Corte di Cassazione sentenza n. 8382 depositata il 4 aprile 2018
LESIONE ALLA PROFESSIONALITA’ – IN ASSENZA DI DEMANSIONAMENTO – DANNO NON PATRIMONIALE – SUSSISTE
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 848/2015 la Corte di appello di Salerno ha confermato la decisione di primo grado con la quale, previa declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato ad C.A. per superamento del periodo di comporto, la Banca di Credito Cooperativo di Aquara soc. coop. (da ora BCC) era stata condannata a reintegrare la dipendente nel posto di lavoro, con le mansioni di cassiera di 2° livello della 3° area professionale, al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni globali di fatto (percepita come impiegata di 2° livello della 3° Area funzionale) dal giorno del licenziamento fino all’effettiva reintegra, oltre accessori, al pagamento delle differenze stipendiali tra il 3° livello rivendicato ed il 2° livello posseduto, compreso l’assegno di preposto, oltre accessori (per il periodo di sostituzione di altra lavoratrice avente diritto al mantenimento del posto) e al risarcimento dei danni non patrimoniali direttamente arrecati dalla condotta datoriale lesiva della professionalità della lavoratrice.
1.1. Il giudice di appello, premesso che la sentenza di primo grado era stata impugnata in via autonoma da entrambe le parti (dolendosi, in particolare, la C. del rigetto della domanda di accertamento del diritto all’assegnazione definitiva della qualifica di preposto a succursale) e che gli appelli erano, quindi, stati riuniti, ha disatteso la preliminare eccezione di Poste di improcedibilità dell’appello di controparte per omessa notifica dello stesso, osservando che entrambe le parti erano ben consapevoli, alla data di emissione del nuovo decreto presidenziale che anticipava al 16 gennaio 2015 il solo procedimento n. 762/2014 (quello instaurato dalla C.), che esisteva in relazione alla medesima sentenza il procedimento n. 817/2014 (instaurato da Poste) che avrebbe dovuto essere riunito al primo; la concessione alla C. di un termine per il rinnovo della notifica per l’udienza di anticipazione, risultava giustificata in quanto una diversa soluzione si sarebbe posta in conflitto con il principio della ragionevole durata del processo.
1.2. Il giudice di appello ha poi confermato la valutazione del giudice di prime cure in ordine alla insussistenza del diritto della lavoratrice, all’acquisizione, ai sensi dell’art. 2103 c.c., delle mansioni di preposto di filiale, svolte in sostituzione di altra dipendente avente diritto alla conservazione del posto, e di accertamento del diritto al compenso per lavoro straordinario. Ha ribadito che erano dovute le differenze stipendiali per le superiori mansioni di fatto esercitate, quale preposto, presso l’ufficio di (omissis).
1.3. Ha quindi osservato, premesso che la vicenda prospettata nel ricorso introduttivo della C. aveva ad oggetto diverse allegazioni qualificabili non solo in termini di un presunto e denegato demansionamento rispetto alle funzioni di preposto, espletate nel periodo precedente al trasferimento all’ufficio sito in (omissis), ma anche in termini di condotta datoriale lesiva della professionalità, che dalla prova orale e documentale era emerso che presso quest’ultima sede la C. era stata vittima di un comportamento datoriale ostile e penalizzante che ne aveva determinato la progressiva emarginazione con lesione della professionalità; da tale situazione era derivata la patologia psichica alla base delle assenze che avevano determinato il superamento del periodo di comporto sul quale era stato fondato il recesso datoriale.
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la Banca di credito cooperativo di Aquara soc. coop sulla base di nove motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso e contestuale ricorso incidentale affidato a due motivi.
La ricorrente principale ha depositato controricorso avverso ricorso incidentale, nonché memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso principale la BCC deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 291, 421 e 435 c.p.c., censurando la decisione per non avere dichiarato la improcedibilità dell’appello di controparte per omessa notifica dello stesso. A tal fine espone che all’udienza del 16 gennaio 2015, fissata con decreto presidenziale del 31.10.2014 che revocava il precedente provvedimento del 28.7.2014 di fissazione dell’udienza per il giorno 1.7.2015 -, il procuratore della C. aveva formulato espressa richiesta di concessione di un termine per la notificazione del ricorso; tale termine era stato autorizzato dalla Corte in contrasto con il principio di ragionevole durata del processo sancito da Cass. sezioni unite 30.07.2008 n. 20604 in base al quale era da escludere la sanatoria del vizio di omessa notifica.
