Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 27411 depositata il 22 giugno 2023
bancarotta fraudolente documentale – esclusione del reato per l’amministratore di diritto (c.d. testa di legno) se manca la consapevolezza
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado, con la quale il Tribunale di Busto Arsizio aveva ritenuto G.G. responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, per avere, in qualità di liquidatore -a far data dal 14.02.2012- della società “I.A. s.r.l. in liquidazione”, dichiarata fallita il 10.10.2014, e in concorso con A.L., amministratore unico sino alla data di liquidazione, sottratto o comunque omesso di tenere, allo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, tutti i libri e le scritture contabili prescritti dalla legge, così impedendo la ricostruzione del patrimonio sociale e del movimento degli affari.
2. Avverso la sentenza, ha presentato ricorso l’imputato, per il tramite del suo difensore di fiducia, Avv. S.S., articolando le proprie censure in un unico, articolato motivo, col quale deduce violazione della legge penale in relazione agli 216, primo comma, n. 2), seconda parte, e al comb. disp. degli artt. 216, primo comma, n.2), seconda parte e 217 I. fall, per avere la Corte territoriale ravvisato nella condotta dell’imputato gli estremi del reato di bancarotta fraudolenta documentale, anziché di quello di bancarotta documentale semplice. A parere della difesa, la raggiunta prova dell’assenza della documentazione contabile prima dell’accettazione nel 2012, da parte del G.G., della nomina di liquidatore, priverebbe di fondamento la configurazione del dolo eventuale, ravvisato invece dalla Corte territoriale, secondo la quale, attraverso l’accettazione di quella carica, l’imputato aveva altresì accettato il rischio di condotte illecite da parte dell’amministratore di fatto A.L..
La condotta dell’imputato, delineata dai Giudici d’appello in chiave di concorso omissivo nel reato commissivo dell’amministratore di fatto A.L., deriverebbe, dunque, da un’errata contestazione, che avrebbe al limite dovuto essere formulata ponendo l’accento sul fatto che G.G. avesse accettato l’incarico di liquidatore pur avendo constatato l’assenza della documentazione societaria. In termini logici, la condotta contestata al G.G. è esclusa dal fatto che le scritture contabili non erano state predisposte o, forse, erano addirittura state sottratte o distrutte da altri. La Corte territoriale avrebbe disatteso l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale – nel caso di specie, da ravvisarsi nel dolo specifico, non avendo chiarito gli elementi in base ai quali affermare la coscienza e la volontà, in capo all’imputato, di realizzare le condotte fraudolente di cui all’art. 216, primo comma, n.2), l. fall.
3. Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con l. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, T.E., il quale, ritenendo il ricorso fondato nella parte in cui censura la non corretta applicazione dei principi in tema di dolo di concorso con riferimento al tipo di bancarotta documentale contestata, chiede pronunciarsi l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è Questa Corte ha chiarito che l’amministratore di diritto risponde, unitamente all’amministratore di fatto, per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo di impedire, essendo sufficiente, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo svolga attività illecita (cfr., ad es., Sez. 5, n. 32413 del 24/09/2020, Loda, Rv. 279831 – 01); tuttavia, si è altresì specificato come tale consapevolezza non possa dedursi dal solo fatto che il soggetto abbia accettato di ricoprire formalmente la carica di amministratore. Ed infatti, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, il mero amministratore di diritto (cd. testa di legno), come nella specie è risultato essere il G.G., risponde di tale reato, anche se sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita, in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Rv. 271754). A tal proposito, ritiene il Collegio che, dalla motivazione dell’impugnata sentenza, non emerga la dimostrazione di tale effettiva consapevolezza in capo al ricorrente.
La Corte territoriale ha ritenuto integrato il dolo eventuale, senza però illustrare il fondamento di una siffatta conclusione e senza indagare il rapporto, in concreto, con il dolo specifico richiesto dalla fattispecie contestata o approfondire il profilo del pregiudizio per i creditori o dell’ingiusto profitto perseguito nel caso di specie. Va infatti ricordato che, in più punti dell’iter motivazionale, la Corte territoriale, in coerenza col capo d’imputazione, ha fatto riferimento all’omessa tenuta delle scritture o alla sottrazione delle stesse.
