CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 32409 depositata il 18 novembre 2020
Reati tributari – Dichiarazione fraudolenta – Sequestro preventivo funzionale alla confisca – Può essere disposto, entro i limiti quantitativi del profitto, indifferentemente nei confronti di uno o più autori della condotta criminosa
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 22/6/2020, il Tribunale del riesame di Crotone rigettava il ricorso proposto da A.T.B. e, per l’effetto, confermava il decreto di sequestro preventivo emesso il 20/5/2020 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, con riguardo a contestazioni di cui agli artt. 416 cod. pen., 110 cod. pen., 3, d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
2. Propone ricorso per cassazione il B., a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
– violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla fattispecie associativa, anche in ordine al profilo psicologico; mancanza di motivazione rispetto alle deduzioni difensive. Il Tribunale del riesame avrebbe riconosciuto il fumus del delitto di cui all’art. 416 cod. pen. in contrasto con la costante giurisprudenza di legittimità e, in particolare, senza valutare che unico sarebbe il presunto reato commesso (art. 3, d. lgs. n. 74 del 2000), unica la società beneficiaria (IMT B. s.r.l.) e solo sette (cinque soci e due dipendenti) gli indagati, sì da imporsi l’annullamento dell’ordinanza;
– erroneità, carenza ed illogicità della motivazione; violazione di legge quanto alla effettiva necessità della misura reale sui beni del ricorrente. Il Collegio avrebbe erroneamente ritenuto che il sequestro di due alberghi di proprietà della IMT B. (della quale il ricorrente è socio al 20%) non fosse sufficiente a coprire il presunto profitto del reato (pari a 2.818.548,78 euro), pur a fronte di una perizia che indicherebbe in 9,6 milioni di euro il valore complessivo delle due strutture; a giudizio del Tribunale, infatti, il vincolo avrebbe riguardato non i relativi immobili, bensì il compendio aziendale della IMT s.r.l., senza però considerare che lo stesso compendio sarebbe composto – all’evidenza – anche dagli immobili in oggetto, tanto da essere stati sequestrati, come da verbale che il ricorso richiama. I beni sottoposti a vincolo, peraltro, avrebbero un valore di gran lunga superiore a quello stimato dall’Agenzia delle Entrate, e complessivamente pari ad almeno tre volte il profitto del reato come contestato. Ne conseguirebbe l’illegittimità del vincolo sul patrimonio personale del ricorrente (valore nominale delle quote e circa 16 mila euro tra conti correnti e depositi postali), atteso che quello dell’ente – unica beneficiaria delle condotte imputate – sarebbe stato ampiamente sufficiente a coprire ogni esigenza di cautela;
– errata, carente ed illogica motivazione; omessa valutazione di documentazione difensiva, violazione di legge. Il Tribunale, pur riconoscendo la lecita provenienza della somma di 7.738,37 euro, sequestrata al ricorrente, e, dunque, la non confiscabilità della stessa a titolo diretto, ne avrebbe comunque affermato la possibile sottoposizione a vincolo a titolo di confisca per equivalente; tale somma, invece, avrebbe dovuto esser esclusa dalla misura, in uno con gli altri beni personali del B., risultando il compendio aziendale della IMT idoneo a coprire integralmente il presunto profitto del reato.
3. Il ricorso risulta fondato nei termini che seguono.
4. Occorre preliminarmente ricordare che l’art. 325 cod. proc. pen. consente il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse a norma dell’art. 322-bis cod. proc. pen. soltanto per violazione di legge. Sul punto si sono espresse anche le Sezioni Unite di questa Corte le quali, richiamando la giurisprudenza costante, hanno ricordato che “...il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l’apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dall’organo investito del procedimento” (Sez. U, n. 25932 del 29/5/2008, Ivanov, Rv. 239692. Conf. Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093. V. anche Sez. 2, n. 18951 del 14/3/2017, Napoli e altro, Rv. 269656; Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893).
5. Tanto premesso in termini generali, osserva la Corte che il ricorso in esame
– con riguardo alle prime due doglianze sollevate – si sostanzia proprio, ed esclusivamente, di una critica alla motivazione dell’ordinanza impugnata, che, per un verso, avrebbe riconosciuto il fumus del delitto associativo pur difettandone i presupposti, e, per altro verso, avrebbe legittimato il vincolo sui beni personali del ricorrente pur a fronte di un patrimonio societario del tutto congruo, quel che il Collegio avrebbe escluso con motivazione viziata “da illogicità e contraddittorietà”; censure, dunque, estranee all’ambito valutativo di questa Corte, alla luce del principio sopra richiamato.
6. I due motivi di ricorso, peraltro, risultano inammissibili anche sotto un diverso profilo.
7. Quanto alla prima doglianza, che attiene al fumus del delitto di cui all’art. 416 cod. pen., si osserva che questo reato è del tutto estraneo alla vicenda cautelare in esame, che si fonda esclusivamente sulle contestazioni di cui agli artt. 110 cod. pen., 3, d. lgs. n. 74 del 2000, contenute nei capi B), C), D) ed E) (come riportato alla pag. 1 dell’ordinanza gravata, così come alla pag. 47 di quella genetica); la fattispecie associativa di cui al capo A), dunque, non sostiene affatto il vincolo reale.
