CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 3235 depositata il 5 febbraio 2024
Lavoro – Invalidità licenziamento – Onere di impugnazione – Pagamento differenze retributive – Cessione di azienda – Termine di decadenza – Accoglimento
Fatti di causa
1.- La Corte d’appello di Firenze, con la sentenza in atti, in parziale riforma della sentenza impugnata ha condannato la società il P.L. Srl al pagamento in favore di A.S.L. della complessiva somma di euro 47.250,77 per differenze retributive oltre accessori e ha confermato nel resto la decisione gravata in relazione al rigetto della domanda di ripristino del rapporto ex art 2112 c.c. nonché di pagamento di tutte le retribuzioni maturate e non percepite fino all’effettivo ripristino anche da parte della cessionaria in via solidale.
2.- In particolare la Corte, per quanto ancora di interesse, ha ribadito quanto sostenuto dal primo giudice, in ordine al fatto che la L., non avendo impugnato il recesso intimatole da Il P.L. Srl nel termine di 60 giorni di cui all’art.6 della legge 604/1966, era decaduta dall’impugnazione; non potendo accogliere la tesi della lavoratrice circa l’inapplicabilità nella specie di tale termine (come del successivo termine previsto dalla legge per la contestazione giudiziale del recesso), in quanto il licenziamento sarebbe stato a suo dire intimato in data successiva alla retrocessione dalla affittuaria Il P.L. Srl alla originaria affittante P.P.L. Srl del ramo di azienda nel quale la prestazione della lavoratrice era stata sempre impiegata, cosicchè in effetti il recesso sarebbe stato riferibile a un soggetto divenuto estraneo al rapporto e perciò tamquam non esset.
3.- Secondo la Corte d’appello la tesi della ricorrente violava tanto l’articolo 6 della l. 604 del 1966, tanto l’articolo 32 della legge n. 183 del 2010 il quale precisa che le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966 n. 604 come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento. La lettera della legge era invece inequivocabile nel prevedere l’onere di impugnazione del licenziamento; quale che fosse il vizio che di esso si affermava, con l’unica eccezione derivante dal testo del primo comma dell’articolo 6 della legge 104 del 1966 del licenziamento orale per la mancanza in radice dell’atto dal quale il termine decadenza dovrebbe decorrere.
4.- Ne derivava, secondo la corte fiorentina, che in ogni altro caso e quindi sempre che il licenziamento sia intimato per iscritto, sorge per il lavoratore l’onere di impugnarlo, anche quando l’impugnazione sia diretta a farne valere la nullità, come nella specie, in cui il licenziamento era stato intimato per cessazione dell’attività aziendale a fronte invece della necessaria continuità dell’azienda e dei rapporti di lavoro ad esso afferenti, per effetto della retrocessione e poi della nuova cessione in forza della norma imperativa portata nell’articolo 2112 c.c.
5.- Né diversamente da quanto assumeva l’appellante sarebbe stato in contrario rilevante, già astrattamente, la circostanza che il recesso sarebbe stato in ipotesi intimato dalla formale datrice di lavoro dopo la retrocessione; tanto che non vi era necessità di accertare la fondatezza in fatto della allegazione.
In ogni caso, secondo la Corte, il rapporto di lavoro formalizzato ed effettivamente svoltosi per anni tra l’odierno appellante Il P.L. Srl era stato dalla società risolto per iscritto. Cosicché la lavoratrice restava onerata a far valere l’affermata inefficacia, per essersi il rapporto già trasferito a terzi ex lege, a mezzo e nei termini d’impugnazione ex articolo 6 legge 604/66, prevista a fronte di ogni ragione di invalidità del licenziamento comunque intimato per iscritto.
6.- Inoltre, quanto all’invocata solidarietà delle appellate per il pagamento delle accertate differenze retributive, maturate prima del trasferimento d’azienda, la Corte d’appello ha escluso la responsabilità solidale del cessionario ex art. 2112 c.c. perché era “definitivamente cessato il rapporto di lavoro tra L. e il P.L. in ragione della incontestabilità del licenziamento e perciò esclusa la successione delle appellate nel rapporto di lavoro de quo per effetto della previsione imperativa dell’art. 2112” .
7.- Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.S.L. con due motivi ai quali hanno resistito con controricorso P.P.L. Srl e il P.W.B. Srl.