2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., dolendosi della omessa pronunzia su un motivo di appello incentrato sulla asserita inesistenza della notificazione dell’impugnazione di controparte, per essere la stessa stata tentata presso lo studio del procuratore costituito, all’indirizzo reperito sugli atti difensivi di primo grado, ovvero alla (omissis), e non all’indirizzo presso il quale questi si era trasferito, indirizzo risultante dall’Albo degli Avvocati di Salerno. Assume che controparte avrebbe dovuto procedere ad una nuova notifica all’indirizzo corretto prima dell’udienza di discussione anziché interrompere il procedimento notificatorio per poi formulare all’udienza del 6.3.2015 una ulteriore richiesta di concessione di termine per notificare; ciò in quanto, come chiarito dal giudice di legittimità (Cass. 06/09/2012 n. 14934), la verifica della corretta indicazione del luogo di consegna dell’atto costituisce un adempimento preliminare a carico del notificante ed il principio del giusto processo impone al notificante la riattivazione del procedimento notificatorio per cui la notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa sia intervenuta in un termine ragionevolmente contenuto (Cass. Sezioni unite 24/07/2009 n. 13752; Cass. 13/10/2010 n. 21154).
3. Con il terzo motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c., per vizio di ultra ed extrapetizione. In sintesi sostiene che l’impianto difensivo della C., nel primo e del secondo giudizio, aveva come elemento cardine la domanda di accertamento del diritto alla definitiva assegnazione alle mansioni di preposto quale presupposto per l’accoglimento delle ulteriori domande e, quindi, di quella attinente al demansionamento, al nesso di causalità con le patologie che avevano determinato la assenza dal lavoro, ed alla conseguente imputabilità alla BCC del superamento del periodo di comporto. Una volta, pertanto, escluso il diritto della C. ad essere adibita a funzioni di preposto di filiale, la Corte avrebbe dovuto respingere tutte le altre domande e non,come avvenuto, estendere il proprio potere di indagine ad un ambito non devolutole, rappresentato dalla verifica della legittimità del trasferimento della C. alla filiale di (omissis) e della successiva condotta datoriale. Ciò in quanto la lavoratrice non aveva svolto alcuna allegazione in punto di mobbing né articolato istanze istruttorie in merito.
4. Con il quarto motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 2103 c.c., per avere la Corte di merito dapprima stabilito che la condotta datoriale non aveva dato luogo a demansionamento vero e proprio, per cui era corretta la decisione di primo grado nella parte in cui aveva negato l’acquisizione del diritto alle mansioni di preposto di filiale, e, dall’altro, rilevato la esistenza di una progressiva emarginazione lavorativa della C. volta a ridurre l’utilizzo di una professionalità che parte datrice sapeva essere stata acquisita. Ciò nell’errata prospettiva che nella vicenda lavorativa narrata dalla C. occorresse distinguere il problema del demansionamento dal quello, più generale, dell’illegittimo comportamento datoriale dopo il trasferimento. La Corte territoriale aveva errato perché, pur avendo accertato che la temporanea assegnazione della C. a mansioni superiori era stata disposta per ragioni sostitutive, aveva ritenuto che la riadibizione a mansioni proprie del livello di appartenenza integrasse dequalificazione professionale.
5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2697 c.c.. Sostiene che, poiché secondo quanto accertato dalla Corte di merito, la C. non aveva mai acquisito il diritto alle mansioni superiori di preposto di filiale per cui la successiva riadibizione ai compiti di assunzione non integrava una ipotesi di demansionamento, doveva escludersi la astratta imputabilità alla BCC del lamentato pregiudizio alla salute. Ha quindi richiamato le valutazione del consulente tecnico d’ufficio rilevando che la sindrome depressiva, ove effettivamente sussistente, non poteva che ascriversi alla immotivata, unilaterale aspettativa della C. di avere diritto al superiore inquadramento.
6. Con il sesto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226 e 2967 c.c., censurando la decisione in punto di riconoscimento del diritto al risarcimento del danno biologico ed alla professionalità. Lamenta, in sintesi, che il giudice di appello, pur in carenza di specifica allegazione e di istanze istruttorie, aveva fondato il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale facendo improprio ricorso alla consulenza tecnica d’ufficio alla quale non poteva essere demandato l’accertamento dei fatti alla base della pretesa risarcitoria. La mera concomitanza di particolari condizioni di salute con presunte condotte datoriali dequalificanti o demansionanti non era sufficiente a stabilire con certezza tecnica o almeno con elevata probabilità che il danno psichico, seppure di lieve entità, era da porsi in relazione causale con la condotta datoriale. In questa prospettiva assume la carenza di prova della sussistenza del pregiudizio alla professionalità.
