Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 37326 depositata il 6 settembre 2019
Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte – Scissione societaria per eludere il fisco – Punibilità – Sussiste
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Messina rigettava l’appello, proposto ai sensi dell’art. 310 c.p.p., avverso l’ordinanza del 29/01/2019, con cui il Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale aveva applicato la misura cautelare di cui all’art. 290 c.p.p., per la durata di un anno, nei confronti di D.F. e di I.P., in riferimento ai delitti di cui: a) all’art. 110 c.p., L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1, art. 219 comma 1, art. 223, in (omissis); b) all’art. 110 c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, in (omissis).
In particolare gli indagati, in qualità, rispettivamente, il D. di amministratore e titolare dell’85% delle quote della società (omissis) s.r.l., e la I. di titolare del 15% delle quote della predetta società, dichiarata fallita con sentenza del 19.07.2017 del Tribunale di Messina:
– in concorso tra loro, nonché con L.C.A. e P.B., distraevano, occultavano e dissimulavano i beni della predetta società, trasferendo alla (omissis) s.r.l., costituita a seguito di scissione e con socio unico I.P., beni per un valore di quasi 5.000.000 di Euro della (omissis) s.r.l., cui residuavano debiti, anche di natura tributaria, per circa 1.500.000 Euro; cedendo tutte le quote della (omissis) s.r.l. al prestanome O.O. per evitare le conseguenza giuridiche e patrimoniali della predetta operazione; cedendo il ramo d’azienda relativo alla gestione della (omissis) s.r.l. alla (omissis), società il cui amministratore legale era D.F.; con le aggravanti di aver cagionato un danno di rilevante gravità e di aver commesso una pluralità di fatti di bancarotta;
– con le sopra descritte condotte compivano atti fraudolenti sui beni della medesima società al fine di sottrarla al pagamento di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, nonché di interessi e sanzioni amministrative relativi a dette imposte, rendendo inefficace le procedure di riscossione coattiva; fatto aggravato per essere l’ammontare di imposte, interessi e sanzioni superiore a 200.000 Euro.
2. D.F. e I.P. ricorrono, in data 26/04/2019, a mezzo del difensore di fiducia Avv. V.M., per violazione di legge in relazione alla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1, art. 219 comma 1, art. 223 e al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, in quanto il provvedimento impugnato si baserebbe sull’errato presupposto che le scelte imprenditoriali degli amministratori della (omissis) s.r.l. fossero preordinate a svuotare le casse societarie e ad impedire al fisco di soddisfare le proprie pretese sul patrimonio della stessa. A voler ritenere valide le deduzioni operate nel provvedimento impugnato, si giungerebbe al paradosso di affermare che ogni operazione di ristrutturazione societaria dovrebbe valutarsi negativamente, visto che è ipotesi frequente nella prassi che, in situazioni di crisi, si modifichino i modelli societari prima della cessazione o della liquidazione della società.
Infatti, a parere della difesa, la scissione operata dagli amministratori dovrebbe considerarsi come finalizzata alla ristrutturazione dei debiti societari e non avrebbe in alcun modo pregiudicato i diritti e le prerogative del creditore Equitalia; anzi, detta operazione avrebbe consentito il pieno pagamento dei debiti, che altrimenti sarebbe stato impossibile.
Il Tribunale del Riesame, valutando superficialmente ed erroneamente i motivi esposti nell’atto d’appello ed il contenuto della documentazione depositata dalla difesa, avrebbe giudicato sulla base di mere congetture, senza neppure tener conto che, nel caso di debiti d’imposta derivanti da violazioni commesse anteriormente alla scissione – sia questa totale o parziale -, ai sensi dei commi 12 e 13 dell’art. 173 TUIR, nonché in base alle pronunce della giurisprudenza di legittimità, sussiste un rapporto di solidarietà illimitata tra società scissa e società beneficiaria.
Ancora, non potrebbe affermarsi che gli indagati, mediante la proposizione alla Commissione Tributaria di ricorsi infondati, volessero far trascorrere del tempo per eludere la normativa tributaria, visto che ai fini fiscali l’estinzione della società di cui all’art. 2495 c.c. ha effetto solo una volta, trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese, ai sensi del D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 28, comma 4.
