CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, sentenza n. 7421 depositata il 20 marzo 2024

Tributi – Avviso di accertamento IRES – IRAP – IVA – Disciplina agevolativa Pex – Deducibilità ricavi e spese – Accoglimento parziale

Fatti di causa

1. La società G. Srl, già S.A.F.A.B. Società appalti e forniture per acquedotti e bonifiche Spa ricorre, con tre motivi, contro l’Agenzia delle entrate avverso la sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale del Lazio, in sede di giudizio di rinvio, ha accolto solo in parte l’appello proposto dall’ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento di maggiori Ires, Irap ed Iva per l’anno di imposta 2006.

2. Il giudice di appello, con la sentenza impugnata, riteneva che la contribuente avesse dato dimostrazione della ricorrenza dei requisiti per usufruire della disciplina agevolativa Pex ai sensi dell’art.87 T.u.i.r.

In particolare, come già rilevato dai primi giudici, la C.t.r. riteneva che nel caso di società, la cui attività consisteva in via prevalente o esclusiva nell’assunzione di partecipazioni, il requisito della commercialità di cui alla lettera d) del comma 1 dell’art.55 T.u.i.r. andava riferito alle società partecipate.

Con riguardo alla deducibilità dei costi, la C.t.r. riteneva che non fossero deducibili quelli relativi alla compravendita di un terreno in provincia di C, i cui negoziatori non avevano alcun rapporto con la società contribuente, sulla quale non potevano ricadere gli effetti del contratto, né quelli relativi a diritti oggetti di giudizio, in quanto riferibili alla cessione di crediti futuri.

Inoltre, il giudice di appello non riteneva deducibili i costi relativi ad una commessa dell’Anas, per lavori che risultavano ultimati nel 2005, in quanto non di competenza dell’anno 2006.

3. Avverso il ricorso della società contribuente, l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale limitatamente al riconoscimento dell’agevolazione Pex.

4. In prossimità dell’udienza il P.G. F.T. faceva pervenire conclusioni scritte con cui chiedeva il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale.

Ragioni della decisione

1.1. Con il primo motivo del ricorso principale, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 109 d.P.R. 22 dicembre 1986, n.917, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.

La prima censura riguarda la statuizione con cui la C.t.r. ha ritenuto che non fossero riferibili alla società contribuente i costi per le specifiche prestazioni di consulenza da parte della società F.S. di S.

Ritiene la contribuente che la C.t.r. erroneamente avrebbe rilevato l’impossibilità di ricondurre tali costi alla società contribuente, la quale, in base ad una complessa rete di accordi, che vedeva coinvolte anche altre società, sarebbe stata l’unica effettiva interessata all’operazione.

La seconda censura riguarda invece la statuizione dell’indeducibilità, per il mancato rispetto del requisito dell’esercizio di competenza, dei costi relativi all’acquisto di diritti rinvenienti dai contenziosi, all’epoca in corso, in capo alla società Ge. Srl

La terza censura riguarda la statuizione dell’indeducibilità, per il mancato rispetto del requisito dell’esercizio di competenza, dei costi addebitati alla società dalla F. s.c.a.r.l., in relazione a lavori che, dal verbale di visita definitiva di collaudo, risultavano ultimati nel 2005.

1.2. Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 83 d.P.R. 22 dicembre 1986, n.917, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.

Con riferimento ai costi relativi all’acquisto di diritti rinvenienti dai contenziosi, all’epoca in corso, in capo alla società Ge. Srl, la ricorrente deduce che essi erano stati regolarmente indicati nel bilancio di esercizio 2006 della società e che, in mancanza delle condizioni di indeducibilità, dovevano ritenersi deducibili nell’anno di competenza.

1.3. Con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n.546, e 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., deducendo la nullità della sentenza impugnata, che non avrebbe motivato in ordine all’indeducibilità dei costi relativi all’acquisto di diritti rinvenienti dai contenziosi, all’epoca in corso, in capo alla società Ge. Srl, semplicemente ritenendo che non fossero di competenza perché relativi all’acquisto di crediti futuri.

2.1. La prima censura del primo motivo del ricorso principale è inammissibile in quanto sostanzialmente tende ad un riesame delle circostanze di fatto, che non può essere oggetto del giudizio di legittimità.

La C.t.r., infatti, con accertamento di merito, ha ritenuto che non vi fossero elementi per collegare il contratto in questione alla società contribuente, la quale non aveva dimostrato di essere destinataria degli effetti.

