Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Milano, sez. 10, sentenza n. 2587 depositata il 10 luglio 2023
Non è necessario che il trasferimento in Italia avvenga per ragioni di lavoro al fine di beneficiare del regime fiscale dei lavoratori “impatriati”
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 La signora B. B. B. G. cittadina brasiliana ha impugnato il provvedimento del 29 marzo 2022 (prot. n. 0109171, notificato in data 5 aprile 2022), con cui la Direzione Provinciale I di Milano dell’Agenzia delle Entrate le ha negato il rimborso del credito IRPEF 2020, richiesto mediante il Modello 730/2021, pari ad € 13.337,00.
La contribuente premette che:
– in data 3 marzo 2015, veniva assunta in Brasile dalla società PBC Comunicacao Ltda, filiale brasiliana del gruppo multinazionale francese P.G. che si occupa a livello mondiale di pubblicità, comunicazione e marketing;
– avendo l’intenzione di trasferirsi e lavorare in Italia insieme al marito (Marcello Vicente Beraldi) e ai due figli minorenni H. e M., in data 11 giugno 2019 interrompeva il rapporto di lavoro con la Pubblicis Brasil, con l’intesa, che, a seguito di un necessario breve periodo di assestamento e di ambientamento (necessario soprattutto per imparare la lingua italiana) avrebbe ripreso a lavorare in Italia presso la filiale italiana del medesimo gruppo multinazionale;
– in data 13 luglio 2019 la ricorrente si iscriveva, unitamente al marito e ai due figli, nelle liste anagrafiche del comune di San Donato di Milanese;
– in data 18 febbraio 2020, veniva assunta dalla società P.G. s.r.l., filiale italiana dello stesso gruppo multinazionale P.G. presso il quale la medesima prestava la propria attività lavorativa in Brasile;
– con la presentazione del Modello 730/2021, la ricorrente esercitava l’opzione per il regime fiscale di favore degli impatriati previsto dall’art. 16 del d.lgs. n. 147 del 2015, detassando al 70% il reddito di lavoro dipendente prodotto nell’anno 2020 e chiedendo a rimborso l’IRPEF pagata in eccesso nell’anno, pari a € 13,337,00;
– sennonché, con l’atto impugnato, l’Agenzia delle Entrate rigettava la richiesta di rimborso.
A fondamento delle domande di annullamento e condanna, la ricorrente argomenta diffusamente le ragioni per cui si ritiene in possesso dei requisiti previsti dall’art. 16 del decreto-legislativo n. 147 del 2015 per accedere al regime dei c.d. ‘impatriati’.
2 Si è costituita in giudizio l’Agenzia delle Entrate, insistendo per il rigetto del gravame. Secondo l’Ufficio, ai fini dell’agevolazione in commento, sarebbe necessario verificare la sussistenza di un collegamento tra il trasferimento della residenza in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa in tale Paese. Nel caso in esame, il trasferimento della residenza della contribuente, nel luglio 2019, non risulterebbe conseguente all’inizio di alcuna attività lavorativa, iniziata solo nel febbraio 2020. Al momento del trasferimento non sarebbe stato formalizzato alcun pre-accordo o alcuna sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro in Italia.
3 All’udienza del 22 maggio 2023, la causa è stata discusa e decisa come da dispositivo in atti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4 La tesi dell’Amministrazione secondo cui sarebbe ostativa al riconoscimento del beneficio tributario per cui è causa la mancanza di un «collegamento funzionale» tra il rientro in Italia della contribuente e l’inizio dell’attività lavorativa nel territorio dello Stato non può essere condivisa.
4.1 Il regime speciale per lavoratori ‘impatriati’, introdotto a decorrere dal periodo di imposta 2016, consiste una tassazione agevolata dei redditi prodotti dai contribuenti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia e che si impegnano a risiedervi per almeno due periodi di imposta, svolgendo attività lavorativa nel territorio italiano.
Il fondamento dell’istituto è quello di favorire il trasferimento in Italia di quei lavoratori che, grazie alla loro qualificata esperienza all’estero, possono favorire lo sviluppo economico, culturale e tecnologico del Paese.
Nel dettaglio, l’art. 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, subordina l’accesso al regime speciale ‒ consistente nel fatto che «[i] redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato […] concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30 per cento del loro ammontare» ‒ alle seguenti condizioni (indicate nel primo comma):
a) «i lavoratori non sono stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnano a risiedere in Italia per almeno due anni»;
b) «l’attività lavorativa è prestata prevalentemente nel territorio italiano».
Lo stesso articolo (al secondo comma) precisa che il beneficio «si applica anche ai cittadini di Stati diversi da quelli appartenenti all’Unione europea, con i quali sia in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito ovvero un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, in possesso di un diploma di laurea, che hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi ventiquattro mesi ovvero che hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più, conseguendo un diploma di laurea o una specializzazione post lauream».
Il beneficio viene riconosciuto «a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e per i quattro periodi successivi» (terzo comma dello stesso art. 16 ).
4.2 Su queste basi, il diniego opposto alla ricorrente è illegittimo, in quanto fondato su condizioni non richieste dalla legge, in violazione della riserva prescritta, per le prestazione patrimoniali imposte, dall’art. 23 della Costituzione, non potendo la prassi amministrativa circoscrivere benefici fiscali oltre i limiti previsti dal legislatore.
