Corte di Cassazione sentenza n. 7693 depositata il 28 marzo 2018
DIRIGENTE – ASSISTENZA AL FAMILIARE DISABILE – INCARICO – SPOSTAMENTO DI SEDE – SCELTA PREFERENZIALE DI UNA SEDE – MANIFESTAZIONE DI VOLONTA’ – NECESSITA’ – SUSSISTE
FATTI DI CAUSA
R.A., coordinatore del Servizio Ispettivo del Segretariato Generale del Ministero delle Politiche Sociali, veniva sottoposto a licenziamento disciplinare nel giugno 2015 in seguito all’ingiustificato ritardo nella presa di servizio (con termine perentorio) presso la Direzione territoriale del lavoro di (omissis) presso la quale era stato trasferito a seguito di conferimento di incarico dirigenziale. Il R. impugnava il provvedimento perché comportante lo spostamento in una sede diversa da (omissis), deducendo la nullità del trasferimento e del susseguente licenziamento disciplinare perché determinati da motivo illecito – ritorsivo e discriminatorio – per la presunta “soggettivizzazione” della serie procedimentale e comunque per violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 54 bis, comma 1, e chiedeva la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno come per legge.
Il Tribunale adito annullava il licenziamento per insussistenza del fatto contestato e reintegrava il dipendente nella sede di nuova assegnazione, ritenendo che lo spostamento da (omissis) a (omissis), a norma del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, non potesse essere qualificato come trasferimento in senso tecnico e, pertanto, Io stesso non fosse soggetto ai limiti delle ragioni tecniche, organizzative e produttive imposti dall’art. 2103 c.c..
In secondo grado, l’appellante insisteva nel prospettare la sua mancanza non quale illecito rifiuto, ma come necessità di assistere la madre ultranovantenne disabile, per la quale, unico familiare convivente, già usufruiva dei benefici di cui alla L. n. 104 del 1992. Il R. rivendicava, in definitiva, il diritto di poter svolgere l’incarico dirigenziale attribuitogli in uno degli oltre cinquanta uffici esistenti sul territorio capitolino.
La Corte d’Appello di cui in epigrafe, a conferma della pronuncia di prime cure, ha respinto la domanda, considerando lo spostamento di sede estraneo alla disciplina del trasferimento, se non limitatamente al trattamento economico, per espressa esclusione, da parte del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1, dell’applicabilità dell’art. 2103 c.c., alla fattispecie dell’assegnazione dell’incarico.
Quanto alla presunta violazione della L. n. 104 del 1992, art. 33, secondo cui, il dipendente che benefici delle agevolazioni poste per esigenze di tutela dei congiunto disabile non può essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, la Corte territoriale ha statuito come con tale disposizione il legislatore abbia voluto riservare al beneficiario la possibilità di esprimere, attraverso un atto di volizione, la scelta preferenziale di una sede di lavoro – ove possibile – più vicina al domicilio della persona da assistere. Il giudizio di merito ha accertato che nel caso controverso l’esercizio di tale facoltà di scelta fosse mancato per l’inerzia imputabile esclusivamente al R..
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione R.A. con una censura, cui resiste con tempestivo controricorso il Ministero dei lavoro e delle Politiche Sociali.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unica censura il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1, e della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere, la pronuncia gravata, erroneamente affermato che in sede di conferimento di incarico dirigenziale non si applica il divieto di trasferimento previsto dalla L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5.
La ratio decidendi sarebbe inficiata dal grave errore di diritto di aver considerato soggetta a condizione di compatibilità la tutela di cui alla L. n. 104, art. 33, sulla base del rilievo attribuito all’inciso “ove Possibile”. Questo, secondo parte ricorrente, si riferirebbe di contro soltanto alla scelta della sede e non già al trasferimento in sé, il quale non potrebbe disporsi senza il consenso dell’interessato.
Il Giudice del merito, nel fare applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, così come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 40, comma 1, lett. a), al comma 1, il quale stabilisce che “al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica l’art. 2103 c.c.,” ha ritenuto che il potere datoriale di trasferimento non possa ritenersi soggetto al “limite interno” delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. L’errore in cui sarebbe incorsa la sentenza gravata riguarderebbe, tuttavia, il diverso aspetto di aver negato l’assoggettamento del potere di trasferimento al “limite esterno” sancito dalla L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5.