Sono state depositate memorie dalla ricorrente e da uno dei controricorrenti. La Corte ha riservato la motivazione all’esito della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
1.- Col primo motivo di ricorso ex art. 360 n.3 c.p.c. si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. in combinato disposto con l’art. 6 della legge 604 del 66, là dove la Corte d’appello ha ritenuto che la lavoratrice sarebbe decaduta dall’azione volta a far accertare l’avvenuto trasferimento ex lege del rapporto di lavoro in capo al cessionario a causa della mancata impugnativa del licenziamento intimatogli dal cedente (ancorché) dopo l’avvenuto perfezionamento del trasferimento di azienda.
A fondamento della censura la ricorrente rilevava che nel caso di specie la retrocessione del ramo di azienda, già affittato al P.L. Srl ( precedente datore di lavoro della ricorrente), in capo alla società proprietaria della stessa azienda, e cioè la P.P.L. Srl, società affittante, era avvenuta in data 6 febbraio 2014 e quindi ben prima del licenziamento della lavoratrice intimato soltanto in data 15 febbraio 2014; la norma decadenziale non poteva essere quindi applicata per l’effetto prevalente inderogabile del principio di legge ex articolo 2112 c.c. in base al quale tutti i rapporti di lavoro afferenti l’azienda ceduta si trasferiscono automaticamente per effetto legale inderogabile in capo la nuova subentrante, fermo restando la facoltà per il cedente di intimare il recesso secondo la normativa in materia di licenziamenti.
1.1.- Il motivo è fondato. Secondo la giurisprudenza pacifica e consolidata di questa Corte, il licenziamento intervenuto dopo il passaggio ex lege del rapporto di lavoro, garantito dall’effetto legale ex art. 2112 c.c. in caso di cessione di azienda (o retrocessione), è tam quam non esset e non deve essere impugnato in alcun termine di decadenza, perché non si discute nemmeno di licenziamenti e della relativa disciplina.
La domanda svolta dal lavoratore in tali casi è intesa soltanto a far valere l’effettività del passaggio; ad avvalersi cioè degli effetti ex lege della cessione e non ad impugnare un licenziamento che per essere intervenuto dopo il passaggio è inidoneo ad inficiare gli effetti legali derivanti dal passaggio ed a determinare alcuna estinzione del rapporto; anche per difetto di legittimazione sostanziale e di titolarità del rapporto in capo al cedente.
Il rispetto della normativa sui licenziamenti individuali, ivi compreso l’onere del rispetto della impugnazione, deve ritenersi richiamato dall’art. 2112, 4° comma solo per i casi di possibile recesso da parte del cedente intervenuto prima che l’effetto di continuità garantito dal 1°comma dell’art. 2112 c.c. possa esprimere i suoi effetti.
1.2. La Corte di appello ha affermato il contrario. Sostenendo che non fosse neppure rilevante stabilire in fatto quando sarebbe stato intimato realmente il licenziamento, si è posta quindi in netto contrasto con la giurisprudenza consolidata per l’ipotesi in cui il licenziamento viene intimato dopo il passaggio del lavoratore a seguito di trasferimento d’azienda.
1.3. In questi termini si è ripetutamente pronunciata la Corte di cassazione sia prima, sia dopo la legge n. 183/2010.
Con riferimento alla disciplina precedente alla legge n. 183/2010 rileva, tra le tante, la sentenza n. 8924 del 19/08/1995 la quale ha affermato che “Ai sensi dell’art. 2112 cod. civ. (nel testo vigente prima dell’entrata in vigore dell’art. 47 della legge 29 dicembre 1990 n. 428), qualora il datore di lavoro abbia intimato al lavoratore la disdetta “in tempo utile” – e cioè nel termine previsto da altre disposizioni, eventualmente anche di carattere pattizio – si realizza una ipotesi di licenziamento soggetto alla disciplina di cui alle leggi 15 luglio 1966 n. 604 e 20 maggio 1970 n. 300, licenziamento che, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 604 del 1966 cit. deve essere fondato su un giustificato motivo (quale può essere quello dell’impossibilità di alienare l’azienda senza licenziare tutti o una parte dei dipendenti) e che deve essere impugnato ai sensi dell’art. 6 della legge da ultimo citata; nel caso in cui la disdetta sia stata intimata senza rispettare il termine suddetto, si realizza invece una prosecuzione automatica del rapporto di lavoro, con successione dell’acquirente dell’azienda all’alienante nella posizione di datore di lavoro; in tale ipotesi, non trovando applicazione la citata normativa sui licenziamenti individuali, non sussiste alcun onere di impugnazione a carico del lavoratore il quale può, in caso di contestazione, ottenere dal giudice, previa disapplicazione dell’atto di disdetta invalido, la declaratoria del proprio diritto alla permanenza nel posto di lavoro e l’eventuale condanna del datore di lavoro acquirente al pagamento delle retribuzioni non corrisposte (ferma restando, a norma del secondo comma dell’art. 2112 cod. civ., l’obbligazione solidale dell’alienante per i crediti maturati in favore del prestatore di lavoro, tra cui anche le retribuzioni non pagate, fino al momento del trasferimento).”
