Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Calabriae, sez. n. 3, sentenza n. 2220 depositata il 18 agosto 2023
Appello – motivi specifici – interpretazione rigorosa – esclusione
Massima:
L’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, non deve consistere in una rigorosa enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con il ricorso in appello, depositato il 27 ottobre 2022, l’Agenzia Delle Entrate – Riscossione, rappresentata e difesa, dall’avv. A S ha impugnato la sentenza nr.713/3/22 resa pubblica, il 13 aprile 2022, dalla Corte di giustizia di primo grado di Catanzaro, già CTP di Catanzaro, la quale, con condanna alle spese, ha accolto il ricorso proposto dalla Società L S.p.A. avverso e per l’annullamento della cartella di pagamento n. , dall’importo di? 394.795,61, notificata a mezzo p.e. c. 1’11 ottobre 2019 sul presupposto della mancata dimostrazione degli avvisi di accertamento presupposti alla cartella impugnata.
L’appellante, sostiene, che l’impugnativa introduttiva del giudizio è stata proposta nei confronti del solo Agente della riscossione, odierno appellante. Con detta impugnativa, la contribuente eccepiva: 1) l’illegittimità della notifica della cartella perché effettuata da indirizzo p.e. c. non registrato; 2) il vizio della notifica della cartella per omessa firma digitale; 3) la mancata notifica degli avvisi di accertamento presupposti; 4) l’ estinzione delle pretese per decadenza e prescrizione. Si costituiva in primo grado l’Agente della riscossione, la quale, ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva in ordine alla notifica degli avvisi di accertamento prodromici e, per questo motivo, chiedeva la chiamata in causa dell’ente creditore (il Comune di L ).
I primi giudici, hanno ritenuto che non fosse necessaria la chiamata in causa dell’ente creditore, richiamando il principio giurisprudenziale secondo il quale il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario per la riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione ovvero anche alla invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario, senza che sia tra i due soggetti configurabile alcun litisconsorzio necessario. In merito, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.8808 del 2021 ha affermato che l’ADER, ex art.81 c.p. c. ed ex art.39 del d.lgs. n.112/99, sta in giudizio per sé, ma anche come sostituto processuale dell’ente impositore; di conseguenza, non si lede alcun contraddittorio, né il giudice può ordinare alcuna chiamata in causa dell’Ente impositore.
L’appellante, lamenta, l’illegittimità della sentenza, per non aver autorizzato la chiamata in causa dell’Ente creditore, così come richiesta dall’odierno appellante. L’odierno appellante, comunque, indirizza il gravame anche nei confronti dell’ente impositore. A prescindere dalla richiesta di chiamata in causa dell’ente impositore, l’odierno appellante indirizza il gravame anche nei confronti dell’ente impositore, il quale, data la delicatezza della questione, anche in termini di possibile responsabilità per danno erariale, potrà costituirsi e produrre in giudizio la prova della notifica degli avvisi di accertamento prodromici. Chiede, quindi, di voler ordinare all’ente impositore il deposito degli avvisi di accertamento prodromici e delle relate che ne documentino la notifica. l’appellante provvede a depositare documentazione relativa a gli accertamenti presupposti ai sensi dell’art.58, c.2 del d.lgs. n.546/92, i documenti ad esso trasmessi, per vie interne, dal Comune di L A tale riguardo, occorre puntualizzare che la cartella impugnata, come si desume dal suo dettaglio degli addebiti, ha ad oggetto i seguenti ruoli, tutti formati dal Comune di L ruolo 2019/2859, reso esecutivo 1’1/8/19, per Tarsu dovuta per il 2013, sul presupposto dell’avviso di accertamento n. , emesso il 14/11/18 e notificato il 15/11/18; – ruolo 2019/2483, reso esecutivo il 9/7/19, per IMU dovuta per il 2013, sul presupposto dell’avviso di accertamento n. emesso il 5/10/17 e notificato il 14/11/17; – ancora ruolo 2019/2483, per IMU dovuta per il 2014, sul presupposto dell’avviso di accertamento n. emesso il 13/3/18 e notificato il 15/3/18; – ancora ruolo 2019/2483, per IMU dovuta per il 2014, sul presupposto dell’avviso di accertamento n. , emesso il 5/10/17 e notificato il 14/11/17.
