CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 5802 depositata il 24 febbraio 2023
Tributi – Avviso di liquidazione di imposta di donazione – Trasferimento di una quota di patrimonio detenuta all’estero – Liberalità indirette – Liberalità diverse dalle donazioni sono sottoposte ad imposta in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi, e se sono di valore superiore alle franchigie oggi esistenti – Donazione tipica ad esecuzione indiretta – Rigetto
Ritenuto in fatto
1. L.P.A. proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Alessandria avverso un avviso di liquidazione di imposta di donazione emesso in relazione ad una liberalità indiretta attuata da L.A.R. (dante causa) in suo favore con il trasferimento di una quota di patrimonio (consistente in diversi conti correnti aperti in varie banche) detenuta all’estero.
2. La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso, ritenendo che il trasferimento posto in essere ricadesse fra le liberalità indirette sottoposte ad imposta sulle donazioni di cui all’art. 56 bis d.lgs. n. 346/1990, che il riconoscimento della franchigia di euro 100.000,00 era avvenuto mediante un’apposita rettifica in via di autotutela amministrativa parziale e che l’applicazione dell’aliquota ordinaria dell’8% era corretta, atteso che quella ridotta (6%) era invocabile solo nei casi di donazione indiretta registrata volontariamente.
3. Sull’appello del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale Piemonte rigettava il gravame, precisando che nel caso di specie oggetto di trasferimento non era direttamente un patrimonio, bensì una serie di rapporti (sia pure a contenuto patrimoniale).
4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione L.P.A. sulla base di quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo del ricorso principale il ricorrente deduce la violazione dell’art. 56 bis d.lgs. n. 346/1990, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), c.p.c., per aver la CTR erroneamente, a suo dire, qualificato la fattispecie in esame come “liberalità indiretta”.
1.1. Il motivo è infondato.
La liberalità di cui si discute è stata effettuata nell’anno 2013 e nei primi mesi del 2014, ovvero in epoca successiva alla reintroduzione dell’imposta sulle successioni e donazioni per effetto del d. I. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, e dunque quando era tornata ad essere applicabile la disciplina – base – dì cui al d.lgs. n. 346 del 1990, secondo le disposizioni vigenti al 24 ottobre 2001 (ovvero il giorno precedente all’entrata in vigore della I. n. 383 del 2001 recante la soppressione dell’imposta), fatti salvi i rinvii ai commi da 48 a 54, e fermo restando il generale vincolo di compatibilità di cui al comma 50 sempre dell’articolo citato.
Recita l’art. 1 d.lgs. n. 346 del 1990, al comma 1, che “L’imposta sulle successioni e donazioni si applica ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi.”, ed al comma 4 bis, che “Ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto”, mentre il successivo art. 55, comma 1, che “Gli atti di donazione sono soggetti a registrazione secondo le disposizioni del testo unico sull’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, concernenti gli atti da registrare in termine fisso.”; l’art. 2, d. I. n. 262 del 2006, al comma 47, che “È istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54.”.
Con l’introduzione dell’art. 56 bis da parte della I. n. n. 342 del 2000, art. 69, comma 1, lett. p), nel Testo Unico in esame, il legislatore ha previsto una disciplina per le “liberalità diverse dalle donazioni”, quali appunto sono le liberalità “indirette”, ampio genus nel quale rientrano, e rilevano ai fini impositivi considerati dalla norma, liberalità che neppure si traducono in contratti scritti, trattandosi di meri comportamenti materiali, oppure che risultano da documenti scritti per i quali non è imposta la formalità della registrazione, per cui anche la donazione per così dire “informale” non sembra estranea, come pure sostenuto in dottrina, al meccanismo di emersione oggetto di causa, atteso che l’inosservanza della forma pubblica richiesta dall’art. 782 c.c., e la relativa sanzione della nullità, se rilevano sul piano civilistico, a tutela del donante, nessuna conseguenza producono sul piano tributario, in ragione del principio generale affermato dall’art. 53 Cost. (Sez. 5, Ordinanza n. 27665 del 03/12/2020; Cass. n. 15144/2017; n. 15144/2017; n. 634/2012).
L’art. 56 bis ammette la possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di accertare l’esistenza di tali liberalità (diverse dalle donazioni) ove l’attribuzione patrimoniale gratuita emerga nel corso di un’attività di controllo delle imposte sui redditi, a condizione che la natura liberale dell’attribuzione risulti da esplicite dichiarazioni rese dal contribuente, e che sia superata una determinata soglia di rilevanza fiscale.
