Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 1561 depositata il 16 gennaio 2018
INOTTEMPERANZA ALLA RICHIESTA DI DOCUMENTI PROVENIENTE DALL’ISPETTORATO DEL LAVORO – RICHIESTA EFFETTUATA VIA POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA – LEGALMENTE DATA – SUSSISTE
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 16 giugno 2016, il Tribunale di Ravenna ha condannato MG, alla pena di € 300,00 di ammenda, per il reato di cui all’art. 4 comma 7 della legge 628 del 1961, perché, quale amministratore unico della O. Società Cooperativa di produzione e lavoro, invitato a fornire informazioni e documenti per gli accertamenti di competenza dell’Ispettorato del Lavoro di Ravenna, non esibiva entro il termine indicato quanto richiesto dalla Direzione territoriale del Lavoro di Ravenna. Fatto commesso in Ravenna il data successiva al 20/12/2012.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo con un unico motivo di ricorso la violazione di legge penale per assenza dell’elemento soggettivo del reato.
Argomenta il ricorrente di non aver ricevuto la pec datata 10/12/2012 in quanto tale strumento di comunicazione non era nella sua disponibilità, di non occuparsi delle questioni attinenti ai rapporti con la Direzione Territoriale del lavoro, che la raccomandata del Ministero del Lavoro datata 28 maggio 2013 era stata ricevuta dal ricorrente solo dopo la cessazione della carica. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4.- Il ricorso è inammissibile per genericità del motivo a sostegno dell’impugnazione.
5.- Risulta, in punto di fatto, per come accertato dalla sentenza impugnata con giudizio insindacabile in questa sede e neppure contestato dal ricorrente, che in data 11 ottobre 2012 era stata effettuata una ispezione presso la cooperativa di produzione e lavoro, che l’ispettore aveva fatto richiesta di acquisizione di documentazione, inerente ad una segnalazione di un lavoratore che lamentava la mancata retribuzione e corresponsione degli assegni famigliari, al responsabile del personale che si era impegnato all’inoltro entro il termine del 22/10/2012. A seguito del mancato adempimento, l’ente inviava una prima lettera raccomandata che, tuttavia, veniva restituita al mittente seguita da una comunicazione all’indirizzo pec della società, estrapolato dalla visura camerale aggiornata in data 10/12/2012, comunicazione telematica andata «a buon fine» come da ricevuta di ricevimento alla data del 21/12/2012. Infine, l’accertamento della violazione con la prescrizione con cui era invitato ad eliminare irregolarità, era stata notificata personalmente al ricorrente mediante raccomandata presso la sua residenza e ricevuta dal medesimo in data 7 giugno 2013.
6.- Sulla scorta di tali dati fattuali la sentenza impugnata ha fondato la responsabilità per la fattispecie contravvenzionale richiamando l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’omessa risposta integra il reato in parola anche quando la richiesta di esibizioni, di fornire risposte non siano rivolte al datore di lavoro personalmente, in quanto è sufficiente che la richiesta venga notificata alla sede legale della ditta affinché possa dirsi e ritenersi conoscibile la richiesta medesima al legale rappresentante della stessa, non essendo richiesta anche la notifica alla persona fisica (Sez. 3, n. 12923 del 20/02/2008, Terranova, Rv. 239353; Sez. 3, n. 28701 del 25/05/2004, D’Ambra, Rv. 229432).
A tal proposito, ai sensi dell’art. 4 comma 7 della legge 22 luglio 1961 n. 628, la richiesta di fornire informazioni deve essere “legalmente” data e tale deve ritenersi quella inviata all’indirizzo pec della società, essendo un mezzo legale di comunicazione per le società che offre garanzie di accertamento sulla data di spedizione e di ricevimento da parte del legale rappresentante.
Se il datore di lavoro è una società, destinatario della notifica è il suo legale rappresentante, sicché la notifica è regolare in presenza di richiesta inoltrata all’indirizzo di posta elettronica certificata, indicato dalla società nel registro delle imprese, trattandosi di richiesta «legalmente data» ai sensi dell’art. 4 cit. perché, in tal caso, il rappresentante legale è posto in condizione di conoscerla e di ottemperare a quanto richiesto e il giudice di verificare la data di conoscenza della richiesta stessa al fine di accertare l’inottemperanza.
7.- Tutto ciò premesso, il motivo di doglianza non si confronta con le motivazioni della sentenza impugnata che ha tratto la prova della conoscenza y.) della richiesta di informazioni dell’Ispettorato del lavoro, dalla richiesta orale al personale della società e dalla prova della ricezione di tale richiesta inoltrata all’indirizzo di posta elettronica certificata ricavato dal registro delle imprese, che contiene i dati indentificativi della società tra cui anche l’indirizzo pec della stessa (per effetto dell’art. 16 comma 6 del Decreto Legge 185/2008, conv. nella legge n. 2 del 2009 che prescrive l’obbligo di dotarsi di un indirizzo pec entro il termine del 29 novembre 2011 e di comunicarlo al registro delle imprese), restando così del tutto generica, oltre che priva di rilievo, la affermazione di non aver il ricorrente accesso alle e_mail della società di cui è legale rappresentante, essendo il mancato accesso alla consultazione delle e mali a lui certamente e colposamente imputabile.
8.- Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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