A seguito di una richiesta inoltrata dall’Agenzia appellante, il Comune di L ha precisato che la cartella impugnata origina dall’iscrizione a ruolo dei seguenti avvisi di accertamento: – IMU anno 2013, avviso n. , notificato il 21/3/18, che rettifica il precedente provvedimento n. a seguito di adesione del contribuente. Si deposita, come allegato 3, il provvedimento di annullamento parziale dell’avviso n. e, come allegato 4, l’istanza di autotutela presentata dalla contribuente, la quale istanza, evidentemente, dimostra l’avvenuta notifica dello stesso accertamento; – IMU anno 2014, avviso n. notificato il 21/3/18, che rettifica il precedente provvedimento n. a seguito di adesione del contribuente. Si deposita, come allegato 5, il provvedimento di annullamento parziale dell’avviso n. – Tasi anno 2014, avviso n. notificato il 15/3/18 (una cui copia è qui allegata sub 6); – Tarsu anno 2013, avviso n. notificato il 15/11/18, unitamente alla rettifica n. Tarsu 2012 (una cui copia è qui allegata sub 7). L’odierno appellante provvede a depositare la documentazione comprovante la rituale notifica degli avvisi accertamento nel presente grado di appello, secondo la facoltà di cui all’art.58, c.2 cit: “E’ fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti”.
Chiede, quindi, in accoglimento dell’appello la riforma della sentenza impugnata, con condanna alle spese del presente grado di giudizio.
Con controdeduzione, depositate in data 7 novembre 2022, si è costituita la Società L S.p. A., rappresentata e difesa dall’ Avv. M R la quale, ha eccepito l’inammissibilità della domanda giudiziale d’appello per violazione dell’art.53 del d.lgs. n.546/1992. Nell’ambito del processo civile, l’art.341, comma 1, n.1 e 2, c.p. c., inerente la forma dell’appello, estendibile al rito tributario, è stato modificato dall’art.54 del d.lgs.n.83/2012, in forza del quale debbono essere necessariamente indicate, a pena d’inammissibilità, l’indicazione delle parti del provvedimento che s’intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuto dal giudice di primo grado, nonché l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.
Più precisamente, al fine di superare il vaglio di ammissibilità, parte appellante deve: a) indicare espressamente le parti del provvedimento che si vogliono impugnare, intendendo per parti, non solo i capi della decisione, ma anche i singoli segmenti che la compongono, quando assumono rilievo autonomo rispetto alla decisione; b) suggerire le modifiche che dovrebbero essere apportate al provvedimento con riguardo alla ricostruzione del fatto; c) spiegare le ragioni da cui si assume la violazione della legge; d) giustificare il rapporto di causa ed effetto tra la violazione che viene dedotta e l’esito della lite. Anche nel processo tributario l’oggetto del giudizio di appello è delimitato dall’atto che deve individuare i capi della decisione di primo grado, per i quali s’intende ottenere un nuovo giudizio; non sono ammesse domande ed eccezioni nuove, salvo quelle rilevabili d’ufficio. Per tale motivo, il petitum non potrà essere diverso o più ampio rispetto al ricorso di primo grado. 2) in ordine al difetto di legittimazione passiva- sulla inammissibilità della chiamata in causa del terzo, per intervenuta decadenza. E’ principio, oramai, consolidato (vedasi memorie illustrative del 23/11/2022), quello secondo cui il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione, ovvero anche alla invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario, senza che sia tra i due soggetti configurabile alcun litisconsorzio necessario. In entrambi i casi, la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario e non già al concessionario, il quale, in presenza di contestazioni involgenti il merito della pretesa impositiva, se non vuole rispondere