Il quadro normativo di riferimento sopra delineato risulta significativamente modificato dall’articolo 2, commi da 47 a 53, del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, I n. 286 del 2006. Prevede, in particolare, il comma 47 dell’art. 2 del più volte citato decreto legge che “È istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”, mentre il successivo comma 50 recita che “Per quanto non disposto dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dal citato testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”.
Orbene, anche a seguito delle modifiche introdotte al complessivo impianto normativo delle imposte sulle successioni e donazioni, l’art. 56 bis non può ritenersi implicitamente abrogato, trattandosi di disposizione che ha una propria ragion d’essere, oltre che autonomia funzionale, rispetto a quanto previsto e, per il resto, disciplinato dal TUS. Invero, la ratio legis della disciplina in tema di liberalità attuate in forme diverse da quella della donazione tipica (art. 769 c.c.) porta ad escludere che il prospettato contrasto tra vecchie e nuove norme comporti necessariamente l’implicita abrogazione delle prime, atteso che, a ben vedere, a siffatta opzione interpretativa conseguirebbe un vuoto di regole nel complessivo quadro normativo di riferimento delineato dal d.l. n. 262 del 2006 e dal d.lgs. n. 346 del 1990 (Sez. 5, Ordinanza n. 735 del 12/01/2022).
La citata disposizione regola l’emersione di peculiari fattispecie impositive, avendo il legislatore – come già detto – inteso, da un lato, incentivare l’autodichiarazione del contribuente, anche per evitare ulteriori e più onerose pretese fiscali (si pensi alle indagini relative alle imposte dirette dalle quali possono emergere elementi patrimoniali incompatibili con i redditi dichiarati) e, dall’altro, limitare l’esercizio del potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, quanto alle liberalità ivi contemplate, ancorandolo alla ricorrenza di determinati presupposti.
Un diverso criterio di applicazione dell’imposta si presterebbe a prassi elusive, contrarie al principio di effettività dell’imposizione in ragione delle capacità contributive, ai sensi dell’art. 53 Cost. (Cass., 19 giugno 2017, n. 15144; Cass., 18 gennaio 2012, n. 634).
Deve procedersi, allora, ad una operazione interpretativa diversa da quella puramente letterale, e ciò al fine di armonizzare l’art. 56 bis con le disposizioni che disciplinano la reintrodotta imposta sulle successioni e donazioni.
Nel delineato contesto normativo, l’articolo 56 bis, comma 1, va interpretato (Sez. 5, Ordinanza n. 27665 del 03/12/2020) nel senso che le liberalità diverse dalle donazioni (e da quelle risultanti da atti di donazione effettuati all’estero a favore di residenti), ossia tutti quegli atti di disposizione mediante i quali viene realizzato un arricchimento (del donatario) correlato ad un impoverimento (del donante) senza l’adozione della forma solenne del contratto di donazione tipizzato dall’art. 769 c.c. (tra le quali rientra il bonifico sul conto corrente; cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 735 del 12/01/2022), e che costituiscono manifestazione di capacità contributiva, essendo irrilevante a tali fini la formale stipula di un atto e, viceversa, rilevante il fatto economico provocato dal trasferimento da un patrimonio ad un altro, sono accertate e sottoposte ad imposta in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi, se sono di valore superiore alle franchigie oggi esistenti (euro 1.000.000 per coniuge e parenti in linea retta, euro 100.000 per fratelli e sorelle – ed è il caso di specie -, euro 1.500.000 per persone portatrici di handicap).
In quest’ottica, la differenza tra donazione diretta e donazione indiretta, pur non priva di agganci con la disciplina codicistica, si fonda su presupposti differenti, ampliandosi, nell’ambito tributario, i confini applicativi della seconda categoria. Ed è questa la ragione per la quale non rileva, ai nostri fini, Sez. U, Sentenza n. 18725 del 27/07/2017, secondo cui, in estrema sintesi, il trasferimento, attraverso un ordine di bancogiro del disponente, di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta, soggetta alla forma dell’atto pubblico, salvo che sia di modico valore, poiché realizzato non tramite un’operazione triangolare di intermediazione giuridica, ma mediante un’intermediazione gestoria dell’ente creditizio.
Risulta integrato, nella specie, pienamente il paradigma dell’arricchimento senza corrispettivo, che si rinviene anche nelle liberalità diverse dalla donazione, cioè le liberalità atipiche risultanti da atti diversi dal contratto tipico di donazione, ma in grado di attuare effetti economici equivalenti a quelli prodotti da detto contratto, benchè non rivestano la forma dell’atto pubblico (l’art. 809 c.c., infatti, non richiama l’art. 782, che prescrive l’atto pubblico per la donazione).
