Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 31220 depositata il 16 luglio 2019

Ricavi in nero – Presunzioni bancarie – Fattispecie

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza adottata in data 15 novembre 2018, e depositata in data 14 dicembre 2018, il Tribunale di Palermo ha respinto l’istanza di riesame presentata da E.C. avverso il provvedimento emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo che aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca delle somme di denaro giacenti su conti o rapporti intestati alla ditta di E.C., alla stessa personalmente ed al marito D.N., ritenuto amministratore di fatto dell’impresa, nonché, per equivalente, dei beni ai medesimi riferibili fino a concorrenza di 2.043.281,14 Euro.

Il sequestro preventivo si riferisce al profitto del reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 4, avente ad oggetto le dichiarazioni infedeli presentate ai fini delle imposte sui redditi negli anni 2013, 2014, 2015 e 2016 per gli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, e relative all’evasione delle somme di 507.632,16 Euro per l’anno 2012, di 498.335,89 Euro per l’anno 2013, di 456.129,52 Euro per l’anno 2014, e di 581.183,57 per l’anno 2015.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe l’avvocato RV, difensore di E.C., articolando un unico motivo, con il quale si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 110 c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e artt. 125, 321, 322 ter, 324 e 325 c.p.p., a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), avendo riguardo alla affermazione della sussistenza del fumus commissi delicti per erronea applicazione del criterio del c.d. “accertamento bancario”.

Si premette che, con memoria scritta depositata all’udienza di riesame, si era evidenziato, in particolare, che: a) l’imponibile dichiarato per ciascun anno dalla ricorrente era perfettamente idoneo a comprendere i “versamenti” di denaro effettuati sui conti bancari; b) i “prelevamenti”, addebitabili a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, solo se il contribuente non ne indica il beneficiario, erano stati compiutamente giustificati dopo l’attività di verifica; c) gli imponibili non indicati dal contribuente, e rilevati da accertamenti diversi da quelli bancari, non erano idonei a superare la cd. “soglia di punibilità” prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4.

Si rappresenta, poi, che secondo l’ordinanza impugnata: a) i “versamenti” sono sì genericamente compatibili con i redditi accertati, ma, stante l’assenza di una giustificazione analitica, potrebbero “provenire anche da altre fonti non riconducibili al reddito di impresa dichiarato, rappresentando eventuali incassi in nero”; b) i “prelevamenti” sono stati giustificati medianti semplice elencazione dei nomi dei beneficiari, senza alcuna giustificazione della causale delle operazioni o della effettività della destinazione ai soggetti indicati, e senza alcun supporto documentale.

Si deduce, quindi, che: a) i “versamenti” rilevanti ai fini delle rettifiche del reddito di imposta, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, sono solo quelli dei quali il contribuente non “ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta”, o privi di “rilevanza allo stesso fine”, per cui deve ritenersi sufficiente l’indicazione nelle dichiarazioni fiscali, a titolo di ricavi per l’attività di impresa, di importi di gran lunga superiori ai “versamenti” accertati mediante gli accertamenti bancari, come avvenuto nella specie e documentato nei quadri RG, VE e VT dei Modelli unico; b) i “prelevamenti”, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2), possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti solo “se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario”, come conferma copiosa giurisprudenza (si citano: Sez. 3, 23/01/2013, n. 7078; Sez. 6 civ., n. 13036 del 24/07/2012; Corte Cost., n. 225 del 2005), e sebbene la difesa abbia esattamente precisato i beneficiari di tutti gli assegni e bonifici; c) gli importi imponibili non indicati dal contribuente, e rilevati da accertamenti diversi da quelli bancari, non sono idonei a superare la c.d. “soglia di punibilità” di cui all’art. 4 cit.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito precisate.

2. La ricorrente contesta che, ai fini dell’individuazione dell’imposta evasa e degli elementi attivi sottratti all’imposizione, nessun elemento a suo carico può essere desunto dagli accertamenti bancari, in applicazione delle presunzioni previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, perché i versamenti rilevati dagli inquirenti sono relativi ad importi nettamente inferiori ai ricavi dichiarati per l’attività di impresa, mentre per i prelievi sono stati compiutamente indicati i beneficiari.

