Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 48227 depositata il 27 novembre 2019
bancarotta documentale fraudolente
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 19 novembre 2018 dalla Corte di appello di Lecce, che ha confermato la pronunzia del Tribunale di Brindisi che aveva condannato C.G. e M.D. per bancarotta fraudolenta documentale in relazione alla società E. s.r.l., dichiarata fallita dal Tribunale brindisino il 23 marzo 2010.
2. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati.
3. Il ricorso presentato nell’interesse del C.G. si compone di un solo motivo, con cui il ricorrente lamenta vizio di motivazione perché, nella perquisizione del primo luglio 2008, era stata rinvenuta documentazione che attestava il ruolo di amministratore di M.D., il che rendeva incomprensibile quello del C.G..
4. Il ricorso del M.D. consta di cinque motivi.
4.1. Il primo motivo lamenta vizio di motivazione quanto alla nullità ex art. 522 cod. proc. pen. che la parte aveva dedotto con l’appello, giacché, a fronte di una contestazione per bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione/distruzione delle scritture contabili, il Tribunale aveva condannato l’imputato per l’omessa tenuta delle scritture. In risposta all’apposita doglianza formulata, invero, la Corte territoriale aveva compiuto quello che il ricorrente definisce un «equilibrismo motivazionale», compiuto saldando la condotta
sottrattiva con il fine di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
4.2. Il secondo motivo lamenta mancanza assoluta di motivazione quanto alla doglianza, contenuta nel gravame di merito, in ordine alla contraddittorietà della sentenza di primo grado, laddove il Tribunale aveva prima assolto Baglioni perché aveva consegnato la scritture contabili a C.G. e poi aveva condannato M.D. per non averle tenute.
4.3. Il terzo motivo assume la mancanza o l’apparenza della motivazione quanto al motivo di appello che verteva sul coefficiente soggettivo della fattispecie; a questo proposito, la Corte territoriale aveva risposto alle doglianze dell’appellante con delle frasi di stile circa il dolo di pregiudizio ai creditori piuttosto che di commissione di reati tributari, pur avendo il Tribunale riconosciuto la natura di cartiera, creata appunto per frodare il Fisco, della E. s.r.l. Il processo non aveva condotto né all’identificazione di creditori della fallita né essa, trattandosi di una cartiera, aveva beni da sottrarre alle ragioni creditorie.
4.4. Il quarto motivo attinge la motivazione che la Corte di appello in risposta ad un motivo di appello non già del M.D., ma del C.G. aveva
dedicato a respingere la richiesta di riqualificazione della bancarotta fraudolenta documentale in bancarotta semplice, fondando sulla mera consapevolezza, in capo a C.G., dell’inesistenza delle scritture.
4.5. L’ultimo motivo attiene alla quantificazione nella misura fissa di anni dieci delle pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, legge fall., sulla scorta di una previsione reputata incostituzionale dalla pronunzia della Consulta n. 222 del 2018.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di M.D. è fondato nei termini di cui si dirà e ciò, grazie all’effetto estensivo di cui all’art. 587, comma 1, cod. proc. pen., giova anche alla posizione del C.G., che ha presentato, invece, un ricorso inammissibile.
Quest’ultimo, invero, è affidato a poche, lapidarie osservazioni e si presenta del tutto aspecifico in quanto, con un fugace riferimento agli esiti della perquisizione del primo luglio 2008, omette di misurarsi con la motivazione della sentenza impugnata, laddove era stato enucleato il suo ruolo di amministratore di diritto, accanto al ruolo di fatto svolto da M.D., e gli indicatori circa la sua consapevolezza della situazione contabile della società.
2. Venendo al ricorso M.D., occorre precisare che non è fondato il primo motivo, con cui si lamenta la nullità della sentenza di primo grado ex art. 522 cod. proc. pen., giacché, a fronte di una contestazione per bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione/distruzione delle scritture contabili, il Tribunale aveva condannato l’imputato per l’omessa tenuta delle scritture.