Pur dopo aver ribadito ciò, la Corte d’appello, operando un rinvio alla giurisprudenza di questa Corte in tema di differenza strutturale tra le due ipotesi di condotta di cui all’art. 216, primo comma, n. 2, l. fall. (da un lato, l’omessa tenuta delle scritture, ovvero la loro distruzione o il loro occultamento, e, dall’altro, quella relativa alla fraudolenta tenuta delle stesse: sul punto, v., ex plur., Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, Rossi, Rv. 271611 – 01), compie, però, un salto logico, affermando che “nel caso di specie, essendo integrata la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale cd. generica di cui alla seconda parte dell’art. 216, primo comma, n. 2, l. fall.,”è sufficiente il dolo generico, non essendo anche necessario che l’amministratore formale si sia rappresentato e abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilità “
E’ allora necessario ribadire che, secondo la ferma giurisprudenza di questa Corte, «in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma primo, n. 2), legge fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture che, invece, integra un’ipotesi di reato a dolo generico e presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi» (nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che, a fronte della contestazione di un’ipotesi di sottrazione o distruzione della contabilità, aveva affermato la responsabilità dell’imputato per la diversa ipotesi di concorso nell’omessa regolare tenuta delle scritture contabili, dando peraltro atto nella motivazione dell’assenza della prova di una “sia pur parziale tenuta delle scritture contabili”: Sez. 5 – , Sentenza n. 26379 del 05/03/2019, Inverardi, Rv. 276650 – 01; Sez. 5, n. 2228 del 04/11/2022, dep.2023, Occhiuzzi, Rv. 283983 – 01).
Inoltre, come anche di recente ricordato da questa Corte (Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, Gualandri, n.m.), una volta contestata la condotta per la quale è richiesto il dolo specifico, il giudice deve accertare la sussistenza delle prove in riferimento a tale ipotesi, non potendo, a fronte di una omessa tenuta della contabilità, anche parziale o limitata ad un determinato arco temporale, ritenere integrata, piuttosto, la condotta di tenuta irregolare della stessa.
L’onere motivazionale si fa anche più stringente nelle ipotesi, tra cui rientra a pieno titolo la fattispecie in esame, in cui non si ravvisino condotte distrattive di alcun tipo; in tali casi, è necessaria una motivazione particolarmente rigorosa sull’elemento soggettivo dell’addebito di bancarotta fraudolenta documentale, perché in tal caso la prova non può giovarsi della presunzione per la quale l’irregolare tenuta delle scritture contabili è di regola funzionale all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale.
Ciò è tanto più vero nel caso della bancarotta fraudolenta documentale a dolo specifico che, come ricordato, può manifestarsi anche in forma di parziale omissione; in tal caso, è possibile ritenere il dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice, purché sorretto da adeguata motivazione che dia conto anche della specifica funzione delle scritture contabili e della finalizzazione della loro omissione alla determinazione dell’evento su cui deve cadere la rappresentazione e la volontà del soggetto agente. In tal senso, la motivazione resa dall’impugnata sentenza soffre di un evidente lacuna, essendosi la Corte territoriale limitata ad affermare la “consapevolezza”, in capo all’imputato, “di consentire all’amministratore di fatto di poter contare sullo schermo formale rappresentato da un soggetto al quale veniva imputata la rappresentanza della società proprio nel momento in cui si palesavano le condizioni della società che ne determinavano il successivo fallimento.” Non avendo la Corte d’appello indicato ulteriori, e più probanti, elementi a sostegno del dolo specifico, va senza dubbio esclusa la possibilità di far rientrare la condotta del ricorrente in quella punita a titolo di dolo generico, la cui struttura fenomenica, come ribadito – in quanto basata su scritture che, per quanto incomplete o inidonee alla ricostruzione dell’andamento dell’impresa, sono state sottoposte agli organi fallimentari – risulta del tutto eccentrica rispetto alla condotta omissiva, anche parziale, contestata nel caso di specie.
2. Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.