Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’ Emilia-Romagna, sezione n. 1, sentenza n. 1040 depositata il 22 settembre 2022
L’applicazione del metodo LIFO è utile solo a individuare quali partecipazioni debbano essere prese in considerazione ai fini della determinazione della minusvalenza, ma tale metodo non è decisivo per il calcolo del valore fiscale delle partecipazioni. L’art. 87, comma 1, lett. a) TUIR stabilisce infatti che, per definire il periodo di possesso si considerano cedute per prime le azioni o quote acquisite in data più recente, ma ciò non comporta che tale metodo assuma pari rilevanza ai fini del calcolo del costo fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni medesime. A tale scopo è, infatti, necessario fare riferimento al costo medio delle partecipazioni iscritte a bilancio
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data 24 dicembre 2014, a seguito della verifica condotta dall’Agenzia dell’Entrate – Direzione Provinciale di Modena, veniva notificato alla società U. S.p.a. un avviso di accertamento con il quale venivano formulati rilievi in materia di IRES in relazione al periodo d’imposta 2009, rettificando in aumento la base imponibile, dal dichiarato di Euro 4.982.699 ad un imponibile accertato di Euro 5.690.748,00, liquidando una conseguente maggiore imposta di Euro 194.714, oltre ad interessi e sanzioni.
Tanto in conseguenza del recupero a tassazione di una quota di minusvalenza ritenuta indeducibile di Euro 708.049 realizzata dalla Società a fronte della cessione di una quota rappresentativa dei diritti di voto ed agli utili nella società cinese Y.H..
La Società aveva infatti realizzato una minusvalenza di euro 846.542,00, la quale veniva rideterminata dall’Ufficio in euro 260.919,72, di cui solo una parte, pari ad euro 138.492,90 considerata effettivamente deducibile.
Al fine di comprendere i dettagli della vicenda occorre premettere che, nel corso del 2007, la società acquisiva – per un corrispettivo pari a $ 1.300.000 (euro 968.703,00) con immissione della liquidità nel patrimonio della Società partecipata di una quota rappresentativa dei diritti di voto ed agli utili, pari al 50%, della società cinese Y.H..
La restante quota pari al 50% era di proprietà del socio cinese C.W.P. co. Ltd (nel prosieguo, anche “C.”).
Nel febbraio del 2009, a causa delle difficoltà registrate dalla società YH si manifestava la necessità di ulteriori iniezioni di liquidità con conseguenti ulteriori impegni finanziari in capo ai soci, impegni finanziari che il socio C. non era più disposto a sostenere. Pertanto la Società ricorrente effettuava un ulteriore versamento nelle casse sociali pari ad euro 1.146.541,67, a fronte del quale la quota rappresentativa dei diritti di voto ed agli utili in YH risultava incrementata del 18,06%.
Successivamente, nel dicembre 2009 la Società cedeva al Dott. L.Y.J. la medesima quota rappresentativa dei diritti di voto e agli utili del 18,06% per euro 300.000,00, realizzando e deducendo così, in ossequio al criterio “LIFO” legittimamente adottato, una minusvalenza pari ad euro 846.542,00 (1.146.541,67 – 300.000,00).
Dopo la notifica dell’avviso di accertamento, U. S.p.A. presentava ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Modena che, con la sentenza in epigrafe, lo rigettava.
Per l’annullamento della sentenza si gravava in appello la società contribuente.
L’Agenzia dell’Entrate di Modena si costituiva in resistenza instando per il rigetto del gravame.
Nella pubblica udienza del 20 giugno 2022 il ricorso veniva trattenuto per la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello non può essere accolto.
Con il primo e il secondo motivo la società lamenta la violazione dell’art. 87 TUIR asserendo che, così come l’Ufficio, la CTP avrebbe errato ritenendo la minusvalenza deducibile in presenza delle condizioni stabilite dal comma 1 della norma citata, nel mentre questa prevede che il regime di esenzione della cessione di partecipazioni (e correlativamente di indeducibilità delle minusvalenze) si applica nel caso di ininterrotto possesso dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello dell’avvenuta cessione considerando cedute per prime le azioni o quote acquisite in data più recente.
Nel caso di specie, essendo decorso meno di un anno dall’acquisto della partecipazione (febbraio 2009) ed essendo stato applicato il criterio LIFO (per il quale si considerano cedute le partecipazioni acquisite per ultime), sarebbe manifesta l’esenzione delle plusvalenze ricavate dalla cessione delle quote avvenuta nel dicembre 2009 e per converso la deducibilità delle minusvalenze.
L’assunto non appare condivisibile.
È pur vero che l’art. 87, co. 1, lett. a) TUIR stabilisce che, ai fini del calcolo del periodo di possesso si considerano cedute per prime le azioni o quote acquisite in data più recente, ma ciò non comporta che tale metodo assuma pari rilevanza ai fini del calcolo del costo fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni medesime.
Per tale finalità è infatti necessario fare riferimento al costo medio delle partecipazioni iscritte a bilancio, risultante, secondo il calcolo dell’ufficio, non contestato da controparte, pari a euro 0,763.
Ne segue che, moltiplicando il numero di quote cedute, pari a n. 735.150, si ottiene il valore di euro 560.919,72 e, tenuto conto che il prezzo di cessione al sig. L.Y.J. è stato pari a euro 300,000 la minusvalenza effettivamente deducibile dalla U. Spa risulta pari a euro 260.919,72 e non a euro 846.542,00, come dichiarato.
