Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Napoli, sezione n. 30, sentenza n. 7217 depositata il 24 maggio 2023
La locazione di un immobile conclusa da un solo co-proprietario non legittima l’Amministrazione finanziaria a pretendere, nei confronti di quest’ultimo, l’integrale versamento del tributo fondiario, se gli altri co-proprietari hanno accettato o riconosciuto il relativo contratto di locazione
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso notificato all’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale II di Napoli la sig.ra D’A. D. ha impugnato l’avviso di accertamento n. 250TETM002250, notificato il 4.5.2022, con il quale l’Ufficio, per l’anno di imposta 2016, contestava che i corrispettivi derivanti dalle locazioni degli immobili di proprietà della contribuente erano stati dichiarati solo nella misura dei 2/3, ovvero 66,67%, e conseguentemente accertava un reddito di ? 25.666,00, invece di quello dichiarato pari a ? 16.306,00, con richiesta di pagamento della somma complessiva di ? 8.642,60, di cui ? 4.126,00 a titolo di maggiore imposta.
La ricorrente si oppone eccependo la non debenza del tributo richiesto, e la correttezza del calcolo da essa effettuato in sede di dichiarazione, indicato con riguardo alla quota parte di sua proprietà.
La parte evidenzia, in proposito, che il tributo nel suo complesso è stato integralmente corrisposto, avendo gli altri comproprietari provveduto a versare la propria quota parte.
Si è costituita l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale II di Napoli, che nelle sue controdeduzioni rivendica la legittimità dell’atto impugnato, rilevando che il contratto di locazione risulta intestato solo all’odierna ricorrente e la pretesa impositiva è da considerare in linea con il disposto dell’art. 26 del D.P.R. n. 917/1986, che fissa il principio secondo cui i redditi fondiari concorrono alla formazione del reddito indipendentemente dalla loro effettiva percezione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato.
La contribuente sostiene, fornendo adeguate prove documentali, che l’Ufficio ha ad essa erroneamente imputato l’intero reddito scaturente dalla locazione di tre immobili ubicati in Fermo, non avendo considerato che in dichiarazione correttamente era stata indicata una quota di proprietà del 66,67%.
In fatto, emerge dall’incarto processuale, in linea con le osservazioni della parte, che gli immobili di cui trattasi erano stati acquistati dalla ricorrente e dal marito Angelo Giuseppe GRECA, venuto a mancare il 5.4.2015.
A seguito della successione ab intestato, la metà della proprietà, di cui era titolare il coniuge deceduto, era stata trasferita per 1/3 alla vedova e per i 2/3 ai due figli Mario e Fabio Greca, come dimostrato dalla denuncia di successione n. 2266 vol. 9990 – presentata a Napoli il 28 maggio 2015 – prodotta in atti.
I redditi provenienti dalle tre locazioni erano stati, quindi, dichiarati dall’odierna ricorrente avendo riguardo alla quota complessiva di 2/3, tenendo conto che per 1/2 essa era già proprietaria prima della successione, mentre per l’ulteriore 1/6 era intervenuto l’acquisito per successione. Detta situazione, peraltro, emergeva anche dalle risultanze catastali.
Risulta, inoltre, provato che gli altri due comproprietari, Mario e Fabio Greca, avevano regolarmente dichiarato a fini fiscali le quote di reddito di loro spettanza (16,67% ciascuno).
L’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale II di Napoli, a sostegno della legittimità della pretesa impositiva per cui è causa, pone in risalto la circostanza che il contratto di locazione risulta intestato solo all’odierna ricorrente, sicché nel caso di specie l’imputazione ad essa dell’intero importo del canone troverebbe la sua giustificazione nella norma dell’art. 26 del D.P.R. n. 917/1986, secondo cui i redditi fondiari concorrono alla formazione del reddito indipendentemente dalla loro effettiva percezione.
Le osservazioni dell’Agenzia, ad avviso di questa Corte, appaiono non attagliarsi al caso di specie, dovendosi escludere che il tributo sia da porre a carico della sola sig.ra D’A. per il solo fatto che il contratto di locazione risultava essere stato da essa stipulato.
In proposito può essere richiamato un recente orientamento giurisprudenziale (CTR Lazio, Sent. 1733/2022) che, nel chiarire le complesse questioni in campo, offre un decisivo spunto per sviluppare pertinenti argomentazioni funzionali anche i fini del presente giudizio. In detta decisione si è sostenuto che per i contratti di locazione, ai fini dell’imputazione del reddito disponibile, occorre dare risalto al comportamento attivo del comproprietario che si qualifichi (verosimilmente anche per vie concludenti, come ad esempio la stipula del contratto di locazione senza il coinvolgimento degli altri comproprietari) come proprietario e unico possessore del bene locato.
La pronuncia merita di essere qui testualmente riportata, anche in considerazione dei significativi richiami giurisprudenziali ivi citati.
