Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Roma, sezione n. 23, sentenza n. 668 depositata il 16 gennaio 2024
Un’area destinata ad attività estrattiva non può essere considerata, ai fini impositivi, come agricola «trattandosi di immobili suscettibili di autonoma funzionalità e redditività»
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società B. U. Spa (nel prosieguo “la Società”) ha impugnato l’avviso di accertamento in rettifica in epigrafe indicato, con cui la Tre Esse Italia S.r.l., concessionaria per l’accertamento e la riscossione delle imposte per conto del Comune di Guidonia Montecelio, ha ingiunto il pagamento, a titolo di IMU per l’anno 2020, della somma complessiva di € 1.852.806,15 (di cui € 1.399.819 per maggiore imposta, € 419.945,70 per sanzione e € 33.036,00 per interessi, oltre alle spese di notifica).
La Società, dopo aver premesso di avere versato l’IMU per tutti i fabbricati e per i terreni (industriali) ricadenti in Zona D – sottozona D1 – del PRG del Comune di Guidonia, dichiara di non avere versato invece l’imposta per le particelle di terreno ricadenti in Zona agricola E del PRG del Comune di Guidonia, assumendo trattarsi di terreni agricoli esenti da imposta ai sensi dell’ art. 1, comma 758 lett. d) della L. 160/2019 , essendo localizzati in un “Comune montano” di cui alla Circolare del Ministero dell’Economia e della Finanza n. 9 del 14-6-1993.
A sostegno del ricorso vengono dedotte le seguenti censure:
i) Violazione dell’ art. 1, comma 741 lett. d) della Legge 160/2019 , dell’ art. 36, comma 2, del D.L. n. 223/2006 , del Piano Regolatore Generale del Comune di Guidonia, dell’ art. 23 Cost. e del generale principio che vieta l’analogia in materia tributaria, per non assoggettabilità al tributo delle aree classificate catastalmente come terreni agricoli ed erroneamente qualificate nell’atto impugnato come “aree fabbricabili”;
ii) violazione dell’ art. 1, comma 162, L. 296/2006 per vizio di motivazione in ordine alla qualificazione delle aree ed ai valori imponibili applicati;
iii) in subordine, la Società chiesta che sia rettificato il valore al metro quadrato dei terreni accertati, quale base di calcolo dell’IMU, in misura corrispondente al loro effettivo valore;
iv) violazione dell’ art. 52, comma 5, del D.Lgs. n. 446/1997 , con connessa violazione dell’ art. 1, comma 162, della Legge n. 296/2006 , dell’art. 7 dello Statuto del contribuente e dell’ art. 3 della Legge n. 241/1990 ;
v) in subordine, quanto alla sanzione ed agli interessi, violazione dell’ art. 31, comma 20, della Legge n. 289/2002 , dell’art. 10 dello Statuto del contribuente, del principio di tutela dell’affidamento e della buona fede, con connessa violazione dell’ art. 1, comma 774 della Legge n. 160/2019 , in quanto non possono essere richiesti sanzioni ed interessi, poiché il Comune ha omesso la comunicazione della natura di “area fabbricabile” dei terreni oggetto dell’accertamento;
vi) in subordine, non applicabilità delle sanzioni ex artt. 8 del D.Lgs. n. 546/1992 , 6, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997 e 10, comma 3, della Legge n. 212/2000 ;
vii) in subordine, quanto alle sanzioni, violazione dell’ art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 472/1997 , per la sussistenza di un incolpevole errore sul fatto.