Anche le richieste di pagamento del debito non potrebbero essere considerate come volte a limitare le possibili conseguenze delle indagini in corso: premesso che non vi sarebbero elementi per ritenere che il D. e la I. abbiano avuto conoscenza della perquisizione avvenuta il 02/12/2016, le iniziative di pagamento sarebbero state presentate già nel 2015, in data anteriore rispetto ai sequestri – effettuati, per l’appunto, in data 02/12/2016 – da cui, a parere dell’ordinanza impugnata, gli indagati avrebbero avuto contezza delle indagini in corso.
In conclusione, la finalità di sottrarre la società (omissis) s.r.l. al pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto non risulterebbe supportata da un solido quadro di gravità indiziaria e, anzi, risulterebbe documentalmente smentita, stante il fatto che l’azzeramento della posizione debitoria della società era iniziato già prima della richiesta di fallimento. Risulterebbe altresì evidente, in base alle argomentazioni esposte, l’assenza delle esigenze cautelari, che, in ogni caso, non sarebbero adeguatamente motivate: ciò varrebbe in particolar modo per I.P., che dal 2016 non ricopre più alcuna carica societaria ed attualmente non ha contatti con nessuno degli indagati.
3. In data 11/06/2019 è stata depositata memoria nell’interesse dei ricorrenti, con cui si allega decreto del Tribunale di Messina che ha escluso dallo stato passivo del fallimento della (omissis) s.r.l. il credito dell’Agenzia delle Entrate, a seguito del pagamento delle somme dovute da parte della (omissis) quale coobbligato solidale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati e vanno, pertanto, rigettati.
1.Va premesso che l’ordinanza impugnata ha ricordato come le indagini avessero consentito di individuare l’operatività di un sodalizio criminoso, avente come base logistica lo studio dell’Avv.to L.C.A. e del commercialista P.B., dedito all’attuazione di condotte fraudolente tese a svuotare società in crisi e, come tali, suscettibili di fallimento, in danno dei creditori delle stesse, inclusa l’Amministrazione finanziaria; in detto contesto si inserivano anche soggetti come O.O. e B.G., che si intestavano in maniera fittizia le società, al fine di attuare le condotte fraudolente.
La vicenda della (omissis) s.r.l., paradigmatica delle modalità operative degli indagati, ha ad oggetto una società che esercitava attività alberghiera mediante la gestione di alberghi in Chianciano Terme, ove aveva sede legale la società, prima del trasferimento della stessa in Messina. I coniugi D. ed I. si erano succeduti nella carica di amministratori della società, fino alla scissione, verificatasi il (omissis), allorquando veniva trasferito l’intero complesso alberghiero della (omissis) s.r.l. alla (omissis) s.r.l., costituita nello stesso giorno, di cui la I. risultava socio unico ed amministratore. Il valore della cessione secondo quanto indicato nell’impugnata ordinanza – era pari a 4.864.602,49, mentre l’importo del passivo, costituito da mutui in corso e da fondi di ammortamento, era pari ad Euro 4.864.602,49. Dopo circa un anno l’intero pacchetto della (omissis) s.r.l. era stato ceduto ad L.C.A. con contratto simulato, come evincibile da una conversazione telefonica non contestata dalla difesa. La (omissis) s.r.l., in tal modo, era stata privata degli strumenti operativi e, a causa dei debiti da cui era gravata, pari a circa un milione e mezzo di Euro, era stata avviata alla liquidazione; il 21/01/2016 veniva nominato amministratore della società l’ O. a cui, con atto in pari data, il D. e la I. cedevano le quote sociali; in data 15/03/2016 la società cedeva alla (omissis) s.r.l., amministrata dal D., il ramo di azienda avente ad oggetto la gestione dell’attività alberghiera sita in (omissis), per il valore di 100.000,00 Euro, con esclusione dei debiti e dei crediti, ed infine, in data 23/03/2016, la (omissis) veniva dapprima posta in liquidazione per essere, poi, cancellata dal Registro delle imprese in data 15/11/2016.
L’ordinanza impugnata ha, inoltre, messo in rilievo il ruolo di mero prestanome dell’O., come emerso dal compendio intercettivo illustrato in motivazione e non messo in discussione dalla difesa.
