Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 42410 depositata il 17 ottobre 2023
bancarotta documentale semplice – bancarotta preferenziale
RITENUTO IN FATTO
1.1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano – in parziale riforma della sentenza del Tribunale di quella stessa città – che aveva riconosciuto C.G., quale amministratore unico e poi liquidatore della R. s.r.l. dichiarata fallita con sentenza del 02/11/2016, colpevole di bancarotta preferenziale ( così riqualificata la iniziale contestazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale) e fraudolenta documentale ( specifica e generica) e di bancarotta impropria da cagionamento doloso del fallimento – ha assolto C.G. dalla bancarotta preferenziale relativamente ai prelievi effettuati nel periodo 2009 – 2013, nonché dai fatti di bancarotta impropria perché il fatto non costituisce reato e ha riqualificato, ai sensi dell’art. 217, la bancarotta documentale, rideterminando sia la pena principale che le pene accessorie fallimentari.
2. Il ricorso per cassazione dell’imputato è affidato al difensore di fiducia, avvocato Z.C., che svolge due motivi, deducendo:
2.1. erronea applicazione dell’art. 217 L.F. relativamente alla ritenuta bancarotta semplice, nel senso che la sentenza impugnata, pur riqualificando in modo favorevole all’imputato, la contestazione di bancarotta documentale, non ha, tuttavia, indicato alcuna anomalia, irregolarità o incompletezza nella tenuta delle scritture contabili o irregolarità nel triennio antecedente al fallimento. D’altro canto, la stessa sentenza afferma che l’imputato ha consegnato al curatore fallimentare la quasi totalità dei libri e della documentazione contabile in suo possesso, con riguardo alle annualità più prossime al fallimento, cioè quelle successive al 2009.
2.2. vizio della motivazione, mancante con riguardo alla bancarotta preferenziale, che, dopo la parziale assoluzione della Corte di appello, attiene a due sole operazioni ( acquisto di un’autovettura e prelievo di euro 59.542,57), che la Corte di appello ha ritenuto sorrette dalla consapevolezza del dissesto, per la prossimità al fallimento, senza tuttavia nulla specificare in relazione all’intenzione di favorire un creditore rispetto ad altri, e, quindi, senza provare il dolo specifico che deve connotare tale reato.
3. Il difensore del ricorrente ha depositato memoria concludendo per l’accoglimento di entrambi i motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato, e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio su entrambi i motivi di ricorso formulati dal ricorrente.
2. Il primo motivo contiene una censura critica delle argomentazioni con le quali la Corte di appello ha ritenuto la incompletezza della documentazione contabile fornita al curatore, ravvisando la bancarotta semplice. Evidenzia il ricorrente come la sentenza impugnata abbia posto in luce alcune anomalie contabili che integrerebbero il reato, come riqualificato: in primo luogo, il riferimento è alla mancata consegna del libro giornale, delle schede contabili e dei registri IVA (acquisti e vendite) precedenti l’anno 2009; altre due anomalie contabili considerate dalla Corte di merito sono costituite dalla registrazione di una ricevuta avvenuta net 2009, e dalla registrazione in contabilità ricavi di un importo considerevole (pari a € 341.280, 29), iscritta al 31 dicembre 2012. Tale registrazione – come si nota in sentenza – ha avuto l’effetto di diminuire il debito della fallita verso i soci, del medesimo importo, con l’ulteriore effetto di migliorare il risultato dell’esercizio 2012, che, in mancanza di una simile scrittura, sarebbe stato negativo ed avrebbe eroso il patrimonio netto già a partire dall’anno 2012.
2.1. Ora, l’art. 217, comma secondo, L. fall. individua un arco temporale triennale rilevante ai fini della configurabilità del reato, laddove prevede che “la stessa pena si applica al fallito che durante i tre anni precedenti alla dichiarazione del fallimento … non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta”.
