CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 1369 depositata il 14 gennaio 2022
Fallimento e procedure concorsuali – Reato di bancarotta fraudolenta documentale – Mancato aggiornamento libri sociali e libro giornale
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza emessa il 27/01/2020 la Corte di Appello di Milano ha confermato l’affermazione di responsabilità pronunciata dal Gup del Tribunale di Milano il 27/02/2019 nei confronti di M.A. per i reati di bancarotta fraudolenta documentale e di ragionamento per effetto di operazioni dolose del fallimento (capo 1), nonché per il reato di omesso versamento IVA (capo 2), per avere, in qualità di Presidente del C.d.A. della OSI s.coop, dichiarata fallita il 19/05/2016, sottratte le scritture contabili e omesso sistematicamente il versamento dei debiti tributari; in parziale riforma, ha ridotto la pena principale e le pene accessorie fallimentari.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di M.A., Avv. A.P., deducendo la violazione di legge, in relazione all’omessa riqualificazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale in bancarotta semplice.
Sostiene che il fallito ha depositato alla curatela tutti i bilanci ed i registri IVA dalla costituzione al 2014, anno in cui è cessata l’attività, oltre ai libri sociali, avendo omesso soltanto la consegna della situazione aggiornata alla data del fallimento, intervenuto nel 2016, ed il libro giornale degli ultimi anni; comunque, il curatore non avrebbe avuto difficoltà a ricostruire il volume degli affari, e si sono insinuati al passivo Equitalia, Enel e la Camera di Commercio di Milano. Nel richiamare la giurisprudenza di legittimità sulle differenze tra la bancarotta fraudolenta documentale e quella semplice, aggiunge che il curatore ha potuto ricostruire il volume degli affari ed il patrimonio della società, essendovi più di una traccia delle operazioni gestorie, in quanto tutti i registri IVA sono stati depositati e le dichiarazioni dei redditi trasmesse; del resto, il reato contestato di cui all’art. 10 ter d.lgs. 74/2000 riguarda una debito erariale dichiarato e non versato.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile, perché propone doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica – unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. -, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla natura semplice della bancarotta documentale.
Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione.
Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l’ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti e alla qualificazione giuridica, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà.
Premesso che l’oggetto del reato di bancarotta fraudolenta documentale può essere rappresentato da qualsiasi documento contabile relativo alla vita dell’impresa, dal quale sia possibile conoscere i tratti della sua gestione, diversamente da quanto previsto per l’ipotesi di bancarotta semplice documentale, in relazione alla quale l’oggetto del reato è individuato nelle sole scritture obbligatorie (Sez. 5, n. 37459 del 22/09/2021, De Bernardi, Rv. 281875), e che la bancarotta semplice e quella fraudolenta documentale si distinguono in relazione al diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo, che, ai fini dell’integrazione della bancarotta semplice ex art. 217, comma secondo, legge fall., può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale, ex art. 216, comma primo, n. 2), legge fall., l’elemento psicologico deve essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore (Sez. 5, n. 2900 del 02/10/2018, dep. 2019, Pisano, Rv. 274630), la Corte territoriale, nel qualificare i fatti come bancarotta fraudolenta documentale, ha evidenziato che non erano mancanti solo le scritture obbligatorie, e che non è stato possibile ricostruire il patrimonio e il movimento degli affari in ragione di detta incompletezza.
Invero, la sentenza impugnata ha rilevato come l’imputato, pur avendo consegnato al curatore una parte della documentazione contabile, richiesto di rendere disponibili gli altri atti che l’imputato non aveva consegnato spontaneamente (libro giornale e registri IVA aggiornati alla data del fallimento, la situazione contabile e il bilancio aggiornati al 2015, le schede contabili, l’elenco dei crediti, le fatture di acquisto e vendita, gli estratti conto, il registro dei beni ammortizzabili aggiornato e le dichiarazioni fiscali), aveva omesso di consegnare la documentazione richiesta ed indispensabile a ricostruire la storia quotidiana della vita commerciale della società.
La fraudolenza, e dunque il dolo della bancarotta documentale, sono stati desunti dalla condotta depauperatoria posta in essere attraverso il sistematico inadempimento dei debiti tributari e previdenziali, che aveva determinato un passivo di quasi 20 milioni di euro; al riguardo, la sentenza impugnata ha affermato che l’assenza di qualsivoglia documentazione contabile inerente all’ultimo periodo della vita societaria evidenziasse appunto l’intenzionalità della mancata consegna o della mancata tenuta della stessa, evidentemente funzionale a tenere celata una parte degli eventi che caratterizzarono proprio l’ultimo e più delicato anno di vita della società che ha preceduto il fallimento; tant’è che l’asserita inattività della società nei due anni precedenti non è stata suscettibile di accertamento, proprio a causa della mancanza dei documenti concernenti tale periodo, durante il quale non è stato possibile verificare quali operazioni commerciali lecite o illecite, e potenzialmente dannose, possono essere state poste in essere dall’amministratore.
Al riguardo, va dunque ribadito che integra il reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non di quello di bancarotta semplice, l’omessa tenuta della contabilità interna quando lo scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali (Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, Morace, Rv. 279179).
2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.