Non appare, infatti, dubitabile la sussistenza, nel caso in esame, tanto del dato soggettivo, rappresentato dall’intenzione del donante (L.A.R.), condivisa dal donatario (L.P.A.), di provocare un incremento del patrimonio del soggetto beneficiario, con depauperamento del patrimonio del soggetto disponente, attuato mediante il trasferimento (tramite l’interposizione di società finanziarie ed istituti di credito) di una quota di patrimonio detenuto all’estero, quanto del dato oggettivo, rappresentato dall’effettività del trasferimento di ricchezza (14.237.478,46 di euro) sul conto riferibile al contribuente.
Il fenomeno delle liberalità indirette, del resto, è certamente rilevante fiscalmente anche nell’ambito della “nuova” imposta di donazione, in quanto esso rientra nell’ampia nozione di “trasferimenti gratuiti” che il legislatore del 2006 ha utilizzato, come si è visto, per individuare il presupposto impositivo del tributo.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 56 bis d.lgs. n. 346/1990 e 2, commi 47, 49 e 50 d.l. n. 262/2006, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la CTR negato rilevanza, ai fini della determinazione del valore della donazione assoggettabile a tassazione, alle passività gravanti sulle consistenze patrimoniali trasferite al beneficiario.
2.1. Il motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 2, comma 49, del d.l. n. 262/2006 (conv., con modificazioni, dalla l. n. 286/2006), invocato dal ricorrente, “Per le donazioni e gli atti di trasferimento a titolo gratuito di beni e diritti e la costituzione di vincoli di destinazione di beni l’imposta è determinata dall’applicazione delle seguenti aliquote al valore globale dei beni e dei diritti al netto degli oneri da cui è gravato il beneficiario diversi da quelli indicati dall’articolo 58, comma 1, del citato testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, ovvero, se la donazione è fatta congiuntamente a favore di più soggetti o se in uno stesso atto sono compresi più atti di disposizione a favore di soggetti diversi, al valore delle quote dei beni o diritti attribuiti: […]” (la sottolineatura è dello scrivente).
Pertanto, al di fuori dell’ipotesi disciplinata dal menzionato art. 58, comma 1, d.lgs. n. 346/1990 (in base alla quale “Gli oneri da cui è gravata la donazione, che hanno per oggetto prestazioni a soggetti terzi determinati individualmente, si considerano donazioni a favore dei beneficiari”), le aliquote devono essere applicate al valore globale dei beni e dei diritti donati o trasferiti a titolo gratuito, ma al netto degli oneri da cui è gravato il beneficiario.
Tuttavia, la circostanza che L.A.R. abbia trasferito al fratello Pietro Antonio le proprie disponibilità finanziarie detenute presso istituti di credito esteri comprensive delle passività (corrispondenti ad un saldo negativo emergente dalla relazione bancaria n. 0247/114986 presso UBS) sulle stesse gravanti (pari ad euro 419.673,00) non integra all’evidenza gli estremi di un modus apposto alla donazione.
Del resto, allorquando il legislatore ha inteso, ai fini della quantificazione delle imposte, prendere in considerazione le passività, lo ha fatto espressamente. Basti pensare, a titolo meramente esemplificativo, che, in tema di imposta sulle successioni, ai fini della determinazione del valore delle azioni di società non quotate in borsa e delle quote di società non azionarie, l’art. 16, comma primo, lett. b), del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, fa riferimento – con disposizione di carattere innovativo rispetto alla disciplina previgente dettata dall’art. 22 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, che aveva riguardo alla “situazione patrimoniale della società” – al valore del “patrimonio netto” della società “risultante dall’ultimo bilancio pubblicato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti”, e, solo in mancanza di bilancio o inventario, al “valore complessivo dei beni e dei diritti” appartenenti alla società, “al netto delle passività”. Ne consegue che, quando vi è un bilancio approvato, l’amministrazione finanziaria è vincolata al valore del patrimonio netto da questo risultante e non può procedere ad un’autonoma valutazione del valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti alla società al netto delle passività – salvo che non denunci (motivatamente) la inattendibilità delle poste di bilancio – (Sez. 5, Sentenza n. 6915 del 07/05/2003; conf. Sez. 5, Sentenza n. 11998 del 08/08/2003 e Sez. 5, Sentenza n. 23462 del 12/11/2007).