In particolare, secondo l’Ufficio, la ricorrente non potrebbe beneficiare del regime in quanto: il suo trasferimento in Italia non sarebbe avvenuto per motivi di lavoro; non sarebbe ravvisabile un collegamento tra la data di trasferimento della residenza in Italia (luglio 2019) e l’inizio del rapporto di lavoro (febbraio 2020).
Sennonché, dalla piana lettura della disposizione in commento emerge che gli elementi che condizionano l’applicazione del regime di favore sono: – la pregressa residenza estera per un periodo minimo di 2 anni; – il fatto che l’attività lavorativa sia prestata in Italia.
La norma non prescrive, invece, alcun periodo temporale minimo che debba intercorrere tra la data di trasferimento in Italia e l’inizio dell’attività lavorativa; neppure richiede una disamina dei motivi soggettivi che avrebbero indotto il contribuente a trasferirsi in Italia.
Il trattamento tributario deve essere ancorato a requisiti certi e prevedibili, senza rimandare a elementi sfuggenti che richiedano una valutazione caso per caso, immancabilmente condizionata dalla ‘soggettività’ del singolo funzionario accertatore.
5 Peraltro, nel caso di specie, il ‘collegamento logico-temporale’ tra il trasferimento di residenza in Italia della ricorrente e l’inizio dell’attività lavorativa in Italia, secondo il Collegio, emerge agevolmente dall’analisi dei seguenti dati.
5.1 In primo luogo, la ricorrente si è iscritta nelle liste anagrafiche della popolazione italiana residente solo in data 13 luglio 2019 (rimanendo residente fiscalmente in Brasile per l’intero anno di imposta 2019). Il trasferimento di residenza in Italia ha avuto efficacia, ai sensi dell’art. 2 TUIR, a partire dal 1 gennaio 2020.
Dopo poco più di un mese, la contribuente ha iniziato a lavorare in Italia per la società P.G. s.r.l. il 18 febbraio 2020.
5.2 Va pure rimarcato che la ricorrente ha interrotto in data 11 giugno 2019 il rapporto lavorativo con la società brasiliana P.G. Brasil (per la quale aveva prestato la propria attività lavorativa negli ultimi 5 anni, dal marzo 2015 al giugno 2019), riprendendo a lavorare per la filiale italiana del medesimo gruppo multinazionale P.G. (P.G. s.r.l.).
Il lasso temporale (di appena sei mesi) intercorso prima di iniziare il nuovo rapporto è del tutto compatibile, secondo la comune esperienza, con la dichiarata necessità di fruire di un breve periodo d’assestamento in Italia per imparare la lingua italiana (sul punto, viene documentata in giudizio la frequenza di un corso di lingua italiana) e per espletare le varie incombenze presumilbilmente legate al trasferimento intercontinentale dell’intera famiglia.
6 Per le ragioni anzidette, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, l’atto impugnato deve essere annullato. L’Agenzia delle Entrate è obbligata al rimborso, in favore del ricorrente, della somma di € 13,337,00 richiesta mediante il Modello 730/2021, la cui quantificazione non è stata specificatamente contestata dall’Ufficio resistente.
6.1 Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite, in considerazione della particolarità e novità della questione.
P.Q.M.
La Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Milano:
– accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato e condanna l’Agenzia delle Entrate al rimborso, in favore della ricorrente, della somma di € 13,337,00, richiesta mediante il Modello 730/2021;
– compensa le spese di lite del presente grado di giudizio.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Regime speciale per lavoratori impatriati - Mancata fruizione dell'agevolazione nel periodo di imposta del trasferimento della residenza fiscale in Italia - Risposta 13 febbraio 2020, n. 59 dell'Agenzia delle Entrate
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 20855 depositata il 18 luglio 2023 - In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, ferma la regola generale di cui al primo comma dell'art. 5, l. n. 223 del 1991, secondo cui "l'individuazione dei…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 13473 depositata il 29 aprile 2022 - In tema di IVA, il regime del margine - previsto dall'art. 36 del d.l. n. 41 del 1995, conv. con modif. in I. n. 85 del 1995, per le cessioni da parte di rivenditori di beni…
- Fruizione del "regime speciale per lavoratori impatriati" nell'ipotesi in cui, per effetto dell'applicazione del "regime forfetario" nel primo periodo d'imposta successivo al rientro in Italia, non siano stati conseguiti redditi che hanno concorso alla…
- Regime speciale per lavoratori impatriati. Art. 16 d.lgs. n. 147 del 2015. Dirigente di una società multinazionale che intende trasferire la propria residenza fiscale in Italia per svolgere in modalità remote working l'attività lavorativa a favore del…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 20810 del 29 giugno 2022 - La neutralità fiscale del trust deriva dalla circostanza che l'effetto di segregazione non comporta, di per sé, incremento patrimoniale significativo di un reale trasferimento di ricchezza.…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Imposta di registro: non va applicata sulle clauso
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 3466 depositata i…
- Le perdite su crediti derivanti da accordi transat
Le perdite su crediti derivanti da accordi transattivi sono deducibili anche se…
- L’art. 7 L. n. 604/1966 consente al datore d
L’art. 7 L. n. 604/1966 consente al datore di lavoro di comunicare il licenziame…
- Le circolari INPS sono atti interni e non possono
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 10728 depositata il 2…
- La nota di variazione IVA va emessa entro un anno
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 8984 deposi…