Si è costituita in giudizio la concessionaria Tre Esse Italia che con articolate argomentazioni contesta la fondatezza delle opposte censure e chiede il rigetto del ricorso con vittoria di spese. Adduce, in primo luogo, che la destinazione del terreno ad attività estrattiva (cioè di cava per l’estrazione di materiale argilloso necessario alla produzione di cemento) conduce ad una sua assimilazione con la destinazione edificatoria, avvalorata dal fatto che le particelle in questione sono state inserite nel piano regionale delle attività estrattive (cd. PRAE) con conseguente mutamento automatico della destinazione urbanistica del terreno da agricola a edificabile. Cita l’orientamento della Corte di Cassazione, secondo il quale “alla luce del doveroso rispetto del principio costituzionale di capacità contributiva, il classamento del bene in Cat. E – ove la destinazione d’uso sia diversa rispetto a quella dichiarata all’atto dell’accatastamento – non può (e non poteva nemmeno prima del 2006) costituire un impedimento al riconoscimento della sua imponibilità» (Cass. n. 1704 del 2016, n. 15025 del 2016, n. 13466 del 2019). E ancora, “l’eventuale iscrizione delle aree nel catasto terreni è, dunque, irrilevante alla luce della loro effettiva ed incontestata utilizzazione come cave» ( Cass. n. 2835 del 31.01.2023 , n. 2145 del 24 gennaio 2023 ; n. 2141 del 24 gennaio 2023 ).
Con memorie illustrative le parti hanno ribadito le proprie posizioni concludendo in conformità ai precedenti atti scritti.
In particolare, la società ricorrente ribadisce l’infondatezza della pretesa della Concessionaria T.S.I. di equiparare le particelle di terreno di proprietà di B. U. S.p.a. che ricadono tutte in Zona E del PRG del Comune di Guidonia Montecelio, per le quali non è prevista alcuna capacità edificatoria, alle particelle di terreno, esaminate dalla giurisprudenza, ricadenti in Zona D3 del PRG del Comune di Guidonia per le quali è prevista una effettiva capacità edificatoria. Nel confutare la tesi di T.S.I. secondo la quale l’inserimento nel piano cave da parte della Regione mutano automaticamente la destinazione urbanistica delle particelle di terreno, da agricola a edificabile, parte ricorrente adduce che, per la qualificazione ai fini fiscali di un terreno, rilevano:
1) la destinazione impressa al terreno dallo strumento urbanistico comunale, ossia dal Piano regolatore generale del Comune (unico soggetto competente a farlo e non la Regione);
2) la definizione di “area fabbricabile” ai fini fiscali e, quindi, anche ai fini IMU, dettata dall’ art. 1, comma 741 lett. d) della L. 160/2019 (che definisce come area fabbricabile “l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi […]”, definizione confermata in sede di interpretazione autentica anche dall ‘ art. 36, comma 2, del D.L. 223/2006 (c.d. “Decreto Bersani”, espressamene richiamato dall’ art. 1, comma 741 lett. d) della L. 160/2019 ), il quale dispone che, ai fini tributari, “un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, …”.
Cita a sostegno della propria tesi: Cass. SS.UU. n. 25506 del 30-11-2006 ; Cass. civ., Sez. trib., 14-3-2019, n. 7277; CTP Roma sentenza n. 11437/2021 (che ha accolto analogo ricorso della società ricorrente), CTR Lazio sentenza n. 903/2020; C.T.R. Lazio sentenza n. 416 del 23-1-2020 ; la Risoluzione n. 6 del 7-1-2009 dell’Agenzia delle Entrate , che ha chiarito che, al fine di qualificare un terreno come “terreno agricolo” ovvero “area fabbricabile”, sia irrilevante l’uso di fatto del terreno, occorrendo sempre fare esclusivo riferimento alla destinazione urbanistica risultante dal PRG.
Peraltro, parte ricorrente precisa che “nell’anno 2020 la Società ha svolto attività estrattiva su di una superficie di soli 112.966 mq (corrispondente al 7% della superficie totale delle particelle di terreno ricadenti in Zona agricola E oggetto di accertamento). Tale circostanza è comprovata dalla tabella allegata (prodotta come doc. 14) in cui è analiticamente precisato per ciascuna particella accertata l’effettiva destinazione urbanistica, nonché la porzione autorizzata all’esercizio dell’attività estrattiva nell’anno 2020, suddivisa tra quella concretamente utilizzata e quella potenzialmente utilizzabile per l’esercizio dell’attività estrattiva. Ne consegue, secondo parte ricorrente, che la Concessionaria avrebbe dovuto accertare esclusivamente le superfici su cui la Società, nell’anno 2020, svolgeva l’attività estrattiva (112.966 mq).
