Corte di Cassazione ordinanza n. 19691 del 17 giugno 2022

vizio di motivazione – non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio

Rilevato che:

1. L’Agenzia delle Entrate notificò alla D. s.a., società spagnola esercente attività di costruzione di opere idrauliche, l’avviso di accertamento in materia di Ires per l’anno di imposta 2005, con il quale si determinava, ai sensi dell’art. 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146 un maggior reddito di impresa, in ragione dello scostamento dei ricavi dichiarati dalla contribuente rispetto a quelli previsti dagli studi di settore di cui all’art. 62-bis del d.l. del 30 agosto 1993, n.331, così come convertito nella legge 29 ottobre 1993 n. 427.

La contribuente ha proposto ricorso, avverso l’accertamento, innanzi la Commissione tributaria provinciale di Roma, che lo ha accolto. Contro la sentenza di primo grado, l’Ufficio ha proposto appello innanzi la Commissione tributaria regionale del Lazio che, con la sentenza di cui all’epigrafe, lo ha accolto.

La contribuente ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza d’appello, ed ha successivamente prodotto memoria.

L’Ufficio, non avendo proposto controricorso, si è costituito al solo scopo di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Considerato che:

1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 36 d.lgs. 546 del 1992, assumendo che la CTR avrebbe reso una motivazione meramente apparente in quanto con

specifico riferimento all’ applicabilità al caso di specie degli studi di settore e alla giustificazione dello scostamento fra ricavi teorici e ricavi dichiarati, si sarebbe limitata « ad accogliere pedissequamente le affermazioni dell’Ufficio, sostenendo ma non motivando quali argomentazioni di parte siano prive di adeguata efficacia probatoria e soprattutto non esponendo il procedimento ermeneutico sulla base del quale abbia raggiunto tale convincimento».

2. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 62-bis e 62-sexies del d.l. n.331 del 1993, convertito nella legge 427 del 1993.

Assume la ricorrente che era in discussione, nel caso di specie, a prescindere dallo scostamento dei ricavi effettivi rispetto a quelli potenziali, la stessa applicabilità degli studi di settore, non trovandosi la società, nell’anno d’imposta accertato, « in un periodo di normale svolgimento dell’attività», come previsto dalla clausola di esclusione espressa di cui all’art. 10, comma 4, della legge n. 146 del 1998.

La «non normalità», secondo la ricorrente, dipendeva da almeno due fattori oggettivi, interconnessi:

la circostanza che essa costituiva ( non meramente la società italiana del gruppo spagnolo D., ma) la “stabile organizzazione” in Italia (necessaria al fine di concorrere all’acquisizione di appalti pubblici) di una società spagnola operativa su scala internazionale, con la conseguenza che l’ottimizzazione dell’attività dell’azienda, consistente nel dragaggio, gestita a livello complessivo mondiale, non era parametrata ( e quindi parametrabile a fini statistici con rilevanza fiscale) sul mero fatturato italiano;

la dimensione aziendale effettiva della Davo s.a. che, se limitata all’attività della “stabile organizzazione in Italia”, non esprimeva ricavi di ammontare superiore al limite stabilito secondo i criteri di cui alla clausola di esclusione tipica dettata dall’art. 10, comma 4, della legge n. 146 del 1998; mentre tale limite era senz’altro superato se valutato con riferimento alla complessiva attività della società, con la conseguenza che la relativa causa di esclusione doveva ritenersi operante, quanto meno, in via d’interpretazione, come ipotesi, atipica e di chiusura del sistema, di non normale svolgimento dell’attività, pure prevista dallo stesso comma, e comunque sintomatica dell’inadeguatezza, nel caso di specie, dello studio di settore.

3. Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, 5, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, ed in particolare di una serie di elementi oggettivi giustificativi della non applicabilità dello studio di settore, per la non normalità del periodo d’imposta, rappresentati:

dal numero limitato di giorni di effettiva attività lavorativa nel 2005 (solo 38), a fronte della e attività amministrative e della partecipazione a gare d’appalto, dispiegatesi per tutto lo stesso anno;

dalla particolare e complessa vertenza legale che ha interessato la gestione del cantiere di Portovesme, commessa ottenuta dalla contribuente, ma senza mai poter iniziare realmente i lavori, nonostante gli ingenti costi per la redazione dei progetti ed il contenzioso legale;

la rilevante incidenza di costi fissi, connessi alla peculiare attività di dragaggio, correlata all’esecuzione di opere pubbliche, che rende necessaria una presenza costante “strategica” sul territorio, ai fini della partecipazione agli appalti nel momento in cui siano banditi, come accaduto, nel periodo 2003-2005, con riferimento a diverse gare, ma con aggiudicazione soltanto per tre, nel 2005, anno nel quale una sola opera aggiudicata è stata anche realizzata.

4. I tre motivi vanno trattati congiuntamente, attesa la loro connessione, posto che con tutti viene censurata, sia pur sotto diversi aspetti e con riferimento a differenti ipotesi di vizi, la mancata effettiva considerazione, da parte della CTR, degli aspetti concreti, peculiari della singola contribuente e della sua attività, che avrebbero evidenziato, se non necessariamente l’inapplicabilità, quanto meno l’inadeguatezza e l’insufficienza del solo strumento statistico dello studio di settore rispetto al fine di evidenziare i maggiori ricavi presuntivi accertati in capo alla ricorrente, a causa dello scostamento contestatole.

Invero l’introduzione nel merito, con allegati di supporto, delle relative questioni da parte della contribuente risulta, per autosufficienza, non solo dai richiami contenuti nel ricorso, ma anche dalla stessa sentenza di primo grado, in esso trascritta, che aveva dato atto delle corrispondenti contestazioni, peraltro accogliendole.

Tanto premesso, al fine di individuare la regola di giudizio che il giudice a quo era chiamato ad applicare, va ricordato che, nella materia controversa, questa Corte ha già chiarito che, in giudizio, a prescindere dall’esito del contraddittorio, il giudice tributario deve liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte ( cfr. Cass., S.Un., 18/12/2009, n. 26635). Infatti, in tema di accertamento tributario mediante studi di settore, ai fini del riparto degli oneri probatori, grava sul contribuente l’onere di allegare, ed anche di provare – ancorché senza limitazioni di mezzi e di contenuto – la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo  la  procedura  di  accertamento  tributario  standardizzato, mentre sull’ente impositore quello di dimostrare l’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento (Cass. 21/12/2021, n. 40936).

Nel caso di specie, a fronte delle predette allegazioni e difese della contribuente, la sentenza impugnata assume la «mancanza di adeguate prove contrarie da parte della società contribuente cui incombeva l’onere», senza chiarire né quali allegazioni e prove siano state valutate ( e quindi senza neppure consentire di verificare se siano stati esaminati i fatti, di cui alle censure della ricorrente, dedotti per contrastare la riferibilità dello standard al caso concreto e, comunque, quanto meno a potenziale discarico dalle presunzioni semplici che dallo studio derivino); né quale sia il motivo della loro “inadeguatezza”.

Giova, allora, ricordare che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, il giudice non può, nella motivazione, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perché questo è il solo contenuto “statico” della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto “dinamico” della dichiarazione stessa (cfr. Cass. 23/01/2006, n. 1236; Cass. 29/07/2016, n. 15964; Cass. 20/12/2018, n. 32980).

Inoltre, «In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico- giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito.» (Cass. 14/02/2020, n. 3819). La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio al giudice d’appello, affinché provveda ai necessari accertamenti in conformità ai principi esposti.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.