Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 38723 depositata il 21 agosto 2018
dichiarazione fraudolente – sequestro per equivalente – confisca
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 12 dicembre 2017, la sezione per il riesame del Tribunale di Taranto ha, tra l’altro, respinto la richiesta di riesame proposta dall’odierno ricorrente avverso il decreto con cui il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva disposto il sequestro preventivo di beni appartenenti a SI, finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato di cui all’art. 2, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che lo stesso avrebbe commesso quale legale rappresentante della IC Srl.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso il difensore del suddetto indagato, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3. Con i primi due motivi si deducono violazione degli artt. 127 e 324 cod. proc. pen. ed omessa motivazione, nonché violazione dell’art. 12 bis d.lgs. 74 del 2000, con riguardo al fumus commissi delicti del reato ipotizzato, non essendo provato che il ricorrente abbia portato in compensazione VIVA indicata nella fattura per operazione inesistente oggetto di contestazione con conseguente mancanza di profitto suscettibile di confisca.
4. Con il terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 12 bis d.lgs. 74 del 2000 per essere stato illegittimamente disposto il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti dell’indagato senza essersi prima proceduto al sequestro relativo alla confisca diretta del profitto nei confronti della società beneficiaria dell’ipotizzato reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi due motivi di ricorso sono manifestamente infondati. Non essendo controverso che la fattura oggetto di contestazione, emessa nell’anno 2014 nei confronti della società amministrata dall’indagato, sia relativa ad operazioni inesistenti e che la stessa sia stata inserita nella contabilità d’impresa, con l’istanza di riesame l’odierno ricorrente si è limitato a sostenere di non aver poi utilizzato la stessa nella dichiarazione fiscale dell’anno 2015, prodotta dalla difesa, neppure ai fini della compensazione dell’IVA. Sul punto il Tribunale ha rilevato che, non riportando detta dichiarazione i dati delle fatture passive il cui importo IVA è stato portato in compensazione con l’IVA a debito, essendo indicati soltanto gli importi annuali oggetto di compensazione, il documento non aveva valore dirimente e non consentiva quindi di ritenere provata l’allegazione. L’ordinanza impugnata non può quindi, sul punto, essere censurata in questa sede, poiché attesta il fumus commissi delicti osservando correttamente come la documentazione prodotta non valga a dimostrarne l’insussistenza, occorrendo semmai più puntuali verifiche da compiersi in sede diversa da quella cautelare.
2. Ed invero, il provvedimento soddisfa il requisito, richiesto dal consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, nella valutazione del fumus commissi delicti, quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l’impostazione accusatoria, e plausibile un giudizio prognostico negativo per l’indagato, pur senza sindacare la fondatezza dell’accusa (Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014, Armento, Rv. 261677; Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, Macchione, Rv. 265433). Tale giudizio prognostico ben può fondarsi su regole di comune esperienza quale quella di cui il Tribunale ha fatto evidente applicazione, vale a dire che se l’imprenditore acquisisce una fattura passiva per prestazioni inesistenti e la inserisce in contabilità lo fa di regola per ragioni di evasione fiscale, vale a dire per abbattere l’imponibile sull’imposta dei redditi facendo figurare costi inesistenti e/o per utilizzare l’IVA asseritamente corrisposta sull’importo fatturato al fine compensarla con l’IVA a debito e, in difetto di prova contraria, la situazione integra il fumus del reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74 del 2000 che legittima l’applicazione della misura cautelare reale. Deve rammentarsi, di fatti, che in tema di sequestro preventivo, non è necessario valutare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il fumus commissi delicti, vale a dire la astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato (Sez. 2, n. 5656 del 28/01/2014, Zagarrio, Rv. 258279). Essendo nella specie applicabile il disposto di cui all’art. 325 cod. proc. pen., va peraltro osservato che il ricorso per cassazione, proposto contro l’ordinanza del tribunale del riesame confermativa di un decreto di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, è ammesso solo per violazione di legge (Sez. 3, n. 45343 del 06/10/2011, Moccaldi e a., Rv. 3 g 251616). E in tema di misure cautelari reali, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119), sicché non può in questa sede procedersi ad un più penetrante vaglio sulla motivazione addotta nel provvedimento impugnato.