2.1. Le censure formulate nel ricorso non sembrano contestare, in linea di principio, che la valutazione concernente la sussistenza del fumus commissi delicti necessario per disporre il sequestro preventivo possa essere fondata su presunzioni legali previste da norme tributarie, ma solo il modo in cui queste ultime sono state applicate, e, precisamente, il significato attribuito alle previsioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32.

In ogni caso, è utile premettere che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur non potendo costituire di per sé sole fonte di prova della commissione dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, hanno un valore indiziario sufficiente ad integrare il fumus commissi delicti idoneo, in assenza di elementi di segno contrario, a giustificare l’applicazione di una misura cautelare reale (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 26274 del 10/05/2018, Malluzzo, Rv. 27331801, e Sez. 3, n. 7078 del 23/01/2013, Piccolo, Rv. 254852-01, entrambe proprio in materia di presunzioni derivanti da accertamenti bancari a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32).

Occorre considerare, inoltre, che, con accertamenti diversi da quelli bancari, i cui risultati non sono contestati, sono stati accertati ulteriori ricavi della ditta di E.C. pari: a) per il 2012, a 207.889,63 Euro; b) per il 2013, a 235.364,94 Euro; c) per il 2014, a 225,638,60 Euro; d) per il 2015, a 339.441,95 Euro; e) per il 2016, a 159.885,95 Euro (cfr., per questi dati, la memoria difensiva depositata in sede di riesame ed allegata al ricorso).

2.2. Per valutare la correttezza delle modalità di applicazione delle presunzioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, occorre prendere in esame il dato normativo e l’elaborazione della giurisprudenza tributaria.

La previsione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, dettata in materia di accertamento delle imposte sui redditi, per la parte di specifico interesse, recita: “I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) (ossia mediante accertamenti bancari) e dell’art. 33, commi 2 e 3, o acquisiti ai sensi del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 18, comma 3, lett. b), sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a Euro 1.000 giornalieri e, comunque, a Euro 5.000 mensili”.

La giurisprudenza di legittimità in materia tributaria ritiene che la presunzione posta dall’art. 32 cit., possa essere superata solo se il contribuente offra una analitica giustificazione delle operazioni bancarie rilevate.

In particolare, secondo un vasto indirizzo ermeneutico, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili (così, tra le tante, Sez. 5 civ., n. 15857 del 29/07/2016, Rv. 640618-01, e Sez. 5 civ., n. 18081 del 04/08/2010, Rv. 615112-01). Anzi, secondo recenti decisioni, in tema di accertamenti bancari, non solo il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, ma anche il giudice di merito, proprio per assicurare l’effettività di tale adempimento, è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione (così Sez. 5 civ., n. 10480 del 03/05/2018, Rv. 648064-01).

2.3. Ciò posto, deve ritenersi che la presunzione stabilita dall’art. 32 cit. possa essere superata mediante dimostrazione analitica che le singole operazioni, di versamento e di prelievo, o sono estranee ad operazioni imponibili o comunque all’attività di impresa, o sono state specificamente registrate nelle scritture contabili ai fini della determinazione del reddito.

Invero, l’art. 32, comma 1, n. 2, D.P.R. cit. prevede che “i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a Euro 1.000 giornalieri e, comunque, a Euro 5.000 mensili” sono “posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili”.

È perciò irrilevante, per escludere l’applicazione della presunzione in questione, dedurre che i versamenti corrispondono globalmente ad importi inferiori rispetto alle entrate complessivamente registrate nelle scritture contabili, senza però indicarne la corrispondente registrazione, o che i prelievi siano stati indirizzati a questo o quel beneficiario, senza però evidenziarne l’estraneità all’attività di impresa o, al contrario, l’annotazione nelle scritture contabili.

3. All’infondatezza delle censure proposte segue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.