Corte di Cassazione. sezione tributaria, sentenza n. 31078 depositata l’ 8 novembre 2023
motivazione assente – motivazione apparente
FATTI DI CAUSA
1. G.F. PLC, società di diritto irlandese, proponeva, al Centro Operativo di Pescara, istanza di rimborso delle ritenute operate dalla consociata G.L., società residente in Italia, per gli anni di imposta 2015 e 2016, in relazione agli interessi pagati da questa alla prima in ragione di finanziamenti ottenuti, ai sensi dell’art. 26- quater d.P.R. n. 600/1973.
2. La Commissione tributaria provinciale di Pescara accoglieva il ricorso contro il silenzio rifiuto.
3. La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo accoglieva l’appello erariale e rigettava la domanda.
In particolare, riteneva: a) che i certificati prodotti dalla società non ne attestassero la residenza per gli anni 2015 e 2016 e non provassero l’assoggettamento ad una delle imposte previste dall’allegato B del
d.P.R. n. 600/1973 nonché che gli interessi fossero assoggettati in Irlanda ad una delle imposte previste dalla lett. A), iii) della Direttiva 2003/49/CE, precisando, sulla scorta di giurisprudenza di legittimità e di merito, che il certificato convenzionale deve attestare la presenza di una doppia imposizione sul medesimo reddito; b) che la società non avesse dato la prova della sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 26-quater d.P.R. n. 600/1973, comma 3, lett. c) e comma 5, non avendo prodotto tutti i contratti di finanziamento ma solo alcuni, a titolo di esempio.
4. Contro tale decisione propone ricorso per cassazione la società, sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Il giudizio è stato fissato per l’udienza pubblica del 29/09/2023, per la quale il PM ha fatto pervenire conclusioni scritte, per il rigetto del ricorso, ed entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la società deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 36, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, dell’art. 111 Cost. in combinato disposto con gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., lamentando:
a) la insanabile contraddizione esistente tra le due affermazioni rese sui certificati relativi alla residenza fiscale in Irlanda, avendo la CTR prima ritenuto che essi non provavano la residenza per gli anni di imposta 2015 e 2016 e l’assoggettamento a una delle imposte indicate dall’allegato B del d.P.R. n. 600/1973 (pagina 3) e poi evidenziato che i certificati si limitassero ad attestare la residenza e l’assoggettamento a tassazione in Irlanda negli anni 2015 e 2016 (pagina 4), laddove peraltro il documento prodotto era del tutto conforme alla norma di legge e alla prassi (circolare 47E del 2/11/2005); b) la motivazione del tutto apparente, laddove la CTR abbia inteso affermare che il detto certificato non dava la prova dell’assoggettamento a tassazione degli interessi nel paese del percipiente, in quanto la prova di detto requisito, prevista dall’art. 26-quater, comma 4, lett. c) d.P.R. n. 600/1973, come anche da prassi dell’Agenzia, non è affidata alla certificazione, ma alla ulteriore documentazione prodotta dalla società, il cui esame era stato del tutto omesso; ciò violerebbe anche gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.; c) la motivazione del tutto apparente, laddove la CTR ha richiamato l’art. 26-quater, comma 3, lett. c) e comma 5, per ritenere rilevante, ai fini della dimostrazione del quantum, la necessità di produrre tutti i contratti di finanziamento, essendo dette disposizioni volte a regolare questioni diverse.
Col secondo motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la società deduce la nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dall’assoggettamento a imposizione in Irlanda degli interessi, che era provato dai documenti prodotti ma non esaminati dalla CTR (dichiarazione dei redditi della società beneficiaria, bilanci).
Col terzo motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la società deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 26-quater lett. c) del comma 5 e comma 6 d.P.R. n. 600/1973, laddove la CTR: a) ha ritenuto non probatorio il certificato prodotto dalla società e volto ad attestare la sua residenza fiscale in Irlanda, facendo anche riferimento alla Convenzione contro la doppia imposizione, irrilevante nel caso di specie; b) ha richiesto tutti i contratti di finanziamento ai sensi del comma 3, lett. c) e del comma 5 dell’art. 26-quater, laddove invece la natura di interessi era provata dalle contabili bancarie e dalle dichiarazioni dei redditi.