All’odierna pubblica udienza, le parti si riportano ai rispetti scritti e alle conclusioni ivi rassegnate. La causa viene decisa come da dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il punto nodale della controversia riguarda la qualificazione dei terreni di proprietà della Società ricorrente destinati all’attività estrattiva, che sarebbero esenti dall’IMU sia in quanto privi di effettiva capacità edificatoria sia in quanto risultano classificati in catasto come terreni agricoli situati in un comune montano, ai sensi dell’ art. 1, comma 758 lett. d) della L. 160/2019 . Tale classificazione catastale sarebbe dimostrata da una perizia di parte, da contratti di affittanza agraria nonché da certificati di destinazione urbanistica rilasciati dal Comune.
Sulla base di tale assunto parte ricorrente contesta la qualificazione in termini di area fabbricabile attribuita a detti terreni dalla concessionaria, che conferisce rilievo, ai fini impositivi, alla destinazione in concreto conferita ai singoli cespiti, destinazione costituita nel caso di specie dall’attività industriale-estrattiva, in tesi inconciliabile con la dedotta qualificazione agricola e, per conseguenza, con l’ipotizzato valore tipico dei terreni agricoli.
Tesi aspramente criticata dalla ricorrente secondo cui la qualificazione come area fabbricabile richiede che sia accertata quanto meno la potenzialità edificatoria attribuita ad un cespite dagli strumenti urbanistici comunali (PRG o piani attuativi) e non l’attività che sullo stesso viene esercitata in concreto (nel caso di specie, l’attività estrattiva). Peraltro, secondo la Società tale attività è stata svolta nell’anno 2020 solo su una superficie di mq 112.966, corrispondente ad appena il 7% della superficie totale delle particelle di terreno ricadenti in Zona agricola E oggetto di accertamento.
Le suesposte censure non possono essere condivise.
Gli elementi probatori prodotti non appaiono idonei a sostenere la tesi dell’esenzione dall’imposta, non essendo contestata la circostanza che le particelle oggetto di accertamento sono contemplate sia nell’autorizzazione del Comune all’attività industriale-estrattiva sia nel piano regionale delle attività estrattive (PRAE).
Secondo un consolidato orientamento della Suprema Corte, confermato anche di recente (Cass. Civ., ord. n. 1404 del 2022) e dal quale non vi è ragione di discostarsi, un’area destinata ad attività estrattiva non può essere considerata, ai fini impositivi, come agricola «trattandosi di immobili suscettibili di autonoma funzionalità e redditività» e conseguentemente il trattamento fiscale va determinato in base al valore venale di comune commercio e non alla rendita fondiaria (in senso analogo: Cass. 14409/2017; 14410/2017; 20817/2017; 3267/2019; 27004/2019; 16118/2021).
Con la recentissima sentenza n. 32436 del 22.11.2023 , pronunciandosi su analogo controversia vertente tra le stesse parti, la Cassazione ha accolto il ricorso proposto dal Comune di Guidonia Montecelio avverso la sentenza di appello della CTR del Lazio n. 416/2020 (adita dall’odierna ricorrente, rimasta soccombente in primo grado), affermando, tra l’altro, che “l‘inserimento dei terreni della società A.A. Unicem nell’ambito territoriale da destinare ad attività estrattiva, secondo il PRAE della Regione Lazio, costituisca, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di appello, circostanza rilevante ai fini della decisione della causa, all’esito della complessiva ed integrata valutazione della disciplina – plurilivello – di pianificazione del territorio.
Il PRAE è atto indubbiamente settoriale ma la sua approvazione coinvolge appieno gli enti locali, stante “l’esigenza di coordinamento tra potestà pianificatoria regionale in materia di cave e potestà pianificatoria comunale in materia urbanistica e di assetto del territorio” (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4548, del 16 settembre 2013).
L’intervenuto rilascio, da parte del Comune di Montecelio, quale ente territoriale competente, delle autorizzazioni necessarie all’esercizio dell’attività estrattiva, ancorchè riferibili a terreni ricadenti in zona E del PRG allora vigente, presuppone l’adozione del PRAE. Entrambi, rappresentano univoci fatti-indice (v., D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, lett. b) , obiettivamente identificabili e percepibili dal mercato, idonei ad attribuire agli immobili, ai fini impositivi qui considerati, una qualità diversa da quella agricola, sia pure nell’ambito di procedure amministrative non compiutamente esaurite.