2.2. Il terzo motivo, sulla mancanza di motivazione, logicamente prioritario rispetto alla seconda censura del primo motivo ed al secondo motivo del ricorso principale, è infondato, in quanto la sentenza impugnata ritiene, sia pure con motivazione molto stringata, che i costi relativi all’acquisto di diritti rinvenienti dai contenziosi, all’epoca in corso, fossero indeducibili perché collegati alla cessione di crediti futuri.

Ed infatti, a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., Sez. U., 7/04/2014, n. 8053).

2.3. Sono, invece, fondati la seconda censura del primo motivo ed il secondo motivo di ricorso, che vengono trattati unitariamente per connessione.

Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, così da alterare il risultato della dichiarazione (v. Cass. Sez. 5, n. 2213 del 31/01/2011; Id. n. 28070 del 30/12/2009).

Le regole di imputazione temporale dei componenti del reddito d’impresa sono contenute nell’art.109 T.u.i.r., che stabilisce, alla prima parte, che “i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme del presente capo non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza”. Nella seconda parte la norma poi dispone: “tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni”.

Quest’ultima disposizione, diversamente da quanto appare, non contiene, per “i ricavi”, per “le spese” e per “gli altri componenti” per i quali non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, una indicazione dell’esercizio di competenza diversa da quella stabilita nella prima parte, ma detta una specifica deroga all’obbligo di osservare il principio della competenza, consentendo la deducibilità di particolari “ricavi” e “spese” ed “altri componenti” non già in quello di competenza, ma nell’esercizio in cui si verifica la certezza della loro esistenza ovvero la determinabilità, in modo obiettivo, dell’ammontare relativo.

Dalla complessiva prescrizione, quindi, si deduce che, anche per i “ricavi”, per le “spese” e per gli “altri componenti” per i quali non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, il legislatore considera esercizio di competenza quello nel quale nasce e si forma il titolo giuridico che costituisce la fonte di ciascuna di tali voci e che per gli stessi si consente soltanto la loro deducibilità nel diverso esercizio nel quale si raggiunge la certezza dell’esistenza ovvero della determinabilità in modo obiettivo del relativo ammontare (v. Cass. n. 1431 del 25/01/2006; Cass. n. 10988 del 14/05/2007).

L’esistenza attiene al verificarsi dei presupposti di fatto o di diritto, che costituiscono la fonte generatrice della componente di reddito, mentre l’oggettiva determinabilità concerne il quantum, l’aspetto quantitativo della componente di reddito, sicché esige sussistano gli elementi idonei a consentirne la determinazione.

Pertanto, nel caso in esame, in seguito al verificarsi della condizione sospensiva cui era subordinata l’efficacia della cessione dei diritti oggetto di contenzioso, non era contestata l’effettività, determinatezza ed inerenza del costo, sia pure collegato a ricavi successivamente realizzabili, e la contribuente ben poteva dedurlo nell’anno in cui lo aveva sostenuto ed in cui si erano verificati i presupposti che costituivano la fonte generatrice della componente di reddito.

La C.t.r., limitandosi a ritenere l’indeducibilità dei componenti negativi, in quanto collegati alla cessione di crediti futuri, incorre dunque, nella denunziata violazione di legge; inoltre trascura di esaminare la ricostruzione della fattispecie fornita da parte contribuente, che segue un indirizzo espresso dalla stessa Agenzia delle entrate nella risposta ad interpello n.334/2023, in tema di disciplina dell’Iva, secondo cui, in caso di compravendita e gestione della res litigiosa, la cessione del diritto contenzioso non presenta i presupposti per essere ricondotta nell’ambito delle cessioni di credito, ma comporta il subentro nella posizione processuale del cedente.

2.4. La terza censura del primo motivo del ricorso principale è fondata.

Come si è detto, i costi devono essere imputati all’esercizio di competenza, che, per le acquisizioni di servizi, è quello in cui le relative prestazioni sono state ultimate.

In particolare, per gli appalti, l’esercizio di competenza si individua con riferimento al momento in cui l’opera appaltata o il SAL, in caso di appalti di lunga durata, viene approvato dal committente (cfr. Cass. nn. 10585 e 25282/2015).

È consolidato l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, secondo cui – premesso che, in tema di determinazione del reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti del reddito dettate in via generale dall’art. 75 del T.u.i.r. sono tassative ed inderogabili, non essendo consentito al contribuente di ascrivere a proprio piacimento un componente positivo o negativo del reddito ad un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza (da ult., Cass. n. 16349 del 2014) – con riferimento ai contratti di appalto concorrono alla formazione del reddito d’impresa, in un periodo determinato, esclusivamente i ricavi per i corrispettivi dei lavori ultimati (comma 2, lettera b, del citato art. 75), ovverosia di quelli in ordine ai quali sia intervenuta l’accettazione del committente, derivante dalla positiva esecuzione del collaudo, o anche in conseguenza dell’espressione, per facta concludentia, di una volontà incompatibile con la mancata accettazione (accettazione tacita), secondo quanto stabilito nell’art. 1665, secondo e terzo comma, cod. civ. (Cass. nn. 26665 del 2009, 4297 e 10818 del 2010).