Il Tribunale del Riesame, inoltre, ha evidenziato come, al fine di evitare istanze di fallimento e di paralizzare le attività di riscossione dei crediti tributari, il P. avesse consigliato al D. di proporre ricorso alla Commissione Tributaria di Messina e di intraprendere, altresì, azioni legali risarcitorie in riferimento ai tassi di interesse praticati dagli istituti di credito; ciò nonostante, la (omissis) s.r.l. veniva dichiarata fallita dal Tribunale di Messina in data 27/06/2017, su istanza del pubblico ministero. A seguito di indagini della Guardia di Finanza, veniva individuato un debito verso l’Erario pari a 900.00,00 Euro; le indagini segnalavano anche la definizione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle controversie tributarie, confermandosi, in tal modo, come i ricorsi fossero meri espedienti per guadagnare tempo in attesa che la società venisse cancellata e, quindi, decorso un anno dalla cancellazione, non fosse più esposta alla dichiarazione di fallimento, come previsto dalla L. Fall., art. 10.
2. Tanto premesso in riferimento ai termini fattuali della vicenda, come descritti nell’impugnata ordinanza, osserva il Collegio che il Tribunale del Riesame di Messina ha congruamente e compiutamente motivato in ordine al contesto in cui si inserivano le condotte contestate, desumendone in modo del tutto condivisibile la finalità di sottrarsi al pagamento dei debiti nei confronti dei creditori e dell’Erario, come, d’altronde, riconosciuto anche dal P. nell’interrogatorio di garanzia e come confermato dal ricorrente modus operandi dello stesso P. e del L.C. in analoghe vicende.
In particolare, il Tribunale del Riesame ha evidenziato come la scissione avesse avuto un ruolo nevralgico nella strategia fraudolenta, volta a frustrare le legittime pretese dell’Erario, evidenziando, in particolare, la reazione del P. in occasione di un accesso dei funzionari dell’Agenzia della Riscossione presso la sede della (omissis) s.r.l. nell’estate del 2016, allorquando il predetto veniva informato della circostanza che il contabile della società, per evitare il pignoramento, aveva rappresentato ai funzionari che i beni e gli arredi dell’ufficio non appartenevano più alla (omissis) s.r.l., in quanto trasferiti alla (omissis) s.r.l. a seguito della scissione (pagg. 7 ed 8 dell’ordinanza impugnata).
3. Con i motivi di ricorso, in sostanza, si contrasta il passaggio motivazionale con cui il Tribunale del Riesame aveva osservato che – sebbene fosse stato documentato che la (omissis) s.r.l. avesse provveduto alla rateizzazione del debito tributario ed al pagamento delle rate scadute e benché le due società, quali coobbligate, avessero acceduto alla procedura di definizione agevolata dei debiti tributari e che, infine, il D. avesse formulato proposta irrevocabile di accollo dei debiti tributari della (omissis) s.r.l. innanzi ad un notaio, nel giugno 2017, quale amministratore della (omissis) s.r.l. e della (omissis) s.r.l. tutte le iniziative in tal senso intraprese miravano semplicemente a limitare i danni derivanti dalla notizia delle indagini in corso, acquisita dagli indagati a seguito dell’esecuzione della perquisizione in data 02/12/2016 presso le abitazioni e gli studi professionali dei coindagati.
Detto snodo interpretativo contrasterebbe, secondo la difesa, come detto, con una corretta interpretazione dell’art. 173, commi 12 e 13 TUIR, alla luce anche della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, per le violazioni fiscali anteriori alla scissione, le società coinvolte nell’operazione sono illimitatamente responsabili verso l’Amministrazione finanziaria e che, alla luce del D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 28, comma 4, l’estinzione della società, di cui all’art. 2495 c.c., ha effetto dopo cinque anni dalla cancellazione dal Registro delle imprese, ai fini della validità ed efficacia degli atti di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e relativi interessi e sanzioni.
