CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 31420 depositata il 7 luglio 2018
Reati tributari – Evasione di imposta – Responsabilità dell’amministratore unico – Decreto di sequestro preventivo su propri beni – Legittimità
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 28 novembre 2017, il Tribunale del riesame di Brescia ha rigettato il ricorso proposto, ex art. 322 cod.proc.pen., da M.T.B. e, per l’effetto, ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice delle indagini preliminare del Tribunale di Brescia, ex art. 321 cod.proc.pen., 322-ter cod.pen. e art. 1 comma 143 della legge n. 244 del 2007 e art. 12 bis d.lgs 74 del 2000, fino alla concorrenza di € 3.027.250,83, eseguito parzialmente sui beni della ricorrente (gioielli e un motociclo).
1.1. La misura cautelare reale è stata disposta nell’ambito di indagini svolte nei confronti – tra gli altri – della B. in ordine, come da cautelare, al reato di cui all’art. 5 d.lvo 3 marzo 2000, n. 74, presentato, quale amministratore unico e socio della S.I.I. (…) srl, la dichiarazione annuale relativa alle imposte sul reddito e sul valore aggiunto delle persone giuridiche, per gli anni di imposta 2013 – 2014, con evasione di imposta di € 3.027.250,83 (capo b), nonché del reato di cui all’art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per avere, nella medesima qualità, compiuto atti fraudolenti, al fine di sottrarre i beni alla procedura di recupero del credito dell’erario, consistiti, in data 15/12/2015, in atto di scissione parziale e proporzionale con trasferimento del patrimonio ad altra società (V.I. srl), riconducibile alla medesima indagata, con esclusione dei debiti tributari, seguito in data 28/04/2016, da atto di cessione dell’intero capitale sociale a prezzo irrisorio (€ 200,00) e della legale rappresentanza a persona pregiudicata, per reati in materia economica e riciclaggio, che avviava la procedura di liquidazione, reati rispetto ai quali il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Brescia ha ravvisato i gravi indizi di colpevolezza ed ha applicato nei confronti della B. la misura degli arresti domiciliari.
2. Propone ricorso per cassazione l’indagata, a mezzo del proprio difensore, e chiede l’annullamento dell’ordinanza per i seguenti motivi enunciati nei limiti cui all’art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo, secondo e terzo motivo, che per evidenti ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, deduce l’inosservanza e la violazione della legge in relazione all’art. 321 cod.proc.pen., art. 111 Cost. con riferimento al fumus commissi delicti del reato di cui all’art. 3 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (capo a), non avendo esplicitato, il provvedimento impugnato, le ragioni a sostegno del requisito medesimo anche sotto il profilo del contributo causale dell’indagata alla perpetrazione della frode fiscale ex art. 3 cit.. Argomenta la ricorrente che, secondo un’interpretazione costituzionalmente sarebbe errato ritenere che nel concetto di violazione di legge, ex art. 325 cod.proc.pen., possa ritenersi ricompreso anche il vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, diversamente ragionando resterebbe frustrato il fine di controllo dell’autorità giudiziaria sui provvedimenti emessi.
2.2. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) e 125 comma 3 cod.proc.pen., in relazione all’omessa valutazione degli elementi a discolpa contenuti nell’atto di riesame.
2.3. Con il quinto e sesto motivo deduce l’inosservanza e la violazione della legge in relazione all’art. 321 cod.proc.pen., con riferimento al fumus commissi delicti del reato di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capo b) e art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (capo c), non avendo esplicitato il provvedimento impugnato le ragioni a sostegno del fumus delicti anche sotto il profilo del contributo causale e soggettivo dell’indagata alla perpretazione del reato di omessa dichiarazione e atti fraudolenti al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte.
Il contributo della ricorrente ai reati sarebbe frutto di una mera congettura, quanto al reato di cui all’art. 5 cit., e frutto di un travisamento dei fatti con riguardo al reato di cui all’art. 11 cit. poiché l’indagata era diventata amministratrice in un momento successivo alla fraudolenta operazione di scissione proporzionale, essendo tali atti stati compiuti dal di lei figlio, come risulterebbe da pag. 9 dell’ordinanza applicativa del G.I.P.
2.4. Con il settimo motivo deduce la violazione di legge per inosservanza degli artt. 322 ter cod. pen.E art. 1 comma 143 della legge 244 del 2007. La natura sanzionatoria della confisca per equivalente comporterebbe che la stessa non possa essere applicata a persona estranea al reato poiché, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di reati tributari il sequestro funzionale alla confisca per equivalente ha carattere obbligatorio e deve essere subordinato alla verifica del fumus commisi delicti.