Come emerge dall’esegesi giurisprudenziale, l’oggetto del reato di bancarotta semplice documentale è rappresentato da qualsiasi scrittura la cui tenuta è obbligatoria, dovendosi ricomprendere tra queste anche quelle richiamate dal comma secondo dell’art. 2214 cod. civ., e cioè tutte le scritture che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa. (Sez. 5, Sentenza n. 5461 del 25/11/2016 Ud. (dep. 06/02/2017) Rv. 269094), mentre, con l’espressione “durante” riferita al triennio, il legislatore ha inteso punire la condotta descritta anche se non abbia coperto tutto il periodo in oggetto (v. ex multis, Sez. 5, n. 8610 del 20/12/2011, Cruciani, Rv. 251732).
2.2. Ebbene, considerando la delimitazione temporale posta dalla norma incriminatrice, e ricordato che la dichiarazione di fallimento è intervenuta il 02/11/2016, tutte le condotte anomale individuate dalla sentenza impugnata sembrano essere fuori da quel perimetro triennale: la mancata consegna della documentazione contabile, infatti, ha riguardo a scritture riferibili al periodo antecedente all’anno 2009 e, quindi, a oltre sei anni prima della dichiarazione di fallimento, così come la registrazione della ricevuta, che è avvenuta nel 2009. D’altro canto, anche la anomala registrazione in contabilità riguardava il bilancio del 2012, e la sentenza non chiarisce il meccanismo contabile attraverso il quale essa possa in qualche modo rientrare nel perimetro temporale tracciato dall’art. 217, secondo comma, L.F. In sintesi, sembra trattarsi di condotte che risultano del tutto irrilevanti ai fini della integrazione della fattispecie di bancarotta semplice documentale.
3. Risulta fondato anche il secondo motivo che, con riguardo alla bancarotta preferenziale, pone il tema del mancato scrutinio dell’elemento soggettivo del reato che, in tema di bancarotta preferenziale, è costituito dal dolo specifico, consistente nella volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l’accettazione della eventualità di un danno per gli altri, secondo lo schema del dolo eventuale; tale finalità deve risultare primario interesse perseguito dal debitore, con la conseguenza che la strategia di alleggerire la pressione dei creditori, in vista di un ragionevolmente presumibile riequilibrio finanziario e patrimoniale, è incompatibile con il delitto, soprattutto alla luce della riforma, introdotta dal D.L.vo 269 del 2007, dell’azione revocatoria e specialmente dell’art. 67, comma terzo, L. fall.. Il reato non è, dunque, ravvisabile allorchè il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia della attività sociale o imprenditoriale ec;J il risultato di evitare il fallimento possa ritenersi più che ragionevolmente perseguibile. (Sez. 5, n. 31168 del 20/05/2009, Rv. 244490; Sez. 5, n. 16983 del 05/03/2014 Rv. 262904; Sez. 5 n. 54465 del 05/06/2018, Rv. 274188).
3.1. Nondimeno, come lamenta la Difesa, circa l’intenzione preferenziale che avrebbe animato la condotta dell’imputato – quale dolo di pregiudizio rispetto agli altri creditori pretermessi – nulla dicono le due sentenze di merito. Anzi, posto che i due pagamenti preferenziali ebbero a concretizzarsi, l’uno nel maggio 2014, l’altro nell’aprile 2016, si osserva che, dalla sentenza impugnata, emerge che il ricorrente aveva provveduto a consistenti finanziamenti in favore della società anche dopo che, nel 2012, si era manifestata la prima crisi, mentre non si chiarisce perché i due residui pagamenti a cui è stata riconosciuta natura preferenziale non siano ricollegabili all’intenzione di salvaguardare le sorti della società, e tanto anche alla luce delle dichiarazioni rese dall’imputato ( come riportate nel ricorso), circa la destinazione data a tali pagamenti. Un conto è che, nel momento di disporre quegli atti di erogazione preferenziale, il ricorrente abbia potuto seriamente confidare nella prospettiva di garantire analogo trattamento agli altri creditori, quand’anche nell’arco di un tempo ragionevole; altro è se la decozione fosse già conclamata e irreversibile.
4. Nel rinnovato giudizio di merito, la Corte di appello dovrà, dunque, sanare le evidenziate aporie, attenendosi ai richiamati principi di diritto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
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