In realtà, seppure è vero che in sé l’operazione di scissione è lecita ed ha una portata neutrale, è altrettanto vero, come già stabilito più volte dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5, sentenza n. 20370 del 10/04/2015, n. 20370, Piscedda, Rv. 264078; Sez. 5, sentenza n. 13522 del 21/01/2015, Di Cesare, Rv. 262964; Sez. 5, sentenza n. 6404 del 08/10/2014, Ferla, Rv. 262723; Sez. 5, sentenza n. 42272 del 13/06/2014, Alfano, Rv. 260393), che l’eventuale natura fraudolenta di detta operazione possa essere desunta dal concreto atteggiarsi della vicenda; tanto in riferimento al delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione contestata ai ricorrenti con l’imputazione provvisoria. Nel caso in esame l’operazione risulta caratterizzata dal fatto che alla stessa aveva fatto seguito la nomina di un prestanome per la società scissa ed il trasferimento del pacchetto di quote della società beneficiaria, nonché la messa in liquidazione della (omissis) s.r.l., con conseguente cancellazione dal Registro delle imprese.
L’operazione, oltre a rendere assai più ardua la soddisfazione delle pretese creditorie diverse da quelle di natura tributaria, può essere considerata un ostacolo anche in riferimento ai crediti vantati dall’Agenzia delle Entrate. In tal senso, infatti, non possono accogliersi le doglianze difensive volte a sottolineare come in caso di scissione, anche parziale, per i debiti tributari siano responsabili in solido ed illimitatamente sia la società scissa che quella beneficiaria.
Detto principio, affermato pacificamente dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5 civile, sentenza n. 31591 del 06/12(2018, Rv. 652105, secondo cui “In tema di scissione parziale, per i debiti fiscali della società scissa relativi a periodi d’imposta anteriori alla data dalla quale l’operazione produce effetti, rispondono, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 15, comma 2, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 173, comma 12, – i quali prevalgono, per il principio di specialità, sull’art. 2506-quater c.c., comma 3, – solidalmente ed illimitatamente tutte le società partecipanti alla scissione, anche in forza del principio della unitarietà dell’imposta, senza che tale disciplina violi il criterio di adeguatezza e proporzionalità, stante l’esigenza di maggiore tutela riconosciuta all’amministrazione finanziaria per l”adempimento delle obbligazioni tributarie, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 90 del 2018.“; conf., Sez. 5 civile, sentenza n. 13059 del 24/06/2015, Rv. 635872) va, infatti coordinato con quello della temporaneità dell’obbligazione solidale.
Secondo il disposto del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 14 comma 1, infatti, viene limitata la responsabilità del cessionario dell’azienda per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché di quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo, anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.
Con indirizzo più volte ribadito, la giurisprudenza civile di questa Corte ha, sul tema, affermato che “In tema di cessione di azienda, la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, quanto alla responsabilità del cessionario per le obbligazioni tributarie, è una norma speciale rispetto all’art. 2560 c.c., comma 2, sulla quale prevale, pertanto, per i profili oggetto di specifica regolamentazione, che prevede un regime distinto di detta responsabilità in ragione della conformità o meno della cessione alla legge.” (Sez. 5 civile, ordinanza n. 31610 del 06/12/2018, Rv. 652106; Sez. 5 civile, sentenza n. 17264 del 13/07/2017, Rv. 644899; Sez. 6-5 civile, ordinanza n. 9219 del 10/04/2017, Rv. 643953). Detto orientamento si basa sulla lettura della norma, che testualmente recita: “1. Il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore. 2. L’obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza. 3. Gli uffici e gli enti indicati nel comma 2 sono tenuti a rilasciare, su richiesta dell’interessato, un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Il certificato, se negativo, ha pieno effetto liberatorio del cessionario, del pari liberato ove il certificato non sia rilasciato entro quaranta giorni dalla richiesta. 4. La responsabilità del cessionario non è soggetta alle limitazioni previste nel presente articolo qualora la cessione sia stata attuata in frode dei crediti tributari, ancorché essa sia avvenuta con trasferimento frazionato di singoli beni. 5. La frode si presume, salvo prova contraria, quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante”.