Tale ricostruzione non è condivisibile, anche tenuto conto del recente orientamento interpretativo della Suprema Corte, espresso con la sentenza 17 febbraio 2016 n. 3085, secondo cui l’art. 26 del TUIR deve essere letto in correlazione con il precedente articolo 25, il quale definisce i redditi fondiari, identificandoli in quelli inerenti ai terreni ed ai fabbricati situati nel territorio dello Stato che sono o devono essere iscritti nel catasto.
In effetti, tali redditi sono quantificabili sulla base delle risultanze catastali; pertanto, essi sono oggetto di imposizione non in ragione del criterio dell’effettiva ricchezza prodotta, bensì del criterio dell’astratta potenzialità a produrre reddito, a prescindere dal concreto realizzarsi del reddito stesso e dalla sua reale entità.
Quindi, ad avviso della Cassazione, il motivo per il quale nell’art. 26 è adoperata la locuzione “indipendentemente dalla percezione” è dato dall’esigenza di indicare il criterio del concorso di detti cespiti alla formazione del reddito complessivo dei soggetti che li possiedono, ma non quella dì identificare i soggetti ai quali tali redditi devono essere imputati.
Conseguentemente, in questa categoria non possono rientrare i “redditi derivanti da contratto di locazione”.
Tale diversità ontologica tra reddito fondiario e reddito di locazione assume particolare rilievo.
Infatti, secondo la Suprema Corte “Non vi è dubbio quindi che ai fini della disciplina del reddito derivante da contratto di locazione non possa essere applicata la regola che deriva dalla formula “indipendentemente dalla percezione“, che il legislatore ha inteso riservare (per le ragioni di cui già si è detto) a riguardo dei soli redditi fondiari. Sul punto concorda anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15171 del 26/06/2009, sebbene con un sintetico, ma non per questo meno chiaro e pregnante, accenno”.
Resta quindi ineludibilmente applicabile alla specie di causa la regola generale dell’art. 1 TUIR secondo il quale è presupposto di imposta “il possesso di redditi in danaro o in natura rientranti nelle categorie indicate nell’art. 6”.
Pertanto, si deve applicare la regola secondo cui è ammissibile una “autonoma imputazione del reddito di locazione rispetto al titolo reale di possesso ove ne risulti concretamente differenziata la percezione, non essendoci ostacolo alcuno ad attribuire il reddito derivante dalla concessione in locazione non solo in capo a soggetto del tutto diverso dal legittimo proprietario (in termini si veda Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19166 del 15/12/2003) ma anche in capo ad alcuni soltanto dei comproprietari che risultino essere effettivi locatari e percettori dei redditi che dalla locazione derivano”.>>
Il principio affermato dalla CTR del Lazio risulta ampiamente condivisibile e ben si attaglia alla specifica vicenda oggetto di quel giudizio, in cui la richiesta della ricorrente, correttamente respinta dal collegio, era volta ad estendere anche agli altri comproprietari il reddito da canone di locazione proponendo una pedissequa applicazione della regola secondo cui la tassazione di tali redditi va imputata indipendentemente dalla loro effettiva percezione; tutto ciò senza tener conto che in quel caso specifico appariva provato che il canone era stato percepito dalla sola ricorrente.
Nel caso oggi in esame occorre invece rimarcare che la ricorrente non si è limitata a chiedere la limitazione del proprio obbligo tributario alla sola quota parte di sua proprietà, ma ha documentalmente provato anche il concreto versamento dell’imposta ad opera degli altri comproprietari.
Ciò consente un approccio alla questione in cui, alla luce della necessaria individuazione dei soggetti effettivi percettori del reddito da locazione (secondo l’insegnamento di Cass. 19166/2003), non può che prendersi atto dell’insuperabile elemento fattuale rappresentato dal pagamento pro quota da parte anche degli altri comproprietari dell’imposta dovuta, il che consente di vedere allineata la regola astratta prevista dal comma 2 dell’art. 26, DPR 917/1986 alla situazione concreta venutasi a creare nel caso qui in esame in cui, nella sostanza, dal punto di vista fiscale detti comproprietari hanno dimostrato di riconoscere e accettare il contratto di locazione anche se stipulato solo da uno di essi.
Peraltro, l’eventuale pagamento integrale del tributo da parte dell’odierna ricorrente comporterebbe un indebito arricchimento dell’amministrazione finanziaria, che ha già percepito le quote di spettanza degli altri comproprietari (circostanza non contestata dall’Agenzia) né sarebbe logicamente corretta una soluzione che rendesse necessaria, al fine di evitare l’indebito arricchimento dell’erario, una richiesta di rimborso da parte di questi ultimi.
Il ricorso merita, quindi, di essere accolto
La complessità e novità delle questioni costituisce valida ragione per disporre la compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e dispone la compensazione delle spese.