Di più, la L.R. Lazio n. 17 del 1004, art. 9, comma 4 (recante la “Disciplina organica in materia di cave e torbiere e modifiche alla L.R. 6 agosto 1999, n. 14 “) stabilisce che “Il PRAE ((…) assume efficacia giuridica di piano di settore ai sensi della L.R. 22 dicembre 1999, n. 38, art. 12 e la L.R. Lazio 22 dicembre 1999, n. 38, art. 12, comma 12 , prevede, a propria volta, che “i piani regionali di settore che hanno ad oggetto ambiti di attività aventi implicazioni di tipo territoriale integrano il PTRG (ndr. Piano Territoriale Regionale Generale) coerentemente agli obiettivi ed alle linee di organizzazione territoriale da quest’ultimo previsti” ed, infine, l’art. 13, comma 2, della medesima L.R. (Rubricato “Efficacia del PTRG e dei piani regionali di settore”) dispone che “il PTRG ed i piani regionali di settore approvati ai sensi della presente legge prevalgono sugli analoghi strumenti di pianificazione previgenti anche se approvati con legge”.
La normativa della Regione Lazio, pur non contenendo una disposizione espressa come quella della L.R. Lombardia n. 14 del 1998 (che all’art. 10, comma 2 , dispone: “le previsioni del piano prevalgono sulle eventuali previsioni difformi contenute negli strumenti urbanistici approvati dai consigli comunali e sono immediatamente efficaci e vincolanti nei confronti di chiunque”), descrive un sistema normativo del tutto analogo, il cui nucleo essenziale, rilevante ai fini della valorizzazione delle aree, è rappresentato dall’attribuita prevalenza del cd. piano cave sugli altri strumenti di pianificazione del territorio e dalla consequenziale necessità, per i comuni, di procedere all’adeguamento degli strumenti urbanistici, adottando le prescrizioni di competenza.
Ne discende l’immediata incidenza, ai fini della valorizzazione dell’area in ragione delle nuove possibilità d’utilizzo e di destinazione, per ciò solo non più agricola, sia nel caso di “operatività diretta”, quando cioè la legge attribuisce alle previsioni di cui si discorre un’efficacia comportante l’eliminazione delle contrastanti previsioni del piano urbanistico, sia in caso di “efficacia indiretta”, allorchè da tali previsioni scaturisca un obbligo di coordinamento per le autorità competenti di adeguare i rispettivi piani urbanistici, a prescindere dall’intervenuto adeguamento, da parte del Comune, del PRG al piano di settore.
Merita, a tale proposito, di essere richiamata la giurisprudenza di questa Corte che, in tema di imposta di registro ma fattispecie del tutto analoghe, sulla scorta dall’intervenuto inserimento dell’area nel cd. Piano cave (in base alla sopra citata L.R. Lombardia n. 14 del 1998 ) ha affermato che “la circostanza che per l’area sia prevista dallo strumento urbanistico la possibilità di utilizzazione come cava esclude la natura agricola del terreno non assumendo rilevanza alcuna la necessità che, per l’effettivo sfruttamento, il proprietario od un terzo interessato debbano ottenere l’autorizzazione previa verifica della sussistenza delle condizioni previste per il rilascio della stessa, così come non esclude la natura edificatoria del terreno il fatto che il proprietario debba munirsi della concessione per poter edificare” (Cass. n. 23045/206 e, nello stesso senso, Cass. n. 20817/2017).