E’ stato, quindi, affermato che la norma citata è speciale rispetto all’art. 2560 c.c., comma 2, ed ha natura antielusiva, diretta, cioè, ad evitare tramite la previsione della responsabilità, solidale e sussidiaria, del cessionario per i debiti tributari gravanti sul cedente – che, attraverso il trasferimento dell’azienda, sia dispersa la garanzia patrimoniale del contribuente in pregiudizio dell’interesse pubblico. Ne consegue, quindi, che, in caso di cessione conforme a legge ed in base ad un criterio incentivante, volto a premiare la diligenza nell’assumere, prima della conclusione del negozio traslativo, informazioni sulla posizione debitoria del cedente, la responsabilità ha carattere sussidiario, con beneficium excussionis, ed è limitata nel quantum, al valore della cessione, oltre che nell’oggetto, con riferimento alle imposte e sanzioni relative a violazioni commesse dal cedente nel triennio prima del contratto ovvero anche anteriormente, se già irrogate o contestate nel triennio, ovvero entro i limiti del debito risultante, alla data del contratto, dagli atti degli uffici finanziari e degli enti preposti all’accertamento dei tributi.
Evidente appare, quindi, come, in riferimento ai debiti tributari, solo l’accertamento della natura simulata della cessione avrebbe reso applicabile la disciplina appena illustrata, con conseguente dilatazione dei tempi tecnici per i relativi accertamenti nella competenti sedi giudiziarie.
In ogni caso appare chiaramente riduttiva una critica basata esclusivamente sull’operatività di meccanismi previsti per le procedure di riscossione tributaria, a fronte della contestazione di specifiche ipotesi di reato.
Non va dimenticato, infatti, che nel caso in esame è stata elevata contestazione provvisoria ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, disposizione la quale mira ad evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche, creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell’Erario.
Questa Corte regolatrice ha già chiarito che la fattispecie criminosa va qualificata come reato di pericolo concreto, integrato dall’uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare, secondo un giudizio ex ante, l’attività recuperatoria della amministrazione finanziaria. Oggetto giuridico del reato, pertanto, non è il diritto di credito dell’Erario, bensì la garanzia generica rappresentata dai beni dell’obbligato, potendosi, pertanto, configurare il reato anche nel caso in cui, dopo il compimento degli atti fraudolenti, si verifichi comunque il pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni (Sez. 3, sentenza n. 35853 del 11/05/2016, Calvi, Rv. 267648; Sez. 3, sentenza n. 13233 del 24/02/2016, Pass, Rv. 266771; Sez. 3, sentenza n. 36290 del 18/05/2011, Cualbu, Rv. 251077; Sez. 3, sentenza n. 19595 del 09/02/2011, Vichi, Rv. 250471).
Quanto alla condotta del reato, va ricordato che, in tema di atto fraudolento sono intervenute le S.U. n. 12213/2018 che hanno testualmente affermato: “Con riguardo alla nozione di atto fraudolento contenuta nella disposizione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, laddove, con terminologia mutuata dall’art. 388 c.p., si sanziona la condotta di chi, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto (…) aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, questa Corte ha osservato che deve essere considerato atto fraudolento ogni comportamento che, formalmente lecito (analogamente, del resto, alla vendita di un bene), sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva, Rv. 252996), ovvero che è tale ogni atto che sia idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero (per la verità con una sovrapposizione rispetto alla simulazione) ovvero qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione (Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 2017, Di Tullio, Rv. 268798)”.
Ciò detto, quindi, va osservato che il Tribunale del Riesame ha ravvisato la natura fraudolenta degli atti nel complesso delle operazioni poste in essere e nelle conseguenze da esse derivanti, osservando che – quanto ai debiti di natura non tributaria – la solidarietà della società cedente è comunque limitata al valore effettivo del patrimonio netto attribuito a ciascuna società beneficiaria e, in via generale, al valore effettivo del patrimonio netto assegnato o rimasto, ai sensi dell’art. 2506 bis c.c., comma 3 e art. 2506 quater c.c., comma 3; nel caso di specie, come visto, il saldo tra attivo e passivo rilevante ai fini della cessione della (omissis) s.r.l. alla (omissis) s.r.l., era pari a 10.000,00 Euro, secondo un meccanismo, peraltro, attuato anche in riferimento ad analoghe vicende (pagg. 10 ed 11 dell’ordinanza impugnata).
