CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 3959 depositata il 13 febbraio 2024
Lavoro – Licenziamento disciplinare (destituzione) per giusta causa – Abbandono dell’attività lavorativa – Violazione delle disposizioni impartite con ordine di servizio – Inammissibilità
Fatti di causa
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Firenze rigettava il reclamo proposto da M.P. contro la sentenza del Tribunale di Pisa n. 82/2020, che pure aveva respinto la sua opposizione all’ordinanza del medesimo tribunale che, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, aveva disatteso le sue domande relative al licenziamento disciplinare (destituzione) per giusta causa intimatogli in data 18.1.2017 dalla C.N. s.r.l., di cui era dipendente, giusta la contestazione disciplinare del 15.11.2016.
2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva il contenuto della lettera di contestazione disciplinare del 15.11.2016, nella quale in sintesi era stato addebitato al lavoratore che, nei giorni 6.10.2016, 11.10.2016, 20.10.2016, 24.10.2016, 25.10.2016 e 26.10.2016, egli, senza essere autorizzato, e mentre era in servizio, aveva reiteratamente abbandonato l’attività lavorativa recandosi con il mezzo aziendale presso la propria abitazione, evidentemente al di fuori della sua attività lavorativa; di aver richiesto indebitamente il pagamento di prestazioni straordinarie per aver terminato il servizio oltre il normale turno di lavoro, nonché di aver contravvenuto alle disposizioni impartite con ordine di servizio n. 431 del 5.10.2015, percorrendo un tragitto fuori da quelli consentiti e/o quelli alternativi giustificabili in caso di problematiche di viabilità e/o traffico.
3. Indi, la Corte riteneva che, contrariamente a quanto opinato dal reclamante e come correttamente rimarcato dal Tribunale, i fatti contestati erano stati ammessi, nell’ambito del procedimento disciplinare, anche con riguardo ai “tempi” – e quindi, alla durata delle “interruzioni” della prestazione – dettagliatamente indicati nella lettera di contestazione. Riteneva, ancora, che il Tribunale, sempre contrariamente a quanto opinato dal reclamante, correttamente non aveva dato ingresso alla prova testimoniale richiesta dallo stesso.
4. Infine, la stessa Corte concludeva che correttamente il giudice di prime cure aveva ritenuto integrata la giusta causa del licenziamento.
5. Avverso tale decisione, M.P. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
6. L’intimata ha resistito con controricorso e successiva memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ex art. 360 n. 3 c.p.c. la “violazione e/o falsa applicazione art. 2697 c.c. in combinato disposto con art. 2735 c.c. e art. 115 cpc – erronea ritenuta ammissione confessoria delle circostanze fattuali contestate”, per avere erroneamente la Corte territoriale affermato che gli addebiti nella loro materialità sarebbero stati ammessi da parte del ricorrente, sia nella fase disciplinare precedente al ricorso introduttivo e sia anche in sede di ricorso giudiziale. Secondo il ricorrente, infatti, la stessa Corte avrebbe confuso tra ammissione del fatto storico dei rientri in casa (questo certamente mai contestato) e ammissione invece circa i tempi di permanenza a casa (fatto mai ammesso e rimasto privo di ogni riscontro probatorio in assenza, peraltro, di ogni prova fornita sul punto dall’azienda).
2. Con un secondo motivo denuncia ex art. 360 n. 3 c.p.c. la “violazione e/o la falsa applicazione art. 244 c.p.c. – erronea ritenuta inammissibilità e/o irrilevanza della prova orale dedotta dal ricorrente in punto di recupero del tempo trascorso a casa”.
3. Con il terzo motivo denuncia ex art. 360 n. 3 c.p.c. la “violazione e/o falsa applicazione art. 44-45 R.D. 8.1.1931 n. 148, in combinato disposto con l’art. 18 L. 300/1970”.
4. Il primo motivo è inammissibile.
4.1. Esso, al di là della formale deduzione in termini di violazione di legge, si risolve nella proposizione di una diversa lettura delle risultanze processuali rispetto a quella compiuta dai giudici di merito, peraltro in una ipotesi di doppia conforme ricostruzione fattuale in primo e in secondo grado. La Corte territoriale, infatti, ha confermato il giudizio già espresso dal Tribunale che <i fatti contestati sono stati ammessi, nell’ambito del procedimento disciplinare, anche con riguardo ai “tempi” – e, quindi, alla durata delle “interruzioni” della prestazione – dettagliatamente indicati nella lettera di contestazione>.