3. Con il terzo motivo il contribuente deduce la violazione degli artt. 56 bis d.lgs. n. 346/1990 e 2, commi 47, 49 e 50 d.l. n. 262/2006, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la CTR ritenuto infondata la sua pretesa di applicazione di un’aliquota (6 o 7 %) inferiore a quella ordinaria dell’8%.
3.1. Il motivo è infondato.
In base all’art. 2, comma 50, del d.l. n. 262/2006 (conv., con modificazioni, dalla l. n. 286/2006), “Per quanto non disposto dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dal citato testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001.”.
Il terzo comma dell’art. 56 bis d.lgs. n. 346/1990 stabilisce che “Le liberalità di cui al comma 1 possono essere registrate volontariamente, ai sensi dell’articolo 8 del Testo unico dell’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131. In tale caso si applica l’imposta con le aliquote indicate all’articolo 56 mentre qualora la registrazione volontaria sia effettuata entro il 31 dicembre 2001, si applica l’aliquota del tre per cento.”.
Da ciò si desume che soltanto nel caso in cui il contribuente abbia provveduto alla registrazione spontanea, e non anche allorquando la registrazione sia avvenuta, come nel caso di specie, d’ufficio, trovano applicazione le aliquote indicate nell’art. 56 e, quindi, essendo stato quest’ultimo abrogato dal d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, quelle riportate nell’art. 2, comma 49, di tale d.l. (a mente del quale si applicano le seguenti aliquote: a) a favore del coniuge e dei parenti in linea retta sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 1.000.000 di euro: 4%; a-bis) a favore dei fratelli e delle sorelle sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 100.000 euro: 6%; b) a favore degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonchè degli affini in linea collaterale fino al terzo grado: 6%; c) a favore di altri soggetti: 8%).
Per le fattispecie di liberalità imponibili come sopra individuate, l’aliquota da applicare è, invece, quella dell’8%, che costituisce attualmente la percentuale massima prevista dalla legge, a prescindere dal rapporto di parentela del beneficiario, così da mantenere la funzione latamente sanzionatoria contemplata dal legislatore (cfr., in tal senso, Sez. 5, Ordinanza n. 27665 del 03/12/2020 e Sez. 5, Ordinanza n. 735 del 12/01/2022).
4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 56 bis d.lgs. n. 346/1990, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per non aver i giudici di merito ritenuto di far applicazione delle nuove norme previste per le donazioni dirette tra parenti, rideterminando l’imposta dovuta con una franchigia di euro 180.759,91 ed un’aliquota del 7%. Il motivo è infondato.
Per quanto concerne l’aliquota del 7%, si rinvia a quanto esposto nell’analizzare il terzo motivo.
Avuto riguardo alla invocata franchigia di euro 180.759,91, premesso che l’art. 56 bis non può ritenersi affatto implicitamente abrogato, trattandosi di disposizione che ha una propria ragion d’essere, oltre che autonomia funzionale, rispetto a quanto previsto e, per il resto, disciplinato dal TUS, il d.lgs. n. 346 del 1990, art. 56-bis, comma 1, va interpretato nel senso che, alle liberalità diverse dalle donazioni (e da quelle risultanti da atti di donazione effettuati all’estero a favore di residenti), si applicano le franchigie oggi esistenti, ai sensi del d.l. n. 262/2006, art. 2, commi 49 e 49 bis: Euro 1.000.000 per coniuge e parenti in linea retta, Euro 100.000 per fratelli e sorelle, Euro 1.500.000 per persone portatrici di handicap, mentre per i casi in cui la norma vigente non prevede franchigie (ovvero con riguardo a soggetti diversi da coniuge, parenti in linea retta, fratelli e sorelle, persone portatrici di handicap), l’imposta trova applicazione sull’intero importo della liberalità
Una volta abrogato l’art. 56 del d.lgs. n. 346/1990 (a tenore del quale “L’imposta si applica esclusivamente sulla parte di valore della quota spettante a ciascun beneficiario che supera i 350 milioni di lire.”), trova applicazione l’art. 2, comma 49, d.l. n. 262/2006, secondo cui, come già visto in precedenza, l’aliquota invocabile, nel caso di liberalità tra fratelli, è quella di 100.000,00 euro (lett. a-bis).
Nella fattispecie in esame, è incontestato che siffatta franchigia è stata già riconosciuta dall’Ufficio in sede di parziale rideterminazione operata in via di autotutela amministrativa.
5. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita di essere accolto.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 18.000,00, oltre spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto
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