Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 11277 depositata il 2 aprile 2020
reati tributari – misura cautelari reali – sequestro preventivo funzionale alla confisca – fatture per operazioni inesistenti
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 16 settembre 2019, il Tribunale di Imperia, in qualità di giudice del riesame delle misura cautelari reali, ha rigettato il ricorso proposto da C.A. avverso il provvedimento del Gip del Tribunale di Imperia con il quale è stato disposto – nel corso di indagini aventi ad oggetto la commissione da parte del C.A. del reato di cui all’art. 2 del dlgs n. 74 del 2000 per avere egli, in qualità di titolare della omonima ditta individuale, utilizzato negli anni di imposta 2015, 2016 e 2017 fatture passive relative ad operazioni inesistenti, emesse dalla impresa L.E. in tal modo realizzando un risparmio di imposta complessivamente quantificato in euro 149,816,00 – il sequestro preventivo funzionale alla confisca del profitto diretto o per equivalente dei beni, mobili od immobili, facenti capo al C.A. sino alla concorrenza della imposta non versata.
Il ricorrente, riporta il Tribunale del riesame, senza contestare il merito del provvedimento in questione, si è limitato a censurare le modalità di esecuzione della misura, cui è stato dato corso attraverso il sequestro dei saldi attivi di due conti correnti bancari riferiti all’indagato.
Nel rigettare il ricorso il Tribunale di Imperia ha precisato che la misura deve intendersi strumentale alla confisca diretta per quanto concerne le somme che erano già giacenti sul conto del C.A. al momento della commissione dei reati e per equivalente per ciò che attiene a somme ivi affluite successivamente.
Avverso il predetto provvedimento ha interposto ricorso per cassazione l’indagato lamentando la violazione di legge per non avere il Tribunale del riesame né accertato né motivato in ordine alla esistenza di danaro giacente sui conti correnti del C.A. al momento di commissione dei reati contestati né sulla esistenza dei presupposti per la adozione della misura cautelare, finalizzata al sequestro per equivalente.
Quale secondo motivo di impugnazione il ricorrente ha lamentato la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza delle ragioni di diritto e di fatto poste a sostegno della richiesta di sequestro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è inammissibile.
Con un primo motivo di impugnazione la difesa del prevenuto ha obbiettato, in termini non sempre di immediata percepibilità, che l’ordinanza impugnata sarebbe stata viziata, sotto il profilo della violazione di legge, in quanto, dando per presupposto che il sequestro operato fosse funzionale ad una confisca diretta, il Tribunale del riesame, e prima di esso il Gip ed il Pm richiedente, avrebbe dovuto verificare la presenza di attivo finanziario sul conto corrente bancario intestato al ricorrente sia al momento della scadenza dei debiti tributari sia al momento della emissione della misura cautelare che a quello della sua esecuzione; solo rilevata la mancanza di danaro nel patrimonio dell’indagato sarebbe stato possibile ricorrere a forme di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente.
Non avendo il Tribunale provveduto ad accertare quanto sopra indicato, non risultando se il C.A. avesse o meno disponibilità liquide nei momenti sopra indicati, il provvedimento di sequestro sarebbe illegittimo.
Il motivo di impugnazione, la cui piena comprensibilità è, come detto, piuttosto problematica, appare destituito di ogni fondamento.
Come evidenziato, infatti, nella ordinanza impugnata, il vincolo derivante dal provvedimento di sequestro preventivo emesso in danno dell’indagato dal Gip del Tribunale di Imperia ed eseguito tramite la apposizione del vincolo sulle somme depositate dall’indagato su due conti correnti bancari intestati a suo nome, deve essere inteso – come d’altra parte espresso anche in sede di sua emissione, essendo il medesimo stato emesso sia in quanto finalizzato alla confisca diretta che a quella per equivalente – come strumentale alla confisca diretta – posto che il profitto del reato commesso dall’indagato può essere ricondotto al risparmio di spesa conseguito attraverso il mancato pagamento delle imposte nella misura invece da lui stesso dovuta – con riferimento alle somme di danaro costituenti l’ammontare dell’attivo bancario esistente al momento in cui l’indagato avrebbe dovuto provvedere al pagamento delle imposte ed, invece, non lo ha fatto o, almeno, non lo ha integralmente fatto.
Deve, invece, intendersi, per la eventuale parte eccedente l’ammontare dell’attivo di cui sopra, cioè per le rimesse bancarie operate successivamente alle predette scadenze tributarie, come sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, non potendo ritenersi che le somme di danaro la cui disponibilità l’indagato abbia conseguito dopo la commissione dei delitti a lui provvisoriamente contestati possano essere considerate alla stregua del profitto del reato.
Tanto rilevato, considerato che nei confronti dell’autore dell’illecito tributario è possibile, ove ne fosse dichiarata la penale responsabilità, procedere alla confisca del conseguito profitto del reato sia in forma diretta che per equivalente, nessun vizio è riscontrabile nella ordinanza emessa dal Gip, e confermata in sede di riesame, che ha, appunto disposto il sequestro dell’ammontare delle imposte evase, in vista della possibile confisca diretta dell’immediato profitto del reato ove lo stesso sia tuttora reperibile, ovvero della confisca per equivalente della eventuale importo residuo della parte di profitto che non sia più presente, nella sua ontologica individualità, nel patrimonio dell’attuale ricorrente.
Passando al secondo motivo di ricorso, riguardante la pretesa mancanza di motivazione della ordinanza impugnata in ordine alla ragioni che hanno giustificato la misura, si rileva che si tratta di doglianza del tutto inammissibile per la sua estrema genericità.
Premesso, infatti, che in tema di ordinanze cautelari emesse in sede di riesame ovvero di appello la possibilità di sottoporre le medesime a ricorso per cassazione è limitata alla sola soggezione delle stesse al vizio di violazione di legge, si rileva che, con riferimento alla motivazione della ordinanza ora impugnata, un siffatto vizio è ravvisabile solo nel caso in cui il provvedimento impugnato non contenga la esposizione delle ragioni che hanno condotto il giudicante ad assumere la decisione impugnata ovvero, pur essendo questa presenta, essa non consenta di ricostruire l’iter seguito per assumere la decisione presa.
Nel caso in esame, per un verso la motivazione della ordinanza è ben chiara ed esauriente nell’esprimere le ragioni del provvedere, e, per altro verso, il ricorrente non ha assolutamente chiarito, come sarebbe stato invece necessario gravando su quello il relativo onere, a quale doglianza da lui formulata in sede di ricorso per il riesame cautelare il Tribunale avrebbe omesso di rispondere o avrebbe risposto in termini esclusivamente “apparenti”.
Per le esposte ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente, visto l’art. 616 cod. proc. pen, va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende
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