CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza depositata il 19 luglio 2022

Reato di Sfruttamento del lavoro – Reclutamento di lavoratori di provenienza straniera – Approfittamento dello stato di bisogno – Omesso accertamento – Esclusione

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 17 febbraio 2022 il Tribunale per il riesame di Bari ha sostituto, con il divieto di esercitare uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, la misura dell’obbligo di dimora nel comune di residenza e dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, applicata dal G.I.P. a V.C. in quanto gravemente indiziato dei delitti di cui agli artt. 110, 603 bis commi 1^, nn. 2) e 3), 3^, nn. 1), 2), 3) e 4) e 4^ n. 1) cod. pen., per avere, in qualità di datore di lavoro, in concorso con B.S., in qualità di reclutatore, assunto o comunque utilizzato manodopera, costituita da decine di lavoratori di provenienza straniera, fra i quali M.C., N.O., D.A., M.S. e J.T., allo scopo di destinarla alla coltivazione di terreni agricoli nella sua disponibilità, sottoponendo i medesimi lavoratori a condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno.

2. Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione V.C., a mezzo del suo difensore, affidandolo a due motivi.

3. Con il primo il ricorrente lamenta la falsa applicazione dell’ad 603 bis cod. pen. ed il vizio di motivazione, sotto il profilo della contraddittorietà e della manifesta illogicità, in relazione alla sussistenza degli indizi di colpevolezza del reato provvisoriamente ascritto. Rileva che il compendio indiziario, come riportato dall’ordinanza genetica, consiste unicamente nelle intercettazioni telefoniche di cui al RIT 1422/2020, relative alle interlocuzioni di B.S. con C., nonché in servizi di osservazione dei luoghi di lavoro, svolti per verificare la presenza di braccianti di nazionalità straniera, non essendo mai stati assunti a sommarie informazioni i lavoratori coinvolti. Sostiene che dall’insieme dei dati acquisiti non è possibile, in alcun modo, ricavare l’accertamento dello stato di bisogno dei braccianti impiegati da C.. Osserva che l’assoluta carenza investigativa è resa evidente dal fatto che il pubblico ministero, dopo l’applicazione della misura cautelare, ha formulato istanza di incidente probatorio per l’escussione dei lavoratori, sulla quale, peraltro, il G.I.P. non si è ancora pronunciato. Ciò rende evidente l’assenza del grave quadro indiziario a carico di V.C.. Sottolinea che l’approfittamento dello stato di bisogno non può essere desunto dalle condizioni di sfruttamento, essendo il primo inerente ad una condizione soggettiva del lavoratore, ed il secondo alla manifestazione di oggettive condizioni lavorative, valutabili ai sensi dell’art. 603 bis, comma 3 cod. pen.. Rileva che, nel caso di specie, manca sinanco un’inequívoca dimostrazione delle condizioni di sfruttamento. Ed invero, le investigazioni che riguardano V.C. hanno avuto origine da un’attività di indagine dei Carabinieri, relativa alla G.s.r.l.s., nel luglio 2020, nel corso della quale era stato individuato B.S., quale presunto reclutatore ed erano stati identificati ed escussi a sommarie informazioni i braccianti operanti presso quell’azienda agricola. Ciò aveva consentito di verificare che S. svolgeva il ruolo di intermediario, occupandosi anche degli adempimenti burocratici relativi alle assunzioni; che quei braccianti vivevano in condizioni igienico-sanitarie pessime, presso l’area dell’ex pista di B.M.; che i medesimi percepivano la retribuzione orarie di euro 5,00 all’ora; che non erano loro stati forniti dispositivi di protezione individuali e che essi non erano stati sottoposti a visita medica. Le indagini in seguito erano proseguite nei confronti di altri imprenditori, fra cui C., sostanzialmente solo attraverso le attività di intercettazione. Nondimeno, dalle conversazioni intercorse fra S. e C. nulla si evince in ordine al trattamento economico dei lavoratori reclutati dal primo per lavorare nell’azienda del secondo, né sulla mancata fornitura di materiale antinfortunistico, né sulla mancata sottoposizione a visite mediche, tanto che il Tribunale per il riesame, prendendo atto del tenore dei dialoghi, è costretto ad ipotizzare che ‘con tutta probabilità, la retribuzione non fu esplicitamente oggetto delle conversazioni fra i due coindagati, per la semplice ragione che tra costoro vi era evidentemente una conoscenza anteriore e pregressi rapporti di lavoro, onde il puntuale riferimento alla paga oraria era superfluo. Si tratta, tuttavia, di un ragionamento del tutto congetturale, che non consente di estendere l’accertamento effettuato per la G.s.r.l.s a C., non potendo sostenersi che se i lavoratori reclutati da S. per quell’azienda erano oggetto di sfruttamento, allora anche quelli reclutati per C. erano sottoposti alle medesime condizioni lavorative. Assume che l’ordinanza palesa la debolezza argomentativa nella parte in cui afferma essere dubbio che i lavoratori utilizzati da C., anche regolarmente assunti, fossero dotati di dispositivi di protezione individuale, perché i verbali di consegna sono moduli prestampati non compilati e che recano firme dei lavoratori illeggibili. Non solo, infatti, mal si comprende cosa vieti di riprodurre il modulo di consegna su prestampati, trattandosi di documenti tutti uguali, ma la formula dubitativa utilizzata dal tribunale dimostra che non vi è atto di polizia giudiziaria da cui risulti che gli operanti abbiano potuto constatare la materiale assenza concreta dei dispositivi di protezione. Manca, dunque, del tutto l’accertamento della sussistenza delle condizioni di sfruttamento lavorativo.