Deduce altresì l’appellante che l’Ufficio avrebbe erroneamente determinato il valore della partecipazione facendo riferimento al costo medio ponderato, anziché, applicando il metodo LIFO quello riferibile all’ultima partecipazione acquisita.
L’assunto non appare condivisibile.
Si è già riferito che l’applicazione del metodo LIFO è utile solo a individuare quali partecipazioni debbano essere prese in considerazione ai fini della determinazione della plusvalenza o, come nel caso di specie, della minusvalenza, ma tale metodo non è decisivo ai fini del calcolo del valore delle partecipazioni, né vale invocare a questo scopo che si tratti di un principio per la redazione del bilancio civilistico o un criterio oggettivo di valutazione generalmente utilizzato nell’analisi finanziaria, dovendo in tal caso la valutazione essere riqualificata ai fini fiscali.
Vale rilevare, sotto tale profilo, che l’art. 94, co. 1, TUIR in tema di Valutazione dei titoli dispone che “I titoli indicati nell’articolo 85, comma 1, lettere c), d), ed e), esistenti al termine di un esercizio, sono valutati applicando le disposizioni dell’articolo 92, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7 salvo quanto stabilito nei seguenti commi”.
A sua volta l’art. 92, co. 4 dello stesso Testo unico stabilisce che “Per le imprese che valutano in bilancio le rimanenze finali con il metodo della media ponderata o del «primo entrato, primo uscito» o con varianti di quello di cui al comma 3, le rimanenze finali sono assunte per il valore che risulta dall’applicazione del metodo adottato“, ma la società non ha fornito prova di avere adottato in bilancio un metodo piuttosto che un altro nella valutazione delle partecipazioni, limitandosi ad affermare di aver scelto il metodo LIFO ai soli fini della determinazione della minusvalenza.
Infondata si palesa anche la censura di violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/1992 per l’asserita contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza gravata.
Invero, a prescindere dalla correttezza dell’affermazione, è scontato che in forza del principio devolutivo, il giudice di appello decide, nei limiti della domanda riproposta, anche sui motivi di ricorso non affrontati dal giudice di prime cure, sovrapponendo comunque la sua valutazione a quella del giudice di primo grado.
L’appellante, nel censurare la sentenza, afferma che l’Ufficio avrebbe operato in violazione del disposto dell’art. 7, dello Statuto del Contribuente, per non avere adeguatamente motivato l’atto impugnato.
La censura è priva di pregio.
Dispone la norma invocata che “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione “.
La norma è pacificamente interpretata nel senso che l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l’an ed il quantum debeatur (Cass. civ. sez. V, 07/03/2022, n. 7278) essendo peraltro ammessa nel corso del giudizio tributario l’integrazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato una decisione dell’amministrazione succintamente motivata, qualora la successiva esternazione di una compiuta motivazione non abbia leso il diritto di difesa dell’interessato o quando i fondamenti del provvedimento poi impugnato fossero già percepibili, in base al principio di leale collaborazione tra privato e p.a., nella fase endoprocedimentale (Cass. civ. sez. V, 18/10/2021, n. 28560).
In ogni caso, si è precisato che a norma dell’art. 7 della L. n. 212/2000 gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, essendo sufficiente l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, pure se, per ovvi motivi non condivisa dalla controparte (Cass. civ. Sez. V, 18/06/2021, n. 17482).
Con il settimo motivo l’appellante ripropone l’annosa questione della sottoscrizione dell’avviso di accertamento da parte di funzionario non munito di qualifica dirigenziale.
La censura è infondata.
Sul punto vale richiamare quanto statuito, con plurime pronunce, dalla Suprema Corte secondo cui la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione delia qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario delia delega stessa (Cass. civ. Sez. VI, 13/12/2021, n. 39747; id.. Sez. V, 17/05/2022, n. 15898, id., Sez. V, 14/09/2021, n. 24652).
Nel caso di specie l’Amministrazione ha comprovato in giudizio l’esistenza e la regolarità della delega di firma.
Infondata si palesa da ultimo la doglianza conclusiva in tema di violazione dell’obbligo di attivazione del contradditorio antecedente la notifica dell’accertamento.
In proposito è sufficiente richiamare quanto statuito dalle Sezioni unite della Cassazione secondo cui la previsione dell’art. 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), non è fonte di un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale a carico dell’Amministrazione finanziaria e, dunque, dell’obbligo dell’Amministrazione medesima, ogni qual volta si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente e pur in assenza di una specifica norma positiva che per quel provvedimento lo sancisca, di attivare con l’interessato il contraddittorio preventivo, pena l’invalidità dell’atto, poiché viceversa le garanzie fissate nella predetta disposizione trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente, mentre non operano invece riguardo alle verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio tributario in base alle notizie acquisite da altre pubbliche Amministrazioni, da terzi ovvero dallo stesso contribuente in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio (Cass. civ. Sez. Unite, 09/12/2015, n. 24823).
Conclusivamente, per le ragioni esposte, l’appello va rigettato, compensando le spese processuali in considerazione della complessità della questione trattata.
P.Q.M.
La Commissione definitivamente pronunciando respinge l’appello e conferma la sentenza impugnata.
Spese compensate.