In data 14 marzo 2018, il difensore della ricorrente ha depositato memoria contenente motivi nuovi.
Ha ribadito l’insussistenza del fumus commisi delicti in relazione al capo a) – art. 3 del d.lvo. n. 74 del 2000, in relazione al capo b), poiché a causa dell’impossibilità di ricostruire le vicende societarie a causa dell’arresto dell’amministratore R.M., l’omessa presentazione delle dichiarazioni era una operazione straordinaria di scissione realmente avvenuta e in assenza del connotato di fraudolenza poiché il programma contrattuale era diretto ad ottenere il denaro, proveniente dalla scissione, per pagare i debiti verso i terzi creditori, sicchè non potrebbe ravvisarsi il reato contestato (cfr. sentenza della Corte di cassazione n. 10161 del 06/03/2018).
Considerato in diritto
4. Il ricorso è infondato/manifestamente infondato in forza delle seguenti considerazioni.
5. Va rilevata l’inammissibilità del primo, secondo e terzo motivo di ricorso, e con esso anche primo motivo nuovo depositato in data 14 marzo 2018, con i quali si censura il provvedimento impugnato in relazione al reato di cui all’art. 3 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, capo a) reato per il quale non è stata disposta la misura cautelare reale, come si evince dall’ordinanza impugnata e dal decreto di sequestro del Giudice in data 9 ottobre 2017 e successiva integrazione in data 25 ottobre 2017. Dal provvedimento impugnato risulta, infatti, che il reato di frode fiscale di cui all’art. 3 cit. è estraneo all’ambito applicativo della misura cautelare reale che è disposta unicamente in relazione ai reati di cui all’art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (capo b) e art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 (capo c).
Non di meno, inammissibile è anche il profilo devoluto con il quale si invoca il sindacato sul vizio di motivazione secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 325 cod.proc.pen.
Osserva questa Corte che, in tema di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen. consente il sindacato di legittimità, per espressa volontà legislativa, soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, ma anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal Giudice (Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093). Non può, invece, essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di cui alla lett. e) dell’art. 606, stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).
Così delineato l’ambito di cognizione e sindacato del giudice di legittimità appare inammissibile il motivo di ricorso con cui la ricorrente invoca l’estensione del perimetro di sindacato di questa corte nel giudizio di legittimità avverso ai provvedimenti in materia di misure cautelari. Perimetro che, deve rammentarsi, è limitato, per espressa indicazione del legislatore, al vizio di violazione di legge, in esso ricompreso la carenza/assenza di motivazione sussumibile nella violazione dell’art. 125 comma 3 cod.proc.pen., disposizione normativa che non è estensibile in via interpretativa alla illogicità e/o contraddittorietà della motivazione, come argomenta il ricorrente, vizio denunciabile sono attraverso l’art. 606 comma 1 lett e) cod.proc.pen., non apparendo manifestamente irragionevole la disposizione normativa nel quadro di sistema e tenuto conto dei diversi interessi in gioco nell’ambito delle diverse procedure incidentali sulle misure cautelari personali e quelle reali.
6. Manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso, che si presenta anche affetto da genericità.
Contrariamente all’assunto difensiva il Tribunale cautelare ha congruamente motivato le argomentazioni per le quale ha disatteso le censure difensive sia con riguardo al fumus del reato di cui all’art. 5 cit. che dell’art. 11 cit., evidenziando che la ricorrente in qualità di amministratore della S.I.I. (…) srl, non aveva presentato la dichiarazione dei redditi relativi
agli anni 2013 e 2014 e che la medesima ricopriva la carica di amministratore sin dal’11 ottobre 2010 (e non dal 2015 come sostiene la difesa), sicché destituita di fondamento era la pretesa estraneità dal reato, che risultava integrato dalla circostanza documentale dell’omessa presentazione con evasione di imposta superiore alla soglia di rilevanza penale secondo i calcoli indicati nel decreto del 25 ottobre 2017. Parimenti, ha congruamente disatteso le prospettazioni difensiva circa l’insussistenza del fumus con riguardo all’art. 11 cit. (su cui vedi infra), sicché non appare prospettabile alcun vizio di carenza di motivazione.
7. Passando all’esame delle censure devolute nel quinto e sesto motivo di ricorso, che attengono ai reati per i quali è stata applicata la misura cautelare, esse appaiono infondate in forza delle seguenti considerazioni.