8. Con riguardo, poi, alla seconda doglianza, osserva il Collegio che il sequestro disposto a carico dell’indagato – ad eccezione della somma di 7.738, 37 euro – è volto alla confisca diretta del profitto, non per equivalente, al pari di quello a carico della società; ciò risulta con chiarezza dal provvedimento impugnato (pag. 3) e non è contestato nel ricorso (v. pag. 11, in fondo), che lamenta soltanto che la misura avrebbe interessato anche il patrimonio personale del B. pur a fronte di un patrimonio societario ampiamente capiente, e con la precisazione, peraltro, che la “IMT” sarebbe stata l’unica beneficiaria delle condotte contestate.
9. Ebbene, in disparte tale ultima considerazione, di mero fatto e quindi inammissibile in sede di legittimità, si rileva che questa Corte ha più volte sostenuto – con argomento impiegato per il sequestro per equivalente, ma specularmente utilizzabile anche per quello diretto, a fronte di una contestazione concorsuale che assegna indistintamente l’intero profitto a tutti gli indagati – che in tema di reati tributari, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca prevista dall’art. 12-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, può essere disposto, entro i limiti quantitativi del profitto, indifferentemente nei confronti di uno o più autori della condotta criminosa, non essendo ricollegabile all’arricchimento personale di ciascuno dei correi, bensì alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell’illecito; con la precisazione, peraltro, che, nel giudizio di cognizione successivo alla fase cautelare, l’espropriazione non può eccedere nel “quantum” né l’ammontare del profitto complessivo, né – in caso di imputato cui non sono attribuibili tutti i reati accertati – il profitto corrispondente ai reati specificamente attribuiti al soggetto attinto dal provvedimento ablatorio. (Fattispecie relativa ai delitti di associazione a delinquere, truffa aggravata e frode informatica in concorso, in cui era stata disposta la confisca, per l’intero ammontare del profitto, nei confronti dei diversi correi) (tra le altre, Sez. 5, n. 19091 del 26/2/2020, Buonpensiere, Rv. 279494; Sez. 3, n. 56541 del 5/12/2017, Maiorana, Rv. 273604; Sez. 3, n. 1999 del 14/11/2017, Addonizio, Rv. 272714; Sez. 2, n. 33755 del 15/7/2016, Nardecchia, Rv. 267576).
Ne consegue, allora, che, in questa fase cautelare, nessuna questione può esser posta in tema di beneficio di escussione, a ciò ostando un duplice sequestro
– verso il B. e verso la società – disposto espressamente in via diretta, quindi eseguibile per l’intero anche nei confronti di tutti i destinatari della misura.
10. Fondato, per contro, risulta infine il terzo motivo di impugnazione, relativo alla somma di 7.738,37 euro.
Il Tribunale ha confermato il vincolo sul punto con motivazione apparente, ossia affermando, nell’ordine: a) che la somma sarebbe stata sequestrata (per l’appunto) in via diretta; b) che il ricorrente ne avrebbe provato la legittima provenienza, in quanto versata su carta Postepay il 7/5/2020 quale risarcimento per un sinistro avvenuto nel 2017; c) che, pertanto, questo importo non potrebbe esser legato all’illecito contestato “da alcun nesso di pertinenzialità” e, dunque, “non può costituire oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta”; d) che, in ogni caso, la stessa somma potrebbe costituire oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, “sussistendone tutti i presupposti applicativi”. Ebbene, al di là del carattere non esplicitato di tale ultima affermazione (peraltro in contrasto con la precedente parte della motivazione, che
– richiamando la sentenza Sez. U. Lucci n. 31617/2015 – qualifica sempre come diretta la confisca del danaro disponibile su un conto corrente), risulta evidente il carattere solo apparente dell’argomento impiegato per la conferma della misura, che assegna al sequestro della somma una natura diversa, rispetto a quella originaria, sol perché risulterebbe non più “praticabile” il percorso logico seguito dal G.i.p. nel provvedimento genetico, attesa la riscontrata – ed in precedenza non verificata – liceità della somma sottoposta a vincolo. E con la precisazione, peraltro, che tale “riqualificazione” non viene poi posta in rapporto con la pacifica natura diretta del vincolo sulle altre somme sequestrate al ricorrente, così come sui valori sequestrati all’ente; ciò che, per contro, sarebbe stato necessario a quel punto, per verificare l’effettiva necessità di apprensione anche dell’importo medesimo, alla luce di quanto già vincolato in via diretta e nell’ottica del quantum del profitto contestato.
L’ordinanza impugnata, pertanto, deve esser annullata con rinvio limitatamente al sequestro della somma di 7.738,37 euro.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Crotone competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen.
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