Quanto ai debiti tributari, il Tribunale del Riesame, dopo aver dato atto della peculiare disciplina in vigore, come sin qui sintetizzata, ha comunque sottolineato la natura fraudolenta delle operazioni e, segnatamente, dell’atto di scissione, osservando, altresì, come non dirimente fosse la circostanza che la (omissis) s.r.l. avesse prodotto ricavi dichiarati, nell’anno 2014, pari ad oltre 2 milioni di Euro, posto che detti ricavi non avevano determinato alcun incremento patrimoniale, risultando, dalla dichiarazione dei redditi della società per l’anno 2014, un reddito lordo di 23.000,00 Euro ed una perdita nel conto economico di 6.475,00 Euro.
A ciò va aggiunta la congiunta considerazione delle altre caratteristiche dell’operazione, ossia la cessione del capitale sociale a prezzo vile ed il trasferimento della legale rappresentanza della società ad un prestanome, che ha avviato le procedure della liquidazione della medesima società, ormai “vuota” di beni e attività, in quanto deprivata del patrimonio trasferito, ancorché gravata da un debito tributari pari a circa un milione e mezzo di Euro.
La valutazione sinergica e complessiva delle operazioni sociali messe in atto è stata valutata, quindi, dal Tribunale del Riesame, in coerenza con i principi ermeneutici espressi da questa Corte, oltre che con il compendio indiziario nella sua totalità.
Rispetto a detta motivazione le critiche difensive appaiono parziali, limitandosi ad estrapolare dal tessuto motivazione singoli passaggi e, quindi, finendo per non confrontarsi affatto con il percorso ricostruttivo nel suo complesso seguito dall’impugnata ordinanza.
4. Deve, altresì, essere affermata l’infondatezza delle ulteriori osservazioni difensive.
In relazione alle iniziative di pagamento e di accollo dei debiti tributari da parte delle società beneficiarie, è necessario notare che le stesse non valgono ad escludere la natura fraudolenta e la finalità elusiva delle operazioni poste in essere dagli indagati.
L’ordinanza evidenzia in modo logico come l’accolto, successivo al dicembre 2016, sia la conferma della consapevolezza che la scissione avrebbe pregiudicato la riscossione dei crediti tributari.
Sono altresì prive di pregio le censure sollevate in merito alle finalità non elusive dei ricorsi proposti innanzi alla Commissione Tributaria, in quanto le stesse appaiono suffragate dalle intercettazioni telefoniche, riportate e valutate in modo congruo dal Tribunale.
A ragione nel ricorso si fa presente che, in materia tributaria e a prescindere dalla possibilità che la società sia esposta al fallimento, il D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 28, comma 4 introduce una sospensione per un periodo di cinque anni degli effetti estintivi conseguenti alla cancellazione di una società dal Registro delle imprese; ma va, ancora una volta, ricordato che la condotta tenuta dagli indagati è comunque concretamente idonea a rendere più difficile – e quindi a pregiudicare, anche solo in parte – la soddisfazione delle pretese creditorie vantate dall’Agenzia delle Entrate.
5. Infine, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari, le doglianze mosse nel ricorso appaiono affette da genericità.
In ogni caso, il fatto che la I. non ricopre più alcuna carica societaria non appare dirimente per affermare l’insussistenza di un pericolo concreto e attuale: coerentemente l’ordinanza impugnata ravvisa le esigenze cautelari nell’attitudine a strumentalizzare l’attività imprenditoriale, che come tale prescinde dal fatto che l’indagata abbia o meno mantenuto contatti con gli altri partecipanti all’operazione.
Quanto al D., il ricorso appare, sul punto, estremamente generico, lambendo l’inammissibilità, avendo il Tribunale del Riesame osservato la sussistenza dell’attitudine dell’indagato a strumentalizzare l’esercizio dell’attività imprenditoriale alla quale egli era ancora dedito, utilizzando i propri collegamenti con una struttura organizzata, professionalmente finalizzata a tale pratiche illecite. All’evidenza la natura di detto collegamento non implica in alcun modo la partecipazione del d. al delitto associativo, fattispecie pacificamente non contestagli con l’imputazione provvisoria, rilevando, ciò nondimeno, a livello di esigenze cautelari.
Ne discende, pertanto, il rigetto di entrambi i ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
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