Pertanto, nel caso in esame, in cui la C.t.r. non fa riferimento al momento in cui i lavori sono accettati dal committente, ma solo all’ultimazione, quale risulterebbe da una certificazione rilasciata dall’Anas di C, il motivo appare fondato.

3.1. Passando all’unico motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 87 d.P.R. 22 dicembre 1986, n.917, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.

Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata è illegittima laddove ha sancito l’applicabilità del regime Pex alla plusvalenza realizzata dall’operazione di cessione di quote societarie descritte nell’avviso di accertamento.

3.2. Il motivo è infondato e va rigettato.

L’operazione descritta nell’avviso di accertamento era la seguente.

In data (…) 2006 la verificata ha ceduto la partecipazione detenuta nella S. (P. IVA (…)), con sede in L, alla T. Srl (P.Iva (…)), con sede B (R), al prezzo convenuto di 2.485.000,00 di Euro, oltre al pagamento del credito di 4.015.000,00 di Euro vantato dalla verificata nei confronti della sua partecipata (S.) dovuto ad un finanziamento infruttifero erogato per l’acquisto del 15% e del 65% delle quote di partecipazione nella società ICF ( (…) Spa), di cui la stessa deteneva il 15%, rispettivamente dalla M. Srl e dalla GE. Srl in data (…) 2006. Tale operazione ha generato una plusvalenza di 1.389.119,00 di Euro pari alla differenza tra prezzo di vendita pari ad Euro 2.485.000,00 e il valore iscritto in bilancio della partecipazione pari ad Euro 1.095.881,00 assoggettata al regime agevolativo della PEX e perciò tassata nella misura del 9%.

Ai sensi dell’art. 87, comma 1, lettera d, T.u.i.r, le “plusvalenze esenti” derivanti da cessioni di partecipazioni (participation exemption – pex) devono avere la concorrenza di quattro requisiti: a) un ininterrotto possesso delle partecipazioni per un anno; b) la classificazione nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso; c) la residenza fiscale della società partecipata in uno Stato o territorio diverso da quelli a regime fiscale privilegiato (black list); d) esercizio da parte della società partecipata di un’impresa commerciale, secondo la definizione di cui all’art. 55 Tuir.

I primi due requisiti attengono alla società partecipante ed alla natura della partecipazione, mentre i successivi attengono alla società partecipata.

L’art. 87 T.u.i.r., al quinto comma, così recita: “Per le partecipazioni in società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni, i requisiti di cui alle lettere c) e d) del comma 1 si riferiscono alle società indirettamente partecipate e si verificano quando tali requisiti sussistono nei confronti delle partecipate che rappresentano la maggior parte del valore del patrimonio sociale della partecipante”.

La norma, dunque, stabilisce che per le partecipazioni in società, la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni, i requisiti della residenza fiscale e dell’esercizio di un’impresa commerciale vanno esaminati con riguardo alle società indirettamente partecipate e risultano rispettati nei confronti delle partecipate che rappresentano la maggior parte del valore del patrimonio sociale della partecipante.

Nel caso di specie, la C.t.r. ha ritenuto che la società ricorrente aveva dimostrato che le società partecipate dalla S. svolgessero attività commerciale e costituissero la maggior parte del valore del capitale sociale della partecipante; pertanto, la statuizione non incorre nella denunziata violazione di legge, dovendosi ritenere che la società holding sia un mero schermo e che, nei suoi confronti, la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 87, comma 1, lettera d, T.u.i.r., relativi alla residenza fiscale ed alla commercialità dell’attività della società partecipata, vadano verificati nei confronti delle sue partecipate (di secondo livello).

Rilevato che, in relazione al ricorso incidentale, risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1 – quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, (Cass. 29/01/2016, n. 1778).

In conclusione, la Corte, rigettato il ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi del ricorso principale oggetto di accoglimento, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia di secondo grado del Lazio, in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie la seconda e la terza censura del primo motivo del ricorso principale, nonché il secondo motivo del ricorso principale, rigettati gli altri; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia di secondo grado del Lazio, in diversa composizione.