L’attribuzione di un incarico dirigenziale in una sede diversa, in assenza del consenso del beneficiario a spostarsi dal luogo di servizio ricoperto al momento dell’avanzamento, avrebbe violato l’obbligo, posto in capo all’amministrazione, di assegnare il ricorrente, della cui esigenza assistenziale era esattamente a conoscenza, a uno degli oltre cinquanta uffici del territorio capitolino.
La censura è infondata.
Va preliminarmente ricordato che la legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate L. n. 104 del 1992, all’art. 33, comma 5 (come novellato dalla L. n. 53 del 2000) stabilisce che il genitore o il familiare, dipendente pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, da cui non può essere trasferito senza il suo consenso.
La Corte Costituzionale ha voluto imprimere alla norma un criterio di assoluto rigore, al fine di evitare possibili abusi derivanti da una sua impropria applicazione. Pur riconoscendo il valore primario della solidarietà e della tutela dei soggetti portatori di handicap, la Corte ha inteso valorizzare la scelta legislativa di integrare detta tutela con gli altri valori costituzionali con cui questa si presenti in correlazione (tra le altre, Corte Cost. n.372/2002; Corte Cost. n. 246/1997).
Conformemente a tale lettura va interpretato l’art. 33, il quale riconosce al lavoratore che assista un congiunto invalido, la possibilità di scelta della sede, all’atto dell’assunzione, o anche in caso di successivo trasferimento a domanda. La norma aggiunge l’inciso “ove possibile”. La giurisprudenza di questa Corte ha attribuito all’espressione il significato per cui, “…l’esercizio di quel diritto non deve comportare una lesione eccessiva delle esigenze organizzative ed economiche del datore di lavoro privato, o determinare un danno per la collettività, compromettendo il buon andamento e l’efficienza della pubblica amministrazione.” E ha altresì rilevato che, “…La stessa finalità di contemperamento di opposti interessi privati e pubblici, tutti parimenti rapportabili a valori di rango costituzionale, permane pur dopo la novella del testo originario della L. n. 104, art. 33, operata con la L. n. 53 del 2000, che ha tolto il requisito della convivenza, lasciando, però, intatti tutti gli altri (effettiva continuità nell’assistenza, carattere di particolare gravità dell’handicap di cui soffre il congiunto, necessità di prestazioni assistenziali permanenti, incompatibili con sede distante, mancanza di altri supporti parentali)” (Sez. Un. n. 6917/2015).
Richiamata in premessa la giurisprudenza di legittimità circa il significato attribuito all’espressione “ove possibile”, si osserva che la tesi di parte ricorrente, che vorrebbe fosse rilevata l’illegittimità del cambiamento di sede sul presupposto che sarebbe stato possibile assegnare l’incarico dirigenziale in uno degli Uffici della Capitale scoperti, invece di allontanarlo dal luogo dell’esigenza assistenziale, non merita accoglimento. Essa non si rivela in grado di contrastare la ratio decidendi della pronuncia gravata.
La Corte d’Appello ha ritenuto raggiunta la prova dell’inerzia, imputabile al R., circa la volontà di avvalersi della scelta preferenziale della sede, per i benefici di cui alla l. n.104. Tale circostanza non è stata confutata dalla parte ricorrente, la quale, anzi, ne ha negato la rilevanza, adducendo la legittimità della sua reazione al momento del trasferimento di sede, posto che il Ministero era a conoscenza delle necessità assistenziali cui quella scelta attendeva già da tempo (“…Il ricorrente ha reagito all’illegittimo trasferimento a tempo debito…”p. 2 del ricorso). La Corte territoriale ha evidenziato come, costituendo il diritto di scelta della sede preferenziale il fulcro stesso della tutela costituzionale del disabile (“la tutela del diversamente abile si attua nella forma della scelta preferenziale di sede” p. 10 sent.), siccome contemperata con le esigenze della p.a. munite di copertura costituzionale, essa avrebbe dovuto essere esercitata dal ricorrente all’accettazione dell’incarico e non mediante “reazione” post factum della conoscenza della volontà dell’amministrazione (mancata presa di servizio nel termine perentorio presso la sede di (omissis)).