Va, pertanto, dato seguito all’orientamento di questa Corte sull’ampia portata della nozione fiscale di edificabilità, anche nel caso in cui lo strumento di pianificazione territoriale sia costituito dal PRAE, al quale per dettato normativo è attribuita efficacia giuridica prevalente rispetto agli altri programmi urbanistici, potendosi escludere che siano inficiati i principi di uguaglianza ex art. 3 Cost. (trovando, questo ultimo, concreta attuazione proprio nel principio generale di capacità contributiva in capo a tutti indistintamente i proprietari di aree edificabili nel senso indicato), di riserva di legge ex art. 23 Cost. , e di riparto di normazione tra Stato ed enti locali (pacifico essendo che le amministrazioni comunali, nella determinazione della base imponibile, non introducono un parametro nuovo ed autonomamente individuato, limitandosi invece a fare applicazione, nel caso concreto, del criterio dettato dalla legge statale di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5 , in esame).
Dunque, anche nel caso in cui lo strumento di pianificazione territoriale sia costituito dal PRAE, ove l’area sia destinata ad attività estrattiva e suscettibile, in conformità allo stesso, di edificazione, ancorchè limitata alla realizzazione di fabbricati strumentali, ma poichè le questioni afferenti l’esercizio dello jus edificandi restano ininfluenti, la base imponibile deve essere determinata avendo riguardo al valore venale.
D’altronde, la stessa Corte costituzionale (v. ord. 285/2000) ha ricondotto l'”utilizzazione a cava ad una attività di carattere esclusivamente industriale”, in termini, quindi, del tutto incompatibili con la vocazione agricola delle aree rivendicata, infondatamente, dalla società contribuente.
Nè va trascurato che i terreni oggetto di accertamento, ricadenti in zona E, non potrebbero essere considerati agricoli, avendo questa Corte chiarito che “(s)ono considerati, tuttavia, non fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai soggetti indicati dell’art. 9, comma 1, sui quali persiste l’utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all’allevamento di animali” ed ancora che (d)alla lettura del testo normativo si evince con chiarezza che l’esclusione della fabbricabilità è subordinata sia alla presenza di un requisito oggettivo, dato dall’utilizzazione effettiva per le attività agricole ivi descritte, sia di un requisito soggettivo che coincide con quello di cui al successivo art. 9, comma 1, espressamente richiamato, richiedendosi quindi che il terreno sia posseduto e condotto da un coltivatore diretto o da un imprenditore agricolo che esplichino tali attività a titolo principale” ed infine che “In materia di imposta comunale sugli immobili (ICI), perchè un fondo possa beneficiare, ai fini della determinazione della base imponibile, dei criteri di calcolo previsti per i terreni edificabili destinati a fini agricoli, è necessaria – ai sensi del secondo periodo del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, lett. b) – oltre alla sua effettiva destinazione agricola, anche la conduzione diretta di esso da parte del contribuente, (vedi Sez. 6-5 n. 12422 del 2017 )” (così Cass., Sez. V, 24 luglio 2019, n. 19988 e, nello stesso senso, Cass., Sez. V, 20 febbraio 2020, n. 4394 ; Cass., Sez. V, 30 giugno 2010, n. 15566 e Cass., Sez. V, 28 ottobre 2010, n. 10144 ).
Va, pertanto, negata l’applicazione di qualsiasi regime agevolato o di riduzione della base imponibile, ai fini Ici, legato alla qualificazione delle aree come terreni agricoli, tanto più se si tratta di aree concesse in affitto a terzi.”.
Il Collegio, nel condividere l’autorevole insegnamento della Suprema Corte, non può esimersi dal fare piena applicazione dei principii affermati nella succitata pronuncia, emessa in una controversia perfettamente sovrapponibile alla presente.
Peraltro, questa Corte ha già avuto modo di occuparsi della medesima vicenda che qui occupa. Tra le ultime, si cita la sentenza n. 12342-2023, che ha rigettato analogo ricorso proposto dalla B. U. SpA avverso l’avviso di accertamento IMU emesso dalla Tre Esse I per l’anno 2021, avente ad oggetto la stessa motivazione e le stesse particelle di terreno cui fa riferimento l’avviso qui impugnato, con argomentazioni che il Collegio condivide e che si intendono qui integralmente riportate, a confutazione di tutte le censure sopra indicate.
Alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso è infondato e va respinto.
La complessità della controversia e la non univocità della giurisprudenza in materia giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Roma, Sezione 23, rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese di lite.
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