Col quarto motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la società deduce nullità della sentenza per vizio di extra petizione ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., laddove, in assenza di specifico motivo di appello, avendo l’Agenzia contestato la decisione sotto il profilo dell’idoneità dei certificati di residenza e sotto il profilo della qualità di beneficiario effettivo, la CTR ha ritenuto necessaria la produzione di tutti i contratti di finanziamento al fine di qualificare le somme come interessi.
2. Il primo motivo espone tre diverse censure in termini di motivazione apparente e contraddittoria.
2.1. Occorre premettere che la mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. (e nel caso di specie dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. 546/1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, si configura quando la motivazione <<manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata>> (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053 che ha chiaramente affermato che il sindacato sulla motivazione deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al <<minimo costituzionale>> del sindacato di legittimità sulla motivazione; successivamente tra le tante Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 01/03/2022, n. 6626).
In particolare si è in presenza di una <<motivazione apparente>> allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella <<perplessa e incomprensibile>>; in entrambi i casi, invero – e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass., Sez. U., 03/11/2016, n. 22232 e le sentenze in essa citate).
Infine, invece il giudice non può, quando esamina le argomentazioni delle parti o i fatti di prova, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la loro valutazione, perché questo è il solo contenuto «statico» della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi, tanto più in una fattispecie complessa, anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto «dinamico» della dichiarazione stessa (Cass. 20/12/2018, n. 32980; Cass. 29/07/2016, n. 15964; Cass. 23/01/2006, n. 1236).
2.2. Quanto alla violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., essa, come è noto, può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito (che, nei limiti del vizio di motivazione sopra indicato non è sindacabile in sede di legittimità), ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale (Cass. 28/02/2018, n. 4699; Cass. 11/10/2016, n. 20382).
2.3. Infine, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo <<prudente apprezzamento>>, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez. U., 30/09/2020, n. 20967).
2.4 Occorre ancora premettere che l’art. 26-quater d.P.R. n. 600/1973 prevede l’esenzione degli interessi pagati a società non residenti ove, in sintesi e con riferimento al caso di specie:
a) i pagamenti siano effettuati da società o enti che rivestono le forme previste dall’allegato A, che risiedono, ai fini fiscali nel territorio dello Stato e sono assoggettate, senza fruire di regimi di esonero, all’imposta sul reddito delle società (comma 1 lett. a);
b) sussistano determinati requisiti di controllo tra la società che effettua il pagamento e quella che la riceve o tra queste due ed una terza società (comma 2);
c) le società beneficiarie degli interessi rivestano una delle forme dell’allegato A, risiedano ai fini fiscali in uno stato membro e siano assoggettate, senza fruire di esonero, ad una delle imposte dell’allegato B (comma 4 lett. a);
d) gli interessi siano assoggettati a una delle imposte dell’allegato B (comma 4 lett. b);
e) le società non residenti siano beneficiarie effettive dei redditi (comma 4 lett. c).
Il comma 3 alla lett. b) prevede a definire gli interessi e alla lett. c) quali pagamenti o prestazioni non possano essere considerati interesse.
Ancora, il comma 6 prevede che, ai fini dell’applicazione dell’esenzione, occorre un’attestazione dalla quale risulti la residenza del beneficiario effettivo, rilasciata dalle competenti autorità fiscali dello Stato di residenza della società estera, nonché una dichiarazione dello stesso beneficiario effettivo che attesti la sussistenza dei requisiti previsti dai commi 2 e 4.
2.5. Sotto un primo profilo, dalla lettura della sentenza emerge evidente la irriducibile contraddizione tra quanto indicato a pagina 3 e quanto indicato a pagina 4, circa l’idoneità del certificato rilasciato dall’amministrazione fiscale irlandese a dare la prova della residenza della società beneficiaria degli interessi e della sua soggezione alle imposte in Irlanda.