1.4. Inoltre, negli stessi termini si era già pronunciata la sentenza n. 2762 del 21/04/1983 che aveva chiarito che “La disdetta intimata ai sensi del primo comma dell’art. 2112 cod. civ. nei confronti dei lavoratori che prestavano la loro opera alle dipendenze dell’alienante, in caso di cessione di azienda, non si sottrae al regime di cui alle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970, sulla giustificatezza del licenziamento, e per tale ragione sussiste l’onere della tempestiva impugnazione del licenziamento intimato in tempo utile rispetto alla cessione dell’azienda, mentre quest’onere viene meno allorché la disdetta non sia tempestiva poiché, in tal caso, è la norma stessa che stabilisce il principio della successione necessaria e incondizionata nel contratto di lavoro”.
Ed il medesimo principio in tempi più risalenti risulta affermato dalla sentenza n. 3901 del 18/08/1978: “ La disdetta intimata ai sensi del primo comma dell’art 2112 cod civ nei confronti dei lavoratori che prestavano la loro opera alle dipendenze dell’alienante in caso di cessione di azienda non si sottrae al regime di cui alle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970 sulla giustificabilità dei licenziamenti; per lo stesso motivo sussiste l’onere della tempestiva impugnazione del licenziamento intimato in tempo utile rispetto alla cessione dell’azienda”.
1.5. Venendo al periodo successivo alla legge n. 183/2010, nella recente ordinanza della Cass. n. 27322/23 si afferma in continuità con i precedenti: “ E’ opportuno sottolineare che la cessione dei contratti di lavoro, nell’ipotesi di accertato trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c. avviene automaticamente, ope legis (Cass. n. 9750/2019, in motivazione) e che, di conseguenza, il licenziamento intimato da soggetto che non rivestiva la qualità di datrice di lavoro è totalmente privo di effetti (Cass. n. 8621/2001)”
1.6. Con la ordinanza n. 8039/2022 questa Corte ha pure evidenziato che “ la continuazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della cessionaria (o della retrocessionaria) si realizza, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., per i lavoratori che sono dipendenti della cedente (o della retrocecedente) al momento del trasferimento o che tali devono considerarsi per effetto della nullità o dell’annullamento del licenziamento, con ripristino o reintegra nel posto di lavoro”. La Corte di appello non si è attenuta a questi principi.
1.7. Sulla stessa scia si pone la sentenza n. 7977/2020 che ha affermato : “soltanto un legittimo trasferimento d’azienda comporta la continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all’art. 2112 c.c. che, in deroga all’art. 1406 c.c., consente la sostituzione del contraente senza il consenso del ceduto.
Ed è evidente che l’unicità del rapporto venga meno, qualora, come appunto nel caso di specie, il trasferimento sia dichiarato invalido, stante l’instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto (già, e non più, cessionario) alle cui dipendenze il lavoratore “continui” di fatto a lavorare”.
1.8.- Nessun elemento contrario, rispetto a quanto sopra osservato, si può desumere dall’art. 32, 4 comma l. n. 183/2010 il quale prevede che le disposizioni di cui all’art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano inoltre:.. c ) alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile con termine decorrente dalla data del trasferimento.