4. Con il secondo motivo fa valere la violazione della legge processuale, in relazione al disposto dell’art. 309, comma 9 cod. proc. pen.. Assume che la disposizione non permette, a fronte della formulazione di istanza di riesame da parte del solo indagato, di riformare in peius la misura cautelare applicata. Ciononostante, il Tribunale per il riesame ha sostituito la misura coercitiva dell’obbligo di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria, con la misura interdittiva del divieto di esercitare uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, ritenendo che quella imposta con l’ordinanza genetica non fosse idonea ad impedire la commissione di fatti della medesima specie, essendo il luogo di residenza coincidente con quello della sede dell’impresa. La disposizione di cui all’art. 309, comma 9 cod. proc. pen., nondimeno, non consente, quando il solo indagato abbia fatto ricorso al rimedio cautelare di sostituire la misura con altra più afflittiva, tale dovendosi ritenere in concreto quella interdittiva, non essendovi una predeterminazione gerarchica che consenta di ritenere a priori le misure coercitive più gravi di quelle interdittive.

Conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

5. Con requisitoria scritta il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso va accolto.

2. Il primo motivo è fondato.

3. L’ordinanza impugnata, che pure si dilunga nel tracciare il quadro degli indici di sfruttamento -di cui all’art. 603 bis, comma 3^ cod. pen.- desunto dalle intercettazioni disposte nei confronti di S. che coinvolsero C., nulla dice sulla sussistenza dello stato di bisogno dei lavoratori coinvolti, nonostante il chiaro disposto dell’art. 603 bis, comma 1″ cod. pen. consenta di comprendere che la condizione di sfruttamento che non si avvantaggi dello stato di bisogno non integra il reato. E’, infatti punita ai sensi del n. 1) del primo comma dell’art. 603 bis, la condotta di colui che recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi, in condizioni di sfruttamento approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori. Mentre è punita ai sensi del n. 2) dello stesso comma la condotta di chi utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione a di cui al n. 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno. La semplice lettura dell’art. 603 bis, comma 1^ cod. pen. , dunque, rende evidente che il legislatore ha scelto di punire non lo sfruttamento in sé, ma solo l’approfittamento di una situazione di grave inferiorità del lavoratore, sia essa economica, che di altro genere, che lo induca a svilire la sua volontà contrattuale sino ad accettare condizioni proposte dal reclutatore o dall’utilizzatore, cui altrimenti non avrebbe acconsentito.