A fronte della decisione della CTP, riportata dalla stessa CTR, secondo cui i certificati <<oltre ad indicare alcuni elementi necessari (nome della ricorrente, periodo di imposta di residenza fiscale in Irlanda, autorità che lo ha rilasciato), contengono inoltre l’attestazione che la ricorrente è assoggettata alla Corporation Tax>>, la CTR invece, a pagina 3 prima afferma che <<il certificato rilasciato dall’amministrazione fiscale competente, pur indicando che la società è fiscalmente residente in Irlanda, non attesta detta residenza, per gli anni di imposta 2015 e 2016, ai sensi dell’art. 3, lett. a, ii) della Direttiva 2003/49CE e l’assoggettamento a una delle imposte indicate nell’allegato B del d.P.R. 600/73>>, per poi, a pagina 4, evidenziare invece che <<i certificati di residenza relativi al 2015 e al 2016 prodotti nel corso del primo giudizio si limitano ad attestare l’effettiva residenza in detti anni della società G.F. PLC in Irlanda ed il fatto che è assoggettata ivi a tassazione>> ma che essi non provavano in concreto la doppia imposizione.
La prima affermazione, quindi, peraltro del tutto apodittica rispetto all’analisi del contenuto del documento effettuata dalla CTP e riportata dalla stessa CTR, appare evidentemente contraddetta dalla seconda, e la contraddizione non è risolta da alcun altro passaggio motivazionale. E’ fondato anche il secondo profilo di censura, con cui la ricorrente contesta che la CTR abbia inteso affermare che il detto certificato non dava la prova dell’assoggettamento a tassazione degli interessi nel paese del percipiente; la prova di detto requisito, prevista dall’art. 26- quater, comma 4, lett. c) d.P.R. n. 600/1973, non è affidata alla certificazione, come anche da prassi dell’Agenzia, ma alla ulteriore documentazione prodotta dalla società (dichiarazione del beneficiario effettivo, dichiarazione dei redditi, bilanci), il cui esame è stato del tutto omesso nonostante il carattere decisivo ai sensi della predetta normativa (il che rileva sotto il profilo dell’art. 115 cod. proc. civ.). Del resto, la considerazione espressa dalla CTR sulla circostanza che la certificazione non provasse la soggezione a imposizione degli interessi in Irlanda, appare altresì viziata dal prolungato riferimento alla funzione del <<certificato convenzionale>> e agli insistiti riferimenti alle disposizioni convenzionali, laddove oggetto della lite è la domanda di rimborso proposta ai sensi dell’art. 26-quater d.P.R. n. 600/1973 e non per la invocata applicazione di norme convenzionali contro la doppia imposizione.
Infine appare fondata la terza doglianza, laddove la CTR ha richiamato l’art. 26-quater, comma 3, lett. c) e comma 5, per ritenere rilevante, ai fini della dimostrazione del quantum, la necessità di produrre tutti i contratti di finanziamento, avendo i giudici di appello evidenziato che la mancata produzione di tutti i contratti di finanziamento non rendeva possibile provare l’entità del finanziamento complessivamente erogato e che dalla documentazione prodotta si evinceva che nell’anno 2015, a fronte di un ammontare complessivo di interessi pari ad euro 10.879.913, 94 per i quali era chiesto il rimborso della ritenuta, la società aveva prodotto contratti di loan relativi ad una quota capitale di euro 11.600.000,00, mentre per il 2016, a fronte di un ammontare complessivo degli interessi per i quali si chiedeva il rimborso della ritenuta la società aveva prodotto contratti per euro 15.950.000,00; alla luce di tali elementi la CTR ha ritenuto che la società non avesse provato la sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 26-quater d.P.R. n. 600/1973, comma 3 lett. c) e comma 5.
Orbene, l’art. 26-quater, comma 3, lett. c) disciplina le ipotesi in cui alcuni proventi non possano essere considerati interessi mentre il comma 5 regola l’ipotesi di riduzione della loro misura a valore normale, in presenza di operazioni tra consociate, laddove invece la CTR, davanti alla quale, in base agli atti come trascritti o riassunti, non era stata sollevata questione relativa al valore normale, ha utilizzato tali riferimenti normativi ai diversi fini della prova del quantum.
2.6. Tali contraddizioni ed errati riferimenti e la necessità che il giudice d’appello esponga le ragioni del proprio giudizio escludono che, sui punti citati, la motivazione possa essere integrata dagli ampi riferimenti, contenuti nel controricorso e in memoria, agli atti di parte, che non possono essere utilizzati al fine di riempire di contenuto le generiche e contraddittorie affermazioni della CTR e la cui indicazione evidenzia ancor di più il vizio denunciato.
3. Ne segue l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, con cassazione della sentenza e rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, per riesame della lite e per regolare altresì le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, cui demanda di regolare le spese del giudizio di legittimità.