Contrariamente all’assunto difensiva, il Tribunale cautelare, con accertamento insindacabile in questa sede perché sorretto da congrua motivazione, ha dato atto che la ricorrente era amministratore unico della (…) srl, sin dall’11 ottobre 2010 ed, inoltre, sempre; dal 2000, era proprietaria della società assieme alla figlia, per il tramite di due fiduciarie, che, per i periodi d’imposta relativi agli anni 2013 e 2014, la (…) Srl non presentava dichiarazioni dei redditi e del valore aggiunto, pur beneficiando del guadagno collegato ad una plusvalenza generata da una precedente operazione immobiliare, così evadendo l’imposta sul reddito e sul valore aggiunto in misura superiore alla soglia di rilevanza penale, ritenendo così integrato il fumus del reato di omessa presentazione, ex art. 5 cit. contestato al capo b) dell’incolpazione.
Poi la medesima, in data 15/12/2015, effettuava atto di scissione parziale e proporzionale con cui trasferiva l’intero patrimonio sociale, ma non il debito tributario, alla V.I. Srl, società sempre a lei riconducibile cui seguiva, in data 28 aprile 2016, atto di trasferimento dell’intero capitale sociale al prezzo di euro 200,00, a fronte di un valore di EURO 110.000, e nonché la legale rappresentanza ad un prestanome in quale avviava poi la procedura di liquidazione.
Argomentava il Tribunale che per effetto sinergico degli indicati atti, la (…) rimaneva una scatola vuota, sicché il complesso delle operazioni straordinarie non poteva che essere finalizzato a mettere al riparo il patrimonio sociale da possibili azioni esecutive dell’erario da cui il fumus in relazione al reato di cui all’articolo 11 del d.lvo n. 74 del 2000 (capo c).
8. Ribadito che il sindacato di questa Corte deve essere limitalo alla verifica della violazione di legge, in essa ricompresa l’assenza o apparenza di motivazione, con esclusione, quindi, del dedotto vizio di motivazione, il fumus del reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, è stato congruamente argomentato e la motivazione è tutt’altro che apparente. La condotta materiale non è messa in dubbio risultando indubbia l’omissione e il superamento della soglia di rilevanza penale del reato di cui all’art. 5 cit. e il Tribunale ha espressamente apprezzato anche la censura difensiva tesa ad escludere l’attribuzione soggettivo del reato all’indagata, che ha disatteso, evidenziando che la ricorrente ricopriva la carica sociale ben prima del 2015, e che, dunque, quale amministratore era il soggetto tenuto alla presentazione delle dichiarazioni delle persone giuridiche.
Il giudizio sul requisito del fumus è stato correttamene ravvisato e argomentato anche con riferimento all’art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 di fronte all’operazione straordinaria di scissione parziale e proporzionale, e successiva cessione del capitale sociale, operazioni sinergiche attraverso le quali la ricorrente aveva messo al riparo da azioni esecutive dell’erario per il debito fiscale il patrimonio sociale.
Le argomentazioni difensive, ivi comprese quelle svolte nei motivi aggiunti non sono condivisibili tenuto conto degli arresti della giurisprudenza di legittimità anche di recente ribaditi nella sentenza S.U. n. 12213/2018 (S.U. 21/12/2017, Zucchi, Rv. 272171) e il richiamo al precedente di questa sezione non è pertinente rispetto al caso concreto.
Come è noto, l’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall’art. 29, comma 4, d.l. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito con modificazioni nella legge n. 122 del 30 luglio 2010, sanziona, alternativamente, la condotta di chi, allo scopo di sottrarsi al pagamento di imposte (sui redditi o sul valore aggiunte o di interessi o sanzioni relativi a tali imposte), aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Attraverso l’incriminazione della condotta prevista, il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell’Erario (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 36290 del 18/05/2011, Cualbu, Rv. 251077, secondo cui l’oggetto giuridico del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte non è il diritto di credito del fisco, bensì la garanzia generica data dai beni dell’obbligato, potendo quindi il reato configurarsi anche qualora, dopo il compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell’imposta e dei relativi accessori). Parimenti la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nel ritenere la natura di reato di pericolo concreto della fattispecie in esame (cfr. da ultimo, Sez. 3, n. 35853 del 11/05/2016, Calvi, Rv. 267648, che ha affermato che il delitto in questione è reato di pericolo, integrato dall’uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare – secondo un giudizio “ex ante” – l’attività recuperatoria della amministrazione finanziaria; nonché, Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Pass, Rv. 266771, con richiami ai numerosi precedenti conformi).