1.9. Anche con riferimento a tale disciplina decadenziale la soluzione fatta propria dalla Corte di appello si pone contro l’indirizzo accolto da questa Corte di legittimità che si è pronunciata esplicitamente più volte, distinguendo chiaramente l’ipotesi in cui il lavoratore impugna la cessione di azienda (a cui va applicata la disciplina della decadenza) da quella in cui chiede, invece, di avvalersene. In tali termini si v. Cassazione ordinanza n. 28790/2019: “11. Come detto, la fattispecie di cui è processo riguarda l’ipotesi in cui il lavoratore non impugna la cessione del contratto di lavoro nell’ambito di un trasferimento ex art. 2112 cod. civ. ma, all’inverso, la rivendica. 12. Rileva il Collegio che sicuramente non è applicabile la ipotesi prevista dalla lettera c) del comma quarto dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010. 13. I precedenti di legittimità di questa Corte -cui si intende dare seguito- sono concordi nel sottolineare che la previsione di cui all’art. 32 co. 4 lett. c) della legge n. 183 del 2010 deve intendersi come relativa alle ipotesi in cui il lavoratore contesti “la cessione del contratto” o, meglio, il passaggio del rapporto di lavoro, mentre restano estranee alla stessa le ipotesi in cui il lavoratore voglia avvalersi del trasferimento di azienda (formalmente deliberato dal datore di lavoro cedente) e, quindi, di ottenere il riconoscimento del passaggio e della prosecuzione del rapporto di lavoro in capo al cessionario oppure chieda di accertare l’avvenuto trasferimento di azienda che assuma realizzato in fatto e, quindi, la prosecuzione del rapporto di lavoro col cessionario (cfr. Cass n. 13648 del 2019; Cass. n. 13179 del 2017; Cass. n. 9469 del 2019; Cass n. 9750 del 2019).”
1.9. Ed il medesimo principio è stato affermato da questa Corte con la sentenza n. 9750/2019: “ La sentenza impugnata ha ritenuto applicabile alla fattispecie di causa la decadenza di cui al citato art. 32, comma 4, lett. C, considerando estensibile la decadenza prevista per il caso in cui il lavoratore si opponga alla cessione del contratto di lavoro come conseguenza del trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c. anche alle ipotesi in cui si verifichi comunque un trasferimento d’azienda ed il lavoratore intenda far accertare l’intervenuta cessione di detto contratto, in conformità all’esigenza di contenere entro tempi ragionevoli lo stato di incertezza (ritenuto particolarmente pregiudizievole specie per il datore di lavoro) scaturente dal trasferimento.
12. Osservava quindi la Corte palermitana che, risultando per tabulas che l’appellante, dopo il trasferimento d’azienda dalla Multiservizi alla S.C.P.A. Servizi Ausiliari Sicilia, intervenuto per sua ammissione in data 1.11.2012, aveva atteso quasi due anni prima di formulare domanda di accertamento del suddetto trasferimento e di sussistenza del rapporto di lavoro con la cessionaria, era evidente la violazione del termine stragiudiziale di 60 giorni decorrente dalla data del trasferimento, entro cui la Bonanno avrebbe dovuto manifestare alla SAS la volontà di far valere nei suoi confronti la cessione del contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’art. 2112 c.c.
13. La tesi seguita dalla sentenza impugnata è erronea.
14. Ed invero, la cessione dei contratti di lavoro nell’ipotesi di trasferimento di azienda avviene automaticamente ex art. 2112 c.c., e nella fattispecie si era peraltro già verificata dal 1.11.12, sicché non vi era alcuna necessità, né onere per il lavoratore, di far valere formalmente nei confronti del cessionario l’avvenuta prosecuzione del suo rapporto di lavoro con quest’ultimo (che ha acquisito contrattualmente l’azienda cedente ed il relativo personale), essendo tale prosecuzione già avvenuta ope legis, sicché è evidente che solo il lavoratore che intenda contestare la cessione del suo contratto di lavoro ex art. 2112 c.c. debba far valere tale impugnazione nel termine di cui all’art. 32, co. 4 lett. c), mentre nella specie, come dedotto dalla stessa controricorrente SAS, egli dedusse “l’intervenuta (e voluta) realizzazione della fattispecie di cui all’art. 2112 c.c. al fine di accertare il passaggio alle dipendenze dell’odierna controricorrente (SAS), e dunque la successione della stessa nel diritto controverso” (pag. 7 controricorso).
15. Del resto l‘art. 32, comma 4, L. n. 183/10 prevede l’applicabilità anche alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’art. 2112 c.c. delle disposizioni in materia di impugnazione del licenziamento di cui all’art.6 (novellato) L. n. 604/66, e dunque, per quanto qui interessa, in materia di impugnazione della cessione del contratto di lavoro per effetto del trasferimento ex art. 2112 c.c., in sostanza allorquando venga impugnata la detta cessione e non certo nel caso in cui la si persegua”.