7. Con il settimo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2110 c.c. e dell’art. 55, comma 1, lett. a) ccnl quadri direttivi e per il personale delle aree professionali delle banche di credito cooperativo. Censura la decisione per avere confermato la illegittimità del licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, in assenza di qualsiasi atto effettivo di demansionamento, ed in quanto la contenuta misura del pregiudizio psichico – non superiore al 2,5% – escludeva il ricorrere di condizioni tali da impedire all’interessata di avvedersi della scadenza del termine di comporto prevista dal contratto collettivo.
8. Con l’ottavo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’ art. 112 c.p.c., per omessa pronunzia su un motivo di gravame. Premette che nella memoria di costituzione essa BCC aveva eccepito la inapplicabilità della tutela ex art. 18 St. lav. per difetto del requisito dimensionale, come dimostrato nel corso del giudizio di primo grado e non contestato da controparte; all’udienza di discussione del 12.3.2013 la ricorrente, del tutto irritualmente, aveva replicato per iscritto ed introdotto una nuova domanda mediante richiesta di applicazione della tutela convenzionale, prevista dalla contrattazione collettiva nazionale, senza riportare il testo della relativa previsione. Il primo giudice aveva errato ad escludere l’onere di parte ricorrente di dedurre le norme di diritto o pattizie invocate a fondamento della richiesta in quanto, in base all’art. 414 nn. 3, 4, e 5, l’attore ha l’onere di provvedere con il deposito del ricorso alla determinazione dell’oggetto della domanda ed alla esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali questa si fonda, formulando le relative conclusioni ed indicando i mezzi di prova di cui intende avvalersi ed in particolare i documenti offerti in comunicazione, la cui mancata produzione determina decadenza dal diritto.
9. Con il nono motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza e/o del procedimento per omessa pronunzia su uno specifico motivo di gravame costituito dalla richiesta di riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva disposto la condanna della Banca appellante al pagamento delle spese di lite e della consulenza tecnica di ufficio, statuizione che si assume incongrua e non equilibrata specie se rapportata all’irrisorio compenso previsto in favore dell’ausiliare.
10. Con il primo motivo di ricorso incidentale C.A. deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione o omesso esame censurando la sentenza impugnata”per non avere indicato chi sarebbe stato il lavoratore asseritamente assente con diritto alla conservazione del posto”, con conseguente mancato omesso esame del fatto impeditivo della promozione automatica. Si duole, inoltre, dell’omesso rilievo da parte della Corte del fatto che le mansioni di preposto, presso l’ufficio di (omissis), erano state svolte in sostituzione non della dipendente L.S., ma di altro lavoratore T.G., che aveva a sua volta sostituito la prima ed era stato poi trasferito alla filiale di (omissis), prima dell’assegnazione della C. alle mansioni di preposto.
11. Con il secondo motivo, in subordine, deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., censurando la decisione per avere ritenuto ” assente con diritto alla conservazione del posto” un lavoratore trasferito ad altra sede, quale appunto la dipendente L., restando irrilevante la circostanza che nelle intenzioni dell’istituto datore la L. avrebbe dovuto fare ritorno alla sede di (omissis) essendo tale proponimento privo di ogni rilevanza giuridica.
12. Il primo motivo di ricorso principale risulta inammissibile per difetto della adeguata esposizione della vicenda processuale alla base della censura articolata. Non è stato infatti specificata la sequenza delle udienze (e dei relativi decreti di fissazione) ed in particolare dei “passaggi” processuali attraverso i quali si è pervenuti all’udienza di discussione del 1.7.2015 all’esito della quale la causa è stata tratta in decisione; parte ricorrente, non chiarisce, inoltre, se, con riguardo all’udienza originariamente fissata per la discussione del ricorso della C., vi era stata notificazione del ricorso, circostanza che controparte allega essere avvenuta. È ancora da evidenziare che, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non è riprodotto il contenuto degli atti e dei documenti sui quali il motivo è fondato e cioè i verbali delle udienze nei quali si è articolato il processo di appello, carenza integrante ulteriore profilo di inammissibilità (v. tra le altre, Cass. 12/12/2014, n. 26174 e Cass. 07/02/2011, n. 2966).
13. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale non è configurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa ad una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o sollevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise implicitamente; peraltro, il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte. (v. tra le altre, Cass. 28/03/2014 n. 7406).
14. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per una pluralità di profili.