Quanto alla condotta del reato, accanto all’alienazione simulata, il legislatore ha individuato l’ulteriore condotta del compimento di «altri atti fraudolenti», diversi dalla alienazione simulata, la cui idoneità a sottrarre i beni al pagamento del debito tributario è stata valutata dal legislatore in via generale e astratta, la cui natura fraudolenta diretta a sottrarre il bene al pagamento delle imposte deve caratterizzare l’atto. Non v’è dubbio che nel novero degli «altri atti fraudolenti» debbano essere ricompresi sia atti materiali di occultamento e sottrazione dei propri beni (sparizione materiale di un bene senza ma anche atti giuridici diretti, secondo una valutazione concreta, a al pagamento delle imposte.
Ancora di recente sulla nozione di atto fraudolento sono intervenute le S.U. n. 12213/2018 che hanno testualmente affermato che «Con riguardo alla nozione di “atto fraudolento” contenuta nella disposizione dell’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, laddove, con terminologia mutuata dall’ art. 388 cod. pen., si sanziona la condotta di chi, «al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto […] aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva>>, questa Corte ha osservato che deve essere considerato atto fraudolento <<ogni comportamento che, formalmente lecito (analogamente, del resto, alla vendita di un bene), sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva, Rv. 252996), ovvero che è tale <<ogni atto che sia idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero (per la verità con una sovrapposizione rispetto alla simulazione) ovvero qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione» (Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 2017, Di Tullio, Rv. 268797)>>.
Ciò premesso, va qui ricordato che il Tribunale cautelare ha ravvisato l’atto fraudolento nel complesso delle operazioni poste in essere dalla ricorrente e segnatamente l’atto di scissione parziale e proporzionale della società debitrice seguito dalla cessione del capitale sociale a prezzo vile e dal trasferimento della legale rappresentanza della società ad un prestanome, che ha avviato le procedure della liquidazione della medesima società, ormai “vuota” di beni e attività, in quanto deprivata del patrimonio trasferito alla V.I., e nella quale era rimasto il debito tributario. La valutazione sinergica e complessiva delle operazioni sociali messe in atto, è stata valutata dal Tribunale, condotta integrante l’atto fraudolento richiesto dall’art. 11 cit.
Non ignora, il Collegio, il precedente di questa sezione richiamato dalla difesa, ma ne evidenzia la non pertinenza nel caso concreto, laddove nel caso in scrutinio vengono in rilievo in stretta connessione due operazioni sociali e tra loro collegate.
La fattispecie richiamata dal ricorrente, e oggetto della pronuncia di questa sezione nella quale era stata compiuta unicamente una operazione di scissione societaria, è diversa dal caso in scrutinio nel quale l’atto fraudolento si è sostanziato in due diversi atti societari (l’atto di scissione proporzionale e quello successivo di cessione del capitale sociale, atti compiuti temporalmente dopo che era sorto il debito fiscale della società dalla quale si era scisso il patrimonio con attribuzione dello stesso ad altra società), la cui lettura sinergica ha condotto il Tribunale a ravvisare il connotato di fraudolenza che è stato ritenuto sussistente in presenza di stratagemma artificioso del contribuente a sottrarre i beni sociali in tutto o in parte alle ragioni dell’erario.
Si tenga conto che l’operazione complessiva è stata realizzata nel 2015 dopo l’omessa dichiarazione e la realizzazione di una plusvalenza negli anni 2012-2013, che aveva già generato, nel 2013-2014, il debito tributario di cui la ricorrente medesima aveva piena contezza (si rammenta che era legale rappresentante dall’ottobre 2011) e che non aveva assolto e che neppure intendeva onorare vista l’omissione di denuncia.
Anche a seguire la tesi della sentenza citata dalla ricorrente, l’operazione societaria di scissione proporzionale con cessioni di quote, secondo il programma contrattuale delineato sopra, ancorché scollegata dalla cessione del capitale sociale e dal trasferimento della rappresentanza legale e dalla successiva messa in liquidazione, cagionava già essa stessa un pregiudizio alle ragioni dell’erario, poiché, con la sottrazione della garanzia patrimoniale per effetto «della scissione proporzionale realizzata, si rendeva difficoltosa, «in tutto o in parte», la riscossione coattiva del debito tributario che, proprio perché posta in essere in epoca successiva all’insorgere del debito, non poteva che assumere già il connotato di «atto fraudolento» delle ragioni del creditore erario, a nulla rilevando che l’eventuale corrispettivo della cessione, peraltro meramente ipotizzato, fosse stato utilizzato al pagamento dei creditori, rivelando, semmai, proprio l’intento fraudolento, che sottendeva il compimento dell’atto, nella preferenza eventualmente accordata ad altri creditori diversi dall’erario. In cgni caso, va notato che nella struttura ontologica del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, l’idoneità” delle condotte è riferita all’inefficacia della esecuzione esattoriale sia “in tutto” sia “in parte”. Il che appunto sta a significare che anche una non totale diminuzione della garanzia patrimoniale generica offerta dal patrimonio del debitore fiscale, deve pacificamente considerarsi condotta penalmente rilevante nell’ambito di questo titolo di reato (Sez. 3, n. 6798 del 16/12/2015, Arosio, Rv. 266134).