Questa Sezione ha recentemente osservato che con l’art. 603 bis cod. pen. “il legislatore ha scelto di utilizzare la locuzione “stato di bisogno”, già usata nel nostro ordinamento con riferimento ad istituti civilistici ed altri reati (quali, ad esempio, l’usura nell’originaria configurazione), e non quella “posizione di vulnerabilità”, di matrice sovranazionale (cfr. art. 3 del Protocollo traffiking e la nota dei lavori preparatori; art. 2 direttiva 2011/36/EU), che, nell’art. 1 della decisione del Consiglio Cee 19 luglio 2002, n. 629, sulla lotta alla tratta degli esseri umani, viene definita come quella situazione in cui la persona non abbia altra scelta effettiva ed accettabile se non cedere all’abuso di cui è vittima. Al contrario, nella formulazione dell’art. 600 cod.pen. (riduzione o mantenimento in schiavitù e servitù), si è fatto espressamente riferimento alla “posizione di vulnerabilità” della vittima”. Si tratta di una scelta lessicale non priva di conseguenze e che comporta che – nell’individuare lo stato di bisogno- non occorra “indagare sulla sussistenza di una posizione di vulnerabilità, da intendersi, secondo le indicazioni sovranazionali, come assenza di un’altra effettiva ed accettabile scelta, diversa dall’accettazione dell’abuso – indagine che, peraltro, anche nella fattispecie di cui all’art. 600 cod.pen. è alternativa rispetto alla verifica di altre e diverse situazioni di debolezza della vittima, specificamente indicate dal legislatore”. Lo stato di bisogno, infatti non si identifica “con uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come un impellente assillo e, cioè una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, in grado di limitare la volontà della vittima, inducendola ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose” (Sez. 4, Sentenza n. 24441 del 16/03/2021, Sanítrasport soc. coop. Soc., Rv. 281405, con cui si è ritenuto immune da censure il provvedimento impugnato che aveva ravvisato lo stato di bisogno nella condizione di difficoltà economica delle vittime, capace di incidere sulla loro libertà di autodeterminazione, trattandosi, in quel caso, di persone non più giovani e non particolarmente specializzate, e quindi prive della possibilità di reperire facilmente un’occupazione lavorativa; cfr. anche Sez. 4, Sentenza n. 7861 del 11/11/2021, dep. 04/03/2022, C. Rv. 282604, in motivazione).

4. Non basta, dunque, che ricorrano i sintomi dello sfruttamento, come indicati dal terzo comma dell’art. 603 bis cod. pen., ma occorre l’abuso della condizione esistenziale della persona, che non coincide solo con la sua conoscenza, ma proprio con il vantaggio che da quella volontariamente si trae.

5. Sul punto l’ordinanza omette ogni considerazione limitandosi a sostenere che S. Bakary, ritenuto vero e proprio anello di congiunzione fra i rappresentanti delle imprese coinvolte, operanti nel settore agricolo sul territorio, ed braccianti ospitati all’interno del campo di B.M. svolgeva attività di reclutamento di manodopera che versava ‘in palese stato di bisognò, per destinarla ‘allo svolgimento di lavori nei campi in condizioni di sfruttamento.

Lo stato di bisogno, presupposto indefettibile della condotta di cui all’art. 603 bis cod. pen., nondimeno, non viene tratteggiato dall’ordinanza impugnata nelle sue linee essenziali né nel suo risvolto oggettivo, relativo alla descrizione stessa della concreta condizione di bisogno, né in quello soggettivo, relativo alla consapevolezza della sua esistenza ed alla volontà di approfittamento da parte di colui che sfrutta il lavoratore.

Si dimentica, invero, che se l’assunzione di una persona di cui si conosce lo stato di bisogno non è di per sé sintomatica di sfruttamento, laddove siano rispettate le prerogative retributive ed orarie del lavoratore e sia garantita la sua sicurezza sul luogo di lavoro, al contrario, lo sfruttamento -in via meramente astratta- può non essere derivante dall’approfittamento dello stato di bisogno, quando quest’ultimo non sia configurabile in capo al lavoratore che accetta le condizioni di lavoro delineate dal terzo comma dell’art. 603 bis cod. pen.. Benché si tratti di un’ipotesi residuale, avuto riguardo al fatto che lo sfruttamento lavorativo è normalmente accompagnato dalla grave difficoltà del lavoratore di autodeterminarsi in modo meno deprezzante, è certamente è possibile che lo sfruttamento non si accompagni all’approfittamento dello stato di bisogno, quando questo sia non sia conosciuto, o sinanco oggettivamente manchi.

La motivazione del provvedimento gravato appare, quindi, gravemente carente, non potendosi ritenere soddisfatto l’onere giustificativo della decisione con il semplice accenno al fatto che i lavoratori risiedevano nel campo di B.M., avendo questa stessa Sezione già chiarito che sebbene “non possa negarsi che soggiornare in un Centro di accoglienza costituisca una condizione di disagio, trattandosi di alloggiamenti che implicano condizioni di promiscuità dei servizi e l’assenza degli ordinari agi di un’abitazione, ciò nondimeno ciò non integra di per sé lo stato di bisogno” (Sez. 4 n. 3941/2022 del 11/11/2021, A., non massimata).

6. L’accoglimento del profilo di doglianza implica l’assorbimento delle ulteriori censure.

7. L’ordinanza deve, dunque essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Bari, Sezione per il riesame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Bari, competente ai sensi dell’art. 309, co. 7 c.p.p..