14.1. In primo luogo esso non è sorretto dall’autosufficiente richiamo alla vicenda processuale posto che non è chiarito se ed in che termini la questione relativa alla avvenuta proposizione o meno di domanda di risarcimento del danno scaturente da una condotta datoriale lesiva della professionalità, diversa da demansionamento, era stata posta nei gradi di merito; a tale fine appare del tutto inadeguata, sia perché contenente un riferimento solo parziale agli atti, sia perché non dà contezza del successivo svolgersi della vicenda processuale, la riproduzione delle conclusioni spiegate negli originari ricorsi (poi riuniti) proposti dalla C. e da alcuni brani degli stessi.
14.1. In secondo luogo occorre rilevare che il giudice di appello ha dato espressamente conto (v. sentenza, pagina 5) che nella originaria domanda la vicenda prospettata nel ricorso introduttivo della C. aveva ad oggetto diverse allegazioni qualificabili non solo in termini di un presunto e denegato demansionamento rispetto alle funzioni di preposto espletate nel periodo precedente, ma anche in termini di condotta datoriale lesiva della professionalità.
14.2. Quanto ora osservato esclude la configurabilità del vizio denunziato con il motivo in esame posto che, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, la cui statuizione, ancorché erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione dovesse ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato la erroneità di quella motivazione, sicché, in tal caso, il dedotto errore non si configura come “error in procedendo”, ma attiene al momento logico dell’accertamento in concreto della volontà della parte. (v., tra le altre, Cass. 27/01/2016 n. 1545).
15. Il quarto motivo di ricorso è anch’esso da respingere.
15.1. Invero l’assunto alla base delle censure articolate e cioè che una volta escluso il diritto al superiore inquadramento di preposto l’indagine sulla eventuale dequalificazione avrebbe dovuto essere condotta raffrontando le mansioni di nuova assegnazione con quelle di assunzione, non avendo peraltro la ricorrente mai, nelle proprie difese, ancorato la tesi del demansionamento al passaggio dalle mansioni di cassiera a quelle di retrosportello, risulta costruito su un presupposto che non trova riscontro nelle ragioni alla base del decisum dall’ambito del quale, per il profilo che viene in rilievo, esula ogni questione collegata all’applicazione dell’art. 2013 c.c..
15.2. Il giudice di appello si è, infatti, limitato ad accertare, “al di là però dell’insussistenza di un demansionamento”, che, con il passaggio della C. alla nuova sede la parte datrice aveva posto in essere una serie di condotte intese a ridurre l’utilizzo della professionalità acquisita ed aveva evidenziato che la ricorrente, sin dal ricorso del 2.12.2011, aveva lamentato ulteriori fatti produttivi di danno, diversi dal demansionamento. Nell’iter argomentativo della impugnata sentenza, quindi, il riconoscimento del pregiudizio sofferto dalla C. è del tutto sganciato dalla comparazione con i precedenti, temporanei, compiti di preposto ma risulta, più in generale, ancorato al complessivo atteggiamento datoriale di mortificazione della professionalità della dipendente, mortificazione non necessariamente comportante un demansionamento.
15.3. In conseguenza, non appare in alcun modo invocabile la dedotta violazione dell’art. 2103 c.c., vertendosi nel caso di specie in un ambito che attiene al più generale dovere di protezione facente capo alla parte datoriale ai sensi dell’art. 2087 c.c., la cui inosservanza, di per sé, è fonte di responsabilità risarcitoria.
16. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile, in quanto con tale motivo, pur formalmente denunziando violazione di norme di diritto, parte ricorrente incentra le proprie censure sulla concreta verifica del nesso di causalità sotto il profilo del corretto apprezzamento delle risultanze probatorie in punto di riconducibilità della accertata sindrome depressiva alle condotte datoriali.
16.1. In altri termini, con il motivo in esame viene sollecitato un sindacato precluso al giudice di legittimità (Cass. 4/11/2013 n. 24679; Cass. 16/12/2011 n. 2197; Cass. 21/9/2006 n. 20455; Cass. 4/4/2006 n. 7846; Cass. 7/2/2004 n. 2357) dovendo altresì evidenziarsi che, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, parte ricorrente omette di trascrivere il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio nelle parti pertinenti alla illustrazione del motivo e di riprodurre il contenuto dei documenti sanitari che assume sopravvalutati dal giudice di merito e di indicare la sede processuale di relativa produzione (v. tra le altre, Cass. 12/12/2014, n. 26174).
17. Il sesto motivo è anch’esso inammissibile.
17.1. In primo luogo, la deduzione di carente allegazione del pregiudizio sofferto e di connessa carente formulazione di istanze istruttorie non è sorretta, come prescritto dalla riproduzione (v. Cass. n. 26174/2014 cit.) del contenuto della domanda introduttiva indispensabile al fine di consentire la verifica ex actis dell’assunto del ricorrente; tantomeno vengono ricostruite le deduzioni difensive delle parti con riguardo al profilo investito, all’eventuale decisum sul punto del giudizio di primo grado ed alle eventuali censure del ricorso in appello.