Non si tratta di far discendere dal compimento da una operazione societaria, di per sé neutra, l’atto fraudolento ex art. 11, ma di valutare se il compimento dell’atto straordinario, per come concretizzatosi nel caso concreto in eventuale sinergia con altri atti sociali e segnatamente, nel caso che ci occupa, con la successiva cessione del capitale sociale a prestanome a cui è stata trasferita la legale rappresentanza della società, con successiva messa in liquidazione della società scissa, possa costituire uno stratagemma artificioso, una condotta di inganno idonea a frustrare la garanzia patrimoniale e la riscossione “in tutto o in parte” coattiva del credito. In altri termini, anche il compimento di un’operazione di scissione societaria, valutata in relazione non soltanto al momento in cui l’atto di scissione viene posto in essere, ma anche in relazione alle vicende successive alla scissione medesima e al compimento di altri atti societari, può costituire quell’atto negoziale fraudolento e/o simulato idoneo ad integrare il reato in questione (Sez. 3, n. 232 del 27/09/2017, P.M. in proc. Zattera, Rv. 272173; Sez. 3, n. 19595 del 09/02/2011, Vichi, Rv. 250471).
Tale conclusione non può dirsi contraddetta dal principio secondo cui, con specifico riferimento alla scissione, per i debiti tributari rispondono tutte le società beneficiarie ricorrendo un regime di solidarietà illimitato e senza beneficium excussionis, ex art. 15, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997, essendo la solidarietà limitata al valore effettivo del patrimonio netto attribuito a ciascuna società beneficiaria, ex art. 2506-bis, comma 3, cod. civ., per i soli debiti non tributari (Corte costituzionale n. 90 del 2018). La Corte costituzionale, con la citata sentenza (intervenuta nelle more della redazione della motivazione) del dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 173 comma 13, TUIR e dall’art. 15 comma 2 d.lgs n. 472/1997, sollevate in riferimento a Cost., dalla CTP di Pisa, ha affermato che l’amministrazione finanziaria può vantare una situazione più favorevole rispetto ad altri creditori sociali, e tale trattamento differenziato appare giustificato, sul piano costituzionale del rispetto del principio di uguaglianza e di ragionevolezza, proprio dalla connotazione di specialità dei crediti tributari. La Corte rileva come “la necessità che sia assicurato il regolare adempimento delle obbligazioni tributarie si traduce infatti nell’esigenza di conservazione della piena garanzia ex art. 2740 cod. civ. sul patrimonio della società originaria”.
La mancata limitazione della responsabilità solidale appare, dunque, giustificata dalla specialità dei crediti tributari e risponde ad un criterio di adeguatezza e proporzionalità.
Non di meno, vige il principio della temporaneità dell’obbligazione solidale secondo il disposto dell’art. 14 comma 1 del d.lgs 18 dicembre 1997, n. 472, il quale limita la responsabilità del cessionario dell’azienda per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo, anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore. Cosicché, tenuto conto che nel caso in esame il debito era sorto ben oltre due anni prima dell’operazione straordinaria, appare chiaramente la natura artificiosa e fraudolenta dell’intera operazione straordinaria complessivamente realizzata, essendo vanificata la responsabilità solidale e illimitata della società beneficiaria della scissione in ragione dell’epoca temporale nella quale l’operazione straordinaria è stata compiuta.
Conclusivamente, il Tribunale cautelare che con motivazione corretta ha ritenuto sussistente il fumus con riguardo al delitto di cui all’art. 11 cit., ravvisando la condotta di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, inteso come stratagemma artificioso del contribuente, tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario, nel compimento di atto di scissione societaria proporzionale, come realizzata nell’atto posto in essere dalla ricorrente, seguita dalla successiva cessione del capitale sociale a prezzo vile a prestanome, trattandosi di atti posti in essere dopo che si era formato il debito tributario e che valutati sinergicamente evidenziavano in sé l’abuso di strumenti giuridici rientranti solo in apparenza nella fisiologica della vita aziendale o societaria.
9. Infine, l’avere in posto in essere la B., nella qualità di legale rappresentante, gli atti (operazione di scissione societaria e cessione del capitale sociale) che integrano il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento dell’imposte, costituiscono il presupposto applicativo nei suoi confronti della misura cautelare reale. Da qui la infondatezza del settimo motivo di ricorso.
10. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, e la ricorrenti condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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