CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 35043 depositata il 14 dicembre 2023
Tributi – Avviso di liquidazione – Imposta di registro – IVA – Misura proporzionale – Atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi – IVA in misura fissa – Principio dell’alternatività – Atti dell’autorità giudiziaria – Assenza duplicazione d’imposta – Funzione recuperatoria – Rigetto
Ritenuto in fatto
1. La Commissione tributaria regionale (CTR) del Lazio, con sentenza n. 4326/07/21, depositata il 29/09/2021, rigettava l’appello proposto da T. I. S.p.a. e, per l’effetto, confermava l’avviso di liquidazione con il quale l’Amministrazione finanziaria aveva richiesto il pagamento dell’imposta di registro in misura proporzionale relativamente alla sentenza di condanna n. 790/2017, emessa dalla Corte d’Appello, nei confronti della ricorrente e afferente alla restituzione della somma di Euro 2.892.181,79 alla S. S.r.l.
La CTR rilevava che non era applicabile alla fattispecie l’imposta di registro in misura fissa – in ragione del principio di alternatività tra tale imposta e quella di registro e del fatto che si era in presenza di un rapporto commerciale tra società sottoposte ad Iva – in quanto la sentenza, presupposto dell’atto impositivo, aveva affermato la non debenza delle somme indicate nella fattura emessa dalla ricorrente e, dunque, la sussistenza di un indebito oggettivo (ex art. 2033 c.c.).
2. Avverso tale sentenza la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.
3. L’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso.
4. In prossimità dell’udienza pubblica parte ricorrente ha depositato memoria.
Considerato in diritto
1. T. I. S.p.a. denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 40 e dell’art. 8, lett. b) e nota II, della Tariffa Parte I cit. decreto, nonché del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26 e, infine, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 1.
Riportato il testo delle norme sopra indicate, la ricorrente rileva che, rientrando l’operazione di restituzione somme oggetto della sentenza di condanna posta a fondamento dell’atto impositivo impugnato nella disciplina IVA, alla stessa andava applicata quest’ultima e, conseguentemente, l’imposta di registro andava liquidata in misura fissa, pena la violazione del divieto di doppia imposizione per lo stesso atto.
In particolare, la sentenza richiamata nell’atto impositivo riguardava corrispettivi pagati a fronte di operazioni (fornitura servizi) imponibili IVA, in quanto afferenti a rapporti tra soggetti sottoposti al relativo regime e per le quali erano state emesse le relative fatture; assumendo rilievo l’ulteriore circostanza che la ricorrente per la somma oggetto di condanna aveva emesso apposita nota di credito.
5. Il motivo non è fondato.
5.1 L’art. 40 (Atti relativi ad operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto) prevede che “1. Per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa. Si considerano soggette all’imposta sul valore aggiunto anche le cessioni e le prestazioni tra soggetti partecipanti a un gruppo IVA, le cessioni e le prestazioni per le quali l’imposta non è dovuta a norma del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. da 7 a 7-septies, e quelle di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 6. (…)”. L’art. 8, comma 1, lett. b) della Tariffa Parte prima del cennato D.P.R. sottopone ad imposta in misura proporzionale del 3% i provvedimenti giurisdizionali “recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”, stabilendo la nota II dello stesso art. 8 che “Gli atti di cui al comma 1, lettera b), e al comma 1-bis non sono soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del Testo unico”.
Dal quadro normativo innanzi delineato deriva l’operatività nel nostro sistema tributario del principio della cd alternatività tra IVA e l’imposta di registro, che esclude l’applicabilità dell’imposta di registro in misura proporzionale per la registrazione di atti relativi ad operazioni che risultano già assoggettate ad IVA.
5.2 Quanto all’applicazione dell’imposta di registro sugli atti dell’autorità giudiziaria, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 37, comma 1, prevede che sono soggetti ad imposta di registro “gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere”.