1.10. Ciò posto, tirando le fila del discorso, deve quindi riaffermarsi che la disciplina della decadenza ex art. 32, comma 4, L. n. 183/10 si applica in caso di cessione di azienda solo quando venga impugnata la cessione ex art. 2112 c.c., oppure quando si impugni il licenziamento intimato prima della cessione, ed ovviamente quando si impugni il licenziamento intimato dal cessionario dopo la cessione. Non viene in rilievo la disciplina dei licenziamenti quando il lavoratore chieda che si accerti la continuità del rapporto alle dipendenze del cessionario.
1.11. Può essere altresì aggiunto che, come osservato in ricorso, non rileva in contrario quanto la Corte territoriale ha sostenuto a proposito dell’assimilabilità al caso in esame, in cui si controverte del ripristino del rapporto con il cessionario, di quello in cui si chiede la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di un soggetto diverso dal formale datore di lavoro, come nella somministrazione irregolare; in cui pure, secondo la Corte territoriale si sarebbe potuto fare “questione del licenziamento intimato da un soggetto effettivamente estraneo al rapporto ed in cui la decadenza sarebbe stata comunque operativa anche nel periodo di vigenza dell’articolo 27 del decreto legislativo 276/2003 e testualmente previsto dall’articolo 39 del decreto legislativo 81/2015, con decorrenza dalla cessazione del rapporto di lavoro con il formale utilizzatore effettivo datore di lavoro”.
1.12. Occorre infatti dire che lo stesso orientamento appena richiamato dalla Corte di appello è venuto meno per effetto dell’art. 80-bis del d.l. n. 34 del 2020 (conv. con modif. dalla l. n. 77 del 2020) il quale esclude che tra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro, menzionati dall’art. 38, comma 3, del d.lgs. n. 81 del 2015, rientri il licenziamento. E tale ultima normativa è stata poi estesa da questa Corte per identità di ratio anche al cd. appalto non genuino di servizi (Cass. n. 32412 del 22/11/2023).
1.13. Va quindi in conclusione ribadito che, nell’ipotesi in cui il licenziamento sia stato intimato dopo il passaggio di azienda ex art 2112 c.c. alle dipendenze del cessionario (o retrocessionario affittante) non si applica la disciplina della decadenza per tutti i motivi già detti, essendo il lavoratore già passato ope legis alle dipendenze del cessionario; con tutto quello che ne consegue anche sulla esistenza della solidarietà tra cedente e cessionario ai fini del pagamento dei debiti, ancorché maturati in precedenza.
2.- Con il secondo motivo si sostiene violazione e falsa applicazione dell’art.2112 c.c. in combinato disposto con l’articolo 360 numero 5 c.p.c. là dove, in relazione alle accertate differenze retributive maturate prima del trasferimento d’azienda, è stata esclusa la responsabilità solidale del cessionario nonostante agli atti fosse documentata, discussa e pacifica la vigenza del rapporto al momento del trasferimento ex articolo 2112 c.c. La Corte d’appello ha infatti escluso la solidarietà ex articolo 2112 cc per il solo fatto che fosse “definitivamente cessato il rapporto di lavoro tra L. e il P.L. in ragione della incontestabilità del licenziamento e perciò esclusa la successione delle appellate nel rapporto di lavoro de quo per effetto della previsione imperativa dell’articolo 2112 cc neppure può farsi questioni della responsabilità solidale di dette appellate per i crediti maturati dalla lavoratrice alla data del trasferimento di azienda sulla base del disposto della norma appena richiamata”.
Il motivo deve ritenersi è assorbito, dovendosi anzitutto accertare in fatto se vi sia stata la cessione precedente, avendo, per quanto già detto, la Corte di appello declinato qualsiasi accertamento sul punto in forza delle pregiudiziali affermazioni già censurate nel motivo precedente.
3.- Sulla scorta delle premesse, va quindi accolto il primo motivo e va dichiarato assorbito il secondo; la sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e rinviata per la prosecuzione alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione che giudicherà anche sulle spese del giudizio di cassazione attendendosi ai principi affermati.
Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso; assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione per la prosecuzione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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