In effetti, il capo di imputazione — che contiene una curiosa crasi tra le ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale di cui alla prima parte ed alla seconda dell’art. 216, comma 1, n. 2) — indica che gli imputati «sottraevano e/o distruggevano ogni documentazione contabile, in modo da rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari», ma non contiene la menzione della condotta di omessa tenuta.
Tanto, tuttavia, non inficia la sentenza di prime cure ex art. 522 cod. proc. pen.
Per chiarire le ragioni che hanno condotto il Collegio a questa conclusione, giova precisare che la lettura del combinato disposto degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. non può prescindere dall’esegesi che ne ha offerto questa Corte, anche a Sezioni Unite. Secondo il Supremo consesso, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619 – 01; cfr. altresì le motivazioni di Sez. 5, n. 31680 del 22/05/2015, Cantoro, Rv. 264673 – 01; Sez. 2, n. 34969
del 10/05/2013, Caterino e altri, Rv. 257782 – 01; Sez. 5, n. 9347 del 30/01/2013, Baj e altro, Rv. 255230 – 01).
Volendo schematizzare al massimo il principio enunciato, ciò che rileva, dunque, non è il dato “secco” dell’assenza, nella contestazione, del segmento fattuale per cui è intervenuta condanna, ma la concreta verifica se, rispetto a questo novum, l’imputato abbia potuto esercitare le proprie prerogative difensive.
Ebbene, nel caso di specie, vi sono due aspetti che inducono il Collegio a ritenere che tale esercizio sia stato concretamente possibile.
In primo luogo, non vi è stata un’immutazione sostanziale, come riconosciuto da Sez. 5, n. 42754 del 26/05/2017, Ziliani, Rv. 271847, in un caso analogo laddove si è escluso che sussistesse violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nell’ipotesi in cui la condanna per il reato di bancarotta fraudolenta documentale sia pronunciata per omessa tenuta delle scritture contabili, piuttosto che per sottrazione o distruzione delle stesse come indicato nell’imputazione, poiché tali fattispecie si equivalgono.
In secondo luogo, la riqualificazione cui è sottesa la diversità strutturale censurata si è concretizzata con la sentenza di primo grado, sicché l’imputato ha avuto la possibilità, con l’atto di appello, nel corso del giudizio di secondo grado e con il ricorso per cassazione, di sviluppare ogni argomentazione tesa a demolire l’assunto accusatorio in ordine alla bancarotta documentale da omessa tenuta, come poi in effetti ha fatto, secondo quanto risulta per tabulas dai motivi di appello e di ricorso. Ciò vale non solo circa il contrasto dialettico all’impostazione fatta propria dal Tribunale ma anche quanto alle evoluzioni istruttorie del procedimento, che l’appellante avrebbe potuto stimolare mediante
le opportunità di sollecitazione istruttoria che l’art. 603 cod. proc. pen. gli assicurava e che, a quanto risulta, non sono state percorse.
3. Sono, invece, fondati tutti gli altri motivi di ricorso.
La sentenza di appello, invero, patisce sia un’impostazione giuridica errata che un difetto motivazionale.
3.1. Come sopra ricordato, già il capo di imputazione fondeva in sé due diverse ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale, quella di cui al primo e quella di cui alla seconda parte dell’art. 216, comma 1, n. 2), legge fall.
La prima consiste nella sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture ed è caratterizzata dal dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, Rossi, Rv. 271611; Sez. 5, n. 17084 del 09/12/2014, dep. 2015, Caprara e altri, Rv. 263242).
