenza, affetta da error in procedendo, ricorre quando la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero, nel caso in cui essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili», nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata – il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle Entrate, ricorre, con due motivi, nei confronti dell’E. s.p.a., e di D.C., in proprio e quale rappresentante legale della prima, che resistono con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe che ha accolto l’appello da questi ultimi proposto avverso la sentenza della C.t.p. di Latina che, invece, aveva rigettato i ricorsi avverso l’avviso di accertamento con il quale, per l’anno di imposta 2006, era stato recuperato a tassazione, ai fini Ires, Irap ed Iva un maggior reddito a seguito della contestazione di tre note di credito per operazioni ritenute inattendibili.
2. L’Ufficio escludeva in capo alla società – esercente l’attività di commercio all’ingrosso di olio e grassi di origine animale e vegetale – la deducibilità dell’importo di euro 238.518,00 portato da tre note di credito. Queste ultime, emesse il 13 settembre 2006, erano state motivate dalla contribuente quale restitution commodity di cui alle cessioni di olio di oliva extravergine in favore di una società statunitense che aveva mosso contestazioni sulla qualità della merce. L’Amministrazione riteneva che la perdita non risultasse da elementi certi e precisi e non fosse oggettivamente determinabile né definitiva, e che di conseguenza, non sussistessero i presupposti per stralciare i crediti ritenuti inesigibili ex 101, comma 5, 106, comma 2, 109 d.P.R. 1986, n. 917. Rilevava in proposito che la contribuente non aveva provato di aver percorso tutte le strade per il recupero del credito, nonostante il valore nominale del medesimo e l’esito positivo delle analisi di qualità eseguite, venendo meno il presupposto dell’inerenza del costo; che, inoltre, le giustificazioni rese dalla società – la quale aveva affermato che le partite di olio erano rimaste in giacenza presso l’importatore americano ed erano state successivamente vendute ad altri clienti – non avevano trovato riscontro nell’inventario di magazzino, che era risultato del tutto inattendibile, né nelle fatture esibite a dimostrazione della successiva vendita a terzi che non consentivano la tracciabilità dei lotti.
3. La C.t.p., previa riunione, rigettava ricorsi della società e di Giulio D.C. ritenendo che, a fronte dell’inverosimiglianza dell’operazione, non fossero state fornite giustificazioni esaustive.
4. La C.t.r. accoglieva l’appello concludendo per l’attendibilità dell’operazione in ragione di quanto dichiarato dalla contribuente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 l.gs. 31 dicembre 1992, n. 546, assumendo la motivazione apparente, illogica ed incomprensibile della sentenza, nel complesso non rispondente al thema decidendum devoluto al suo esame.
2. Con il secondo motivo, proposto in via gradata, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ed individuato nella irregolarità o inattendibilità del libro degli inventari; nell’assenza «di una specifica del lotto di provenienza della merce»; nel fatto che il luogo indicato nelle fatture fosse diverso rispetto alla sede dei magazzini indicati dal contribuente.
3. Il primo motivo è infondato.
3.1 Il vizio motivazionale, rilevante ai sensi dell’art. 132, 4, cod. proc. civ. (nonché dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, e tale da integrare un’ipotesi di nullità della sentenza, affetta da error in procedendo, ricorre quando la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero, nel caso in cui essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili», nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata; viceversa, resta esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053). Si è, altresì, chiarito che nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476 che cita, in motivazione, Cass. Sez. U. 31/12/2018, n. 33679, Cass. Sez. U. 18/04/2018, n. 9558).
3.2 La sentenza impugnata non incorre nel vizio denunciato, sotto nessuno dei profili sopra evidenziati, in quanto la motivazione, oltre che presente, dà esaurientemente conto delle ragioni sottese alla decisione. La C.t.r., infatti, ha correttamente individuato l’oggetto dell’accertamento alla medesima demandato nella legittimità o meno della deduzione degli importi di cui alle note di credito con le quali la contribuente aveva stornato per l’intero tre fatture relative a partite di olio contestate dall’acquirente. Non trova riscontro, pertanto, l’assunto dell’Ufficio secondo cui l’impianto motivazionale si fondava sull’erronea premesse che l’accertamento vertesse sulla svalutazione di un credito o l’accantonamento a perdita del medesimo.
Di seguito, la C.t.r. ha concluso per la legittimità della deduzione affermando che dalla documentazione in atti risultava effettivamente che la contribuente, a seguito della contestazione sulla qualità del prodotto, aveva emesso note di credito per «sterilizzare contabilmente tale partita contabile»; che la partita di merce, rimasta in deposito presso i magazzini americani, era stata correttamente inserita nelle rimanenze finali; che successivamente la merce era stata venduta, regolarmente fatturata ed inserita in bilancio.
La difesa erariale assume che l’inesistenza della motivazione, in quanto meramente apparente, deriva dalla mancata esplicitazione degli elementi in ragione dei quali la C.t.r. ha ritenuto provate le affermazioni del ricorrente.
Trattasi, tuttavia, di censura non riconducibile al vizio motivazionale come sopra delineato.
4. Il secondo motivo è infondato.
4.1 La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che: il novellato testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo.
Si è altresì precisato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Ugualmente, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma. Infine, va ribadito quanto già detto con riferimento al primo motivo, ovvero che nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. (Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476; Cass., Sez. U., 31/12/ 2018, n. 33679; Cass., Sez. U., 18/04/2018, n. 9558; Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053).
4.2 Le censure mosse, in realtà, sotto l’apparente deduzione del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (come anche di quello di omessa motivazione di cui al primo motivo) degradano verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione.
La ricorrente, infatti, si duole del governo che il giudice del merito ha fatto del materiale probatorio e chiede al giudice di legittimità di rivalutare la regolarità o meno dell’inventario e l’incongruenza tra quanto risultante dalle fatture e quanto dichiarato dal contribuente in ordine al luogo dove sarebbe rimasta in deposito la merce, in attesa di essere venduta.
5. Il ricorso va, dunque, complessivamente rigettato.
6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
7. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1-quater, d.P.R„ 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle entrate al rimborso in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 5.600,00, oltre euro 200 per esborsi, oltre Iva e cpa, oltre spese generali nella misura forfettaria del 15 per cento.
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