17.2. La censura con la quale si contesta l’accertamento del nesso di causalità tra l’illegittima condotta datoriale e il pregiudizio sofferto dalla C., oltre a non essere sorretta, come prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, dalla riproduzione o riassunto dei pertinenti brani della consulenza tecnica di ufficio (v. tra le altre, Cass. 17/07/2014 n. 16368) investe in concreto l’apprezzamento del materiale probatorio e si sottrae, pertanto, al sindacato di legittimità (v. Cass. 4/11/2013 n. 24679; Cass. 16/12/2011 n. 2197; Cass. 21/9/2006 n. 20455; Cass. 4/4/2006 n. 7846; Cass. 7/2/2004 n. 2357; cit.).
18. Il settimo motivo di ricorso è inammissibile non avendo parte ricorrente riprodotto il contenuto della disposizione collettiva rilevante ai fini della censura e tantomeno indicato, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, la sede di produzione del contratto collettivo invocato.
18.1. Sono ancora da evidenziare, quali ulteriori profili di inammissibilità, sia la assoluta genericità delle censure in punto di contestazione della imputabilità alla condotta datoriale delle patologie riscontrate alla C., sia il fatto che, poiché la specifica questione relativa alla possibilità della C. di avvedersi della scadenza del termine del periodo di comporto previsto dalla contrattazione collettiva non è stata affrontata dalla sentenza impugnata, costituiva onere del ricorrente non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.” (Cass. 22/01/2013 n. 1435; Cass. 28/07/2008 n. 20518).
19. L’ottavo motivo di ricorso è inammissibile sia in quanto diretto a censurare piuttosto la sentenza di primo grado alla quale esplicitamente si richiama, sia perché non dimostra di avere impugnato la decisione di primo grado in punto di applicazione della tutela reale in quanto omette di riprodurre il contenuto del motivo di gravame asseritamente proposto a riguardo.
19.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, “in primis”, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi. (04/07/2014, n. 15367; Cass. 14/10/2010, n. 21226; Cass. 19/03/2007,n. 6361).
20. Il nono motivo di ricorso è inammissibile per le medesime considerazioni svolte nell’esame del motivo precedente atteso che parte ricorrente ha omesso di trascrivere negli esatti termini il motivo di gravame asseritamente svolto con il ricorso in appello destinato, in tesi, a censurare il governo delle spese di lite e di ctu da parte del giudice di primo grado.
21. Il primo motivo di ricorso incidentale è infondato.
21.1. La doglianza relativa alla omessa indicazione del lavoratore in sostituzione del quale la C. aveva svolto mansioni di preposto presso la filiale di (omissis), oltre a non configurare alcuna omissione di fatto decisivo posto che comunque la sentenza dà atto che si trattava di dipendente avente diritto alla conservazione del Posto, non risulta fondata, atteso che il giudice di appello ha dimostrato di individuare tale lavoratore nella dipendente L. laddove ha dichiarato di confermare la sentenza di primo grado che a detta dipendente aveva fatto riferimento (v. pag. 2 sentenza di appello).
21.2. Quanto alla doglianza relativa all’omesso rilievo che la adibizione alle mansioni di preposto era avvenuta in sostituzione di altro lavoratore, T.G., non avente diritto alla conservazione del posto perché all’epoca trasferito ad altro ufficio, la stessa non trova riscontro nella ricostruzione della vicenda processuale operata dalla ricorrente incidentale e tantomeno, come preteso, negli scritti difensivi della BCC dai quali emerge piuttosto lo spostamento solo temporaneo della dipendente L. determinato da esigenze connesse allo stato di gravidanza della stessa.
22. Il secondo motivo di ricorso incidentale, svolto in subordine, è anch’esso da respingere.
22.1. Invero a prescindere dal rilievo che solo formalmente è denunziata la violazione di norme di diritto mentre in realtà è censurato l’accertamento di fatto del giudice di merito relativo al lavoratore sostituito, occorre evidenziare che parte ricorrente non dimostra, come già evidenziato, sub 21.2., che la dipendente in sostituzione della quale aveva svolto le mansioni di preposto non aveva diritto alla conservazione del posto. Tanto assorbe ogni necessità di verifica in relazione all’altro dipendente che la aveva preceduta presso la sede di (omissis).
23. Atteso il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale le spese di lite sono compensate.
24. La circostanza che i ricorsi siano stati proposti in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale. Compensa le spese di lite.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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