La seconda cosiddetta “generale” si configura nel caso in cui l’impossibilità di ricostruire il patrimonio ed il volume d’affari dovuta alla tenuta delle scritture sia assoluta ovvero semplicemente ostacoli (con difficoltà superabili solo con particolare diligenza ) gli accertamenti da parte degli organi fallimentari (Sez. 5, n. 45174 del 22/05/2015, Faragona e altro, Rv. 265682; Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv. 47965; Sez. 5, n. 24333 del 18/05/2005, Mattia, Rv. 232212). Avuto riguardo al versante soggettivo, questa forma di bancarotta documentale è reato a dolo generico, che consiste nella consapevolezza, in capo all’agente, che, attraverso la volontaria tenuta della contabilità in maniera incompleta o confusa, possa risultare impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio o dell’andamento degli affari; è esclusa, di contro, l’esigenza che il dolo sia integrato dall’intenzione di impedire detta ricostruzione, in quanto la locuzione «in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari» connota la condotta — della quale costituisce una caratteristica — e non la volontà dell’agente, sicché è da respingere l’idea che essa richieda il dolo specifico (Sez. 5, n. 5264 del 17/12/2013, dep. 2014, Manfredini, Rv. 258881; Sez. 5, n. 21872 del 25/03/2010, Laudiero, Rv. 247444; Sez. 5, n. 21075 del 25/03/2004, Lorusso, Rv. 229321).
3.2. La Corte di merito ha invece avallato il costrutto del Tribunale, che aveva ritenuto che si trattasse di bancarotta fraudolenta documentale da omessa tenuta della contabilità. Tale condotta, secondo l’esegesi di questa Corte, integra gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non di quello di bancarotta semplice, se lo scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, Inverardi, Rv. 276650; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, Di Cosimo, Rv. 262915; la rilevanza ex art. 216 legge fall. dell’omissione laddove collegata al fine pregiudizievole è richiamata anche in Sez. 5, n. 42754 del 26/05/2017, Ziliani, Rv. 271847 e in Sez. 5, n. 47923 del
23/9/2014, De Santis, rv. 261040).
Ebbene, è proprio qui che si annidano gli errori della Corte di merito che, nel rispondere alle censure degli appellanti sul punto, prima ha erroneamente ricondotto la fraudolenza dell’omessa tenuta della contabilità alla conseguenza di «non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari» (pag. 5) e poi ha ricavato da tale conseguenza e dalla stessa omessa tenuta — secondo un percorso non solo non corretto, ma altresì tautologico la prova del coefficiente soggettivo dei reato (pag. 6), tale da distinguerlo dalla corrispondente ipotesi di bancarotta semplice. Sarebbe stato necessario, invece, data la ricostruzione della fattispecie come reato caratterizzato da dolo specifico di pregiudizio, individuare i dati concreti da cui poteva evincersi che non si fosse trattato di un’omissione rilevante semplicemente ex art. 217 legge fall. e che la finalità che aveva mosso l’imputato fosse stata quella richiesta dalla giurisprudenza di questa Corte per
l’integrazione della bancarotta fraudolenta documentale.
Il difetto della pronunzia avversata attiene anche alla posizione di C.G. benché il suo ricorso sia del tutto inammissibile, dal momento che si tratta di un vizio di impostazione giuridica e motivazionale della sentenza impugnata di carattere generale nell’approccio alla regiudicanda e che non concerne questione specifica attinente al M.D..
Quanto specificamente alla posizione di quest’ultimo, deve altresì registrarsi la fondatezza del secondo motivo di ricorso, laddove la Corte territoriale ha omesso di dare risposta alla doglianza di merito circa la contraddittorietà in cui era incorso il Tribunale, che aveva assolto l’originario coimputato Baglioni perché aveva reputato esservi prova che avesse consegnato le scritture, per poi affermare che queste ultime non erano state istituite.
E’, quindi, per consentire una nuova motivazione sui punti sopra indicati che la sentenza va annullata, con rinvio alla Corte di appello di Lecce sezione promiscua.
Il Giudice di rinvio, nel caso di conferma della pronunzia di condanna del Giudice di prime cure, terrà conto, quanto alle pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, legge fall. applicate nella misura fissa di dieci anni, della sentenza della Corte Costituzionale n. 222 del 2018.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Lecce, sezione promiscua.
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