Applicando i principi espressi da questa Corte, il Giudice dell’Appello, con motivazione esente da vizi logici, ha statuito che la copertura costituzionale della tutela del diversamente abile si realizza nella forma della scelta preferenziale di sede, e che il conseguimento del beneficio è condizionato dall’espressione di volontà da parte dell’interessato. La stessa ha accertato altresì come fosse stato provato, nel giudizio di merito, che il R. non si era avvalso del beneficio, essendo rimasto inerte riguardo alla predetta possibilità di esprimere la scelta preferenziale di sede.
La circostanza prospettata da parte ricorrente, secondo cui non vi sarebbe stata necessità di scegliere in quanto l’amministrazione era già a conoscenza che il dipendente godeva dei benefici della L. n. 104, per il fatto di concedergli tre permessi al mese per assistere la madre, deve ritenersi ininfluente, e inidonea a surrogare la manifestazione di volontà di avvalersi del beneficio attribuito dalla legge al dipendente per far valere l’esigenza assistenziale di tutela del congiunto disabile.
Nessuna censura si ravvisa rispetto all’affermazione per la quale è risultato accertato che le procedure di attribuzione dell’incarico si erano svolte secondo i canoni di trasparenza, e in modo tale da escludere qualunque “soggettivizzazione della serie procedimentale” a discapito del ricorrente in violazione di legge. A tal proposito non appare raggiunta la prova della ritorsività del provvedimento di trasferimento, il cui onere grava sulla parte che intende far valere in giudizio tale specifica causa d’illegittimità.
A voler assecondare la prospettazione di parte ricorrente, la quale utilizza la cifra interpretativa della distinzione tra limiti interni ed esterni all’esercizio dei diritti a copertura costituzionale, il “limite esterno” alla tutela del disabile si ricava da una lettura combinata tra il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, e la L. n. 104 del 1992, art. 33. Il primo esclude espressamente l’applicazione dell’art. 2103 c.c., al conferimento di un incarico dirigenziale, e quindi dichiara ininfluenti le ragioni tecniche, organizzative e produttive rispetto al potere datoriale di adottare il provvedimento quando questo comporti uno spostamento di sede, stabilendo in via di principio che il conferimento di un incarico dirigenziale non possa identificarsi tout court con l’esercizio unilaterale del potere datoriale. Allo stesso modo, però, quando lo spostamento di sede si ponga in conflitto col diritto del congiunto disabile, la L. n. 104 del 1992, offre al dipendente la possibilità di annullare la tensione tra i due interessi contrastanti (quello dell’Ente ad attuare lo spostamento e quello del dipendente a beneficiare della tutela assistenziale per il congiunto disabile), mediante l’espressione della scelta di una sede preferenziale, atto che va ad inserirsi di pieno diritto nello schema contrattuale tipico del conferimento dell’incarico dirigenziale.
Qualora il conferimento d’incarico dirigenziale presupponga lo spostamento di sede, e il dipendente non abbia manifestato la volontà di avvalersi della scelta preferenziale di una sede maggiormente compatibile con le esigenze assistenziali, l’amministrazione non è tenuta a giustificare le ragioni che comportano il cambiamento di sede, non trattandosi di trasferimento in senso tecnico per l’espressa esclusione dell’art. 2013 c.c., da parte dell’art. 19 del D.Lgs..
La p.a. non è, però, neanche obbligata ad accogliere la richiesta del dirigente, là dove la stessa non si riveli assecondabile, in quanto, l’esigenza di solidarietà arretra di fronte al “limite esterno” rappresentato dalla specificità del ruolo della dirigenza pubblica, intimamente correlato ai principi costituzionali d’imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, la quale non consente il radicarsi, in capo al dirigente pubblico, di un diritto assoluto all’inamovibilità della posizione.
In definitiva, essendo l’unica censura infondata, il ricorso va rigettato. Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento nei confronti del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3500 per competenze professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
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