Come già ritenuto da questa Corte, l’imposta di registro sugli atti dell’autorità giudiziaria è dovuta e liquidata sulla sentenza di primo grado, in quanto, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 37 e 77, la riforma totale o parziale (nel successivo corso del giudizio e fino alla formazione del giudicato) del provvedimento tassato non si riflette sul relativo avviso di liquidazione, ma fa sorgere un autonomo diritto del contribuente al conguaglio o al rimborso, che peraltro deve essere azionato nei modi e nei tempi previsti dall’art. 77 citato (Cass. n. 12757 del 2006).
Inoltre, l’art. 8 della tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, stabilendo l’imponibilità degli “atti dell’autorità giudiziaria ordinaria e speciale che definiscono anche parzialmente il giudizio, compresi i decreti ingiuntivi esecutivi”, prevede chiaramente che il tributo de quo, più che colpire il trasferimento di ricchezza in sé, inerisce direttamente all’atto presentato per la registrazione, che prende in considerazione in funzione degli effetti giuridici ed economici che è destinato a produrre e del quale l’Ufficio ha l’onere di accertare il contenuto tipico, che deve essere individuato, ai fini dell’imposizione, tenendo conto della sua natura e dei conseguenti effetti che appunto è destinato a produrre nel mondo giuridico.
5.3 La corretta applicazione del principio di alternatività presuppone che in presenza della registrazione di una sentenza di condanna al pagamento di somme venga verificato, preliminarmente, se quelle stesse somme si riferiscano o meno a prestazioni di beni o servizi soggette all’imposta sul valore aggiunto. Ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 1, sono operazioni imponibili IVA “le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate”. L’art. 3 definisce prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte.
Secondo l’orientamento della Corte di giustizia Europea (sentenza 15 aprile 2021 C-846/2019 e altre pronunce), ai fini dell’assoggettamento a Iva di un’operazione, deve esservi ” (…) la sussistenza di un “nesso diretto” tra servizio reso e controvalore ricevuto quale elemento che caratterizza ai fini IVA il corrispettivo di una prestazione, dovendosi accertare che le somme versate costituiscano l’effettivo corrispettivo di una specifica prestazione fornita nell’ambito di un rapporto giuridico in cui avviene uno scambio di reciproche prestazioni” (Cass. n. 2040 del 2022 Rv. 663661 – 01).
5.4 Nel caso in esame, incontroverso che la sentenza presupposto dell’atto impositivo trova titolo in un rapporto soggetto ad IVA, la CTR ha qualificato la restituzione delle somme indebitamente ricevute dalla ricorrente in pagamento di prestazioni eseguite a favore della S. S.r.l., come provvedimento di condanna alla restituzione di somme corrisposte in mancanza di valido titolo giustificativo che, pertanto, non possono essere ricondotte alla nozione di pagamento di corrispettivi o prestazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 cit. di cui al invocata nota II dell’art. 8, comma 1, lett. b), cit.
In sostanza, il diritto di ripetere quanto pagato ex art. 2033 c.c., ha quale presupposto che quest’ultimo è avvenuto senza causa e ha una funzione recuperatoria, in quanto tende a evitare l’arricchimento a danno di altri, in modo da eliminare l’iniquità prodottasi mediante uno spostamento patrimoniale privo di giustificazione. Consegue da ciò che tale pagamento non può rappresentare un corrispettivo per una prestazione, ma ha appunto la funzione di reintegrare il patrimonio di colui che l’ha effettuata, in tal modo impoverendosi e nei limiti di tale impoverimento. In conclusione, non si può ipotizzare alcuna duplicazione d’imposta, né tantomeno è pertinente fare riferimento al principio di alternatività di cui all’art. 40, cit., considerato che nel giudizio civile non si è fatto valere il credito da corrispettivo per prestazione resa nell’ambito di un’operazione imponibile ai fini IVA.
6. L’impugnata sentenza, che ha applicato i principi sopra esposti, non merita d’essere cassata, ed al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 6.000,00 per compensi, oltre rimborso spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
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