3. E’ invece fondato il terzo motivo di ricorso.
Deve qui ribadirsi il principio secondo cui, in caso di reati tributari commessi dall’amministratore di una società, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto, nei confronti dello stesso, solo quando, all’esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimoniale della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nei confronti dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato (Sez. 4, n. 10418 del 24/01/2018, Rubino, Rv. 272238; Sez. 3, n. 43816 del 01/12/2016, dep. 2017, Di Florio, Rv. 271254; Sez. 3, n. 35330 del 21/06/2016, Nardelli, Rv. 267649; Sez. 3, n. 41073 del 30/09/2015, Scognamiglio, Rv. 265028; Sez. 3, n. 1738 del 11/11/2014, dep. 2015, Bartolini, Rv. 261929).
Trattandosi, di fatti, di misura cautelare reale finalizzata all’esecuzione della confisca, devono trovare applicazione le regole previste in materia, che, per i reati fiscali – sia in forza dell’art. 1, comma 143, legge 24 dicembre 2007, n. 244, che richiamava l’osservanza, in quanto applicabili, delle disposizioni di cui all’art. 322 ter cod. pen., sia in forza del vigente art. 12 bis, comma 1, d.lgs. 74 del 2000 – prevedono, per quanto qui rileva, in via prioritaria la confisca dei beni che costituiscono profitto del reato, salvo che appartengano a persona al medesimo estranea, e, soltanto laddove essa non sia possibile, la confisca c.d. per equivalente di beni di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto. Anche sul piano cautelare, dunque, occorre seguire la sequenza procedimentale che la richiamata disciplina prevede, disponendosi, nel provvedimento che applica la misura, in via principale il sequestro di beni corrispondenti al profitto diretto del reato e, soltanto in via subordinata, il sequestro per equivalente nei confronti dell’autore del reato. Al momento dell’esecuzione della misura così disposta, si farà poi applicazione del principio secondo cui, quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato, sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nei confronti dell’ente, nel caso in cui, successivamente alla imposizione del vincolo cautelare, dallo stesso soggetto non siano indicati i beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta (Sez. 3, n. 40362 del 06/07/2016, D’Agostino, Rv. 268587).
Un provvedimento di sequestro esclusivamente adottato in funzione della confisca per equivalente può dunque giustificarsi soltanto laddove – già nel momento genetico della misura – si dia atto dell’inesistenza di beni sui quali disporre il sequestro finalizzato alla confisca diretta del profitto, dovendo rammentarsi che è sempre legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l’ente una persona estranea al detto reato (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258647). Il profitto del reato, poi, si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264436) e, qualora – come è il caso di reati fiscali che determinano evasione – il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437; nello stesso senso, Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert).
3.1. L’ordinanza impugnata ha invece fatto applicazione di principi di diritto espressi da questa Corte precedentemente alle citate decisioni delle Sezioni unite, decisioni – queste ultime – che il decreto di sequestro emesso dal g.i.p. bensì richiama, senza tuttavia darne corretta lettura.
Nel disporre esclusivamente il sequestro per equivalente dei beni dell’indagato sino alla concorrenza del profitto del reato a lui contestato, il decreto non attesta, di fatti, l’impossibilità di sequestrare il profitto in via diretta – ad es. il denaro – nella disponibilità della società da lui amministrata, limitandosi a rinviare alla sede esecutiva ogni ulteriore accertamento, trascurando tuttavia di valutare che, in difetto di provvedimento di sequestro, non si potrà ovviamente apprendere beni di proprietà della società, mentre la misura potrà comunque essere eseguita sui beni dell’indagato. Se – come nel caso di specie – quest’accertamento non venga compiuto al momento dell’emissione del provvedimento, occorre invece disporre entrambe le misure cautelari reali in via subordinata, così da poter predisporre il titolo per riservare effettivamente alla fase dell’esecuzione la ricerca di eventuali beni da sottoporre a sequestro finalizzato alla confisca diretta e, in caso di mancato rinvenimento, la ricerca di beni da sottoporre a sequestro finalizzato alla confisca per equivalente.
4. L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio per violazione di legge e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto per essere il provvedimento genetico, a sua volta, irrimediabilmente viziato da violazione di legge, deve procedersi all’annullamento anche di quest’ultimo, con ordine di restituzione all’avente diritto di quanto in sequestro e mandando alla cancelleria per la comunicazione del dispositivo della presente sentenza ai sensi dell’art. 626 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro del G.i.p. Trib. Taranto in data 31.10.2017 e dispone la restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto mandan