5. Quanto, poi, alla pur dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., secondo questa Corte, con riguardo al novellato articolo 115 c.p.c., spetta al giudice del merito apprezzare nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, la esistenza e il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti allegati dalla controparte e tale accertamento è sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione, nei limiti in cui lo stesso sia tuttora denunciabile, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. (così Cass., sez. I, 12.5.2022, n. 15256).
5.1. Ebbene, nel caso di specie, la Corte distrettuale, quanto alla posizione assunta dal lavoratore nel corso del procedimento disciplinare, ha tratto l’ammissione da parte dello stesso dei fatti contestatigli anche in relazione ai “tempi indicati dall’Azienda”, secondo la stessa Corte, indicati “dettagliatamente” nella lettera di contestazione disciplinare, in tal senso facendo ampio e testuale riferimento sia al verbale di audizione dell’incolpato in data 16.11.2016 che alla comunicazione a mezzo p.e.c., avente ad oggetto “giustificazioni del dipendente M.P., in data 30.11.2016”(v. in extenso pagg. 11-13 della sua sentenza).
Si è in presenza, perciò, di una valutazione di precise fonti di prova documentale non censurabile come tale in questa sede di legittimità.
6. Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente la Corte territoriale non ha altresì affermato che gli addebiti nella loro materialità erano stati ammessi dal lavoratore “anche in sede di ricorso giudiziale”.
La Corte di merito, più precisamente, ha piuttosto condiviso motivatamente l’osservazione contenuta nella sentenza oggetto di reclamo che anche “il sistema di difese svolto (…) nella prima fase dava sostanzialmente per scontata la materialità dei fatti contestati, dei quali semmai il ricorrente tentava di sostenere l’irrilevanza sul piano disciplinare o una loro minore gravità”, facendo anche riferimento a specifici passi del ricorso introduttivo originario (cfr. ancora una volta in extenso pagg. 13-14 dell’impugnata sentenza).
6.1. Ma, anche sotto tale profilo, l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione in ambito, questa volta, giurisdizionale, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (cfr. Cass., sez. II, 28.10.2019, n. 27490).
7. Il secondo motivo è allo stesso modo inammissibile.
7.1. Il giudizio sulla idoneità della specificazione dei fatti dedotti nei capitoli di prova – che va comunque condotto non solo alla stregua della letterale formulazione dei capitoli medesimi, ma anche ponendo il loro contenuto in relazione agli altri atti di causa ed alle deduzioni dei contendenti – costituisce apprezzamento di merito non suscettibile di sindacato in sede di giudizio di cassazione se correttamente motivato (così Cass., sez. I, 31.1.2007, n. 2201; id., sez. II, 19.2.1997, n. 1513; id., sez. lav., 3.10.1995, n. 10371).
La Corte di merito, con apprezzamento conforme ai criteri enunciati dal giudice di legittimità (ex multis Cass. n. 2149 del 29/01/2021) non si è limitata a considerare la formulazione letterale dei due capitoli di prova in questione (cfr. pag. 14 della sentenza), ma, da un lato, ha notato che essi erano dissonanti rispetto all’ammissione dei fatti contestati da parte dell’istante e, dall’altro, non ha mancato di considerare che la “collocazione temporale”, tra le ore 8,00 e le ore 12,00, di quanto si chiedeva di provare risultava generica in confronto alle puntuali indicazioni in contestazione disciplinare (pure riportata in sentenza alle pagg. 8-11) anche dei tempi di permanenza in casa addebitati al lavoratore, ogni volta di circa due ore, ma in orari ben precisi.
8. La stessa Corte, inoltre, ha ritenuto <che, comunque, la “comprovanda” circostanza (essersi l’odierno reclamante trattenuto presso la propria abitazione non più di trenta minuti), anche ove confermata, non è(ra) dirimente ai fini della decisione> (cfr. inextenso pag. 16 della sentenza).
9. Inammissibile, infine, è il terzo motivo.
9.1. Il ricorrente, infatti, si sofferma su quella che egli stesso definisce “un’autonoma e ulteriore ratio decidendi” relativa all’incolpazione concernente lo straordinario, idonea a fondare la legittimità del licenziamento anche nel caso in cui la restante parte dell’addebito fosse stata ritenuta non fondata.
9.2. Va richiamato in proposito il consolidato orientamento di legittimità in forza del quale nel caso in cui la decisione sia fondata su due rationes decidendi l’inammissibilità o infondatezza del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (ex multis Cass. n. 15399 del 13/06/2018).
10. Il ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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