dell’esito della lite, ha l’onere di chiamare in giudizio il predetto ente, ex art. 39 del decreto legislativo n. 112 del 1999, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio (Cassazione Ordinanza n. 2480 del 4 febbraio 2020) 3) SULL’OMESSA NOTIFICAZIONE DEGLI ATTI PRESUPPOSTI. Fermo restando che in materia IMU e/o Tarsu vige il principio dell’autoliquidazione, vuole, in ogni caso, evidenziarsi che, se nella cartella di pagamento viene indicata la notificazione dell’avviso di 5 accertamento, da cui trae origine la cartella di pagamento impugnata, l’avviso medesimo deve essere qualificato quale atto prodromico della cartella esattoriale. In particolar modo, anche alla luce della disamina del ricorso avverso, emerge, in modo indiscutibile, che gli avvisi di accertamento: a) nr. anno 2013 emesso il 14-11-2018, con data indicata di notificazione del 15/11/2018; b) n. anno 2013 emesso il 3 05-10-2017, con data indicata di notificazione del 14/11/2017; c) nr. anno 2014 emesso il 13-03-2018, con data indicata di notificazione del 15/03/2018; d) nr. anno 2014, emesso il 5/10/2017, con data indicata di notificazione del 14/11/2017, non sono stati mai notificati alla società contribuente. In effetti, ove il Comune intenda avvalersi dello strumento dell’avviso di accertamento, si sottolinea che: “Come più volte affermato da questa Corte, si tratta di una facoltà del tutto eccezionale, non suscettibile di applicazioni estensive, concessa al Comune, quando la riscossione si fonda su dati ed elementi già acquisiti e rimasti invariati (v. da ultimo Cassazione, Sez. 5, n. 14043 del 23/05/2019). Ovviamente, l’ente impositore può procedere all’emissione di avvisi di accertamento, in particolare nei casi in cui il contribuente non presenti la denuncia prescritta dall’art. 70 d.lgs. n. 507 del 1993 oppure quando tale denuncia risulti infedele o incompleta. In tali ipotesi opera il disposto dell’art. 1, comma 161, I. n. 296 del 2006, ove è previsto che gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica o d’ufficio devono essere notificati a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati (il menzionato termine di decadenza è stato aumentato a cinque anni, per effetto dell’abrogazione del previgente art. 71, comma 1, d.lgs. n. 507 del 1993 che prevedeva, invece, un termine triennale) (Cassazione n. 17363/2021)”. Nel caso di specie, non vi è traccia alcuna che il Comune di L abbia provveduto alla notificazione dei suddetti avvisi di accertamento, con l’effetto che: “L’omissione della notificazione di un atto presupposto costituisce vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato e tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta di impugnare, per tale semplice vizio, l’atto consequenziale notificatogli – rimanendo esposto alla successiva azione dell’Amministrazione, esercitabile soltanto se siano ancora aperti i termini per l’emanazione e la notificazione dell’atto presupposto; ovvero di impugnare cumulativamente quest’ultimo (non notificato) per contestare radicalmente la pretesa tributaria (Cassazione n. 13314 del 18 Maggio 2021) L’omessa notificazione degli avvisi di accertamento, il cui onere di produzione gravava sull’ADER all’atto della costituzione in giudizio, comporta, pertanto, la nullità della cartella di pagamento impugnata e dei relativi ruoli sottesi. 4- sulla decadenza dell’azione e sulla prescrizione del credito. nel caso in oggetto, dunque, gli avvisi di accertamento presupposti su indicati non sono stati notificati al soggetto opponente, con la logica conseguenza che i relativi termini, entro cui avviare il potenziale iter esecutivo, sono definitivamente decorsi. Sulla giuridica inesistenza della notifica via p.e. c., per l’utilizzo improprio e non certificato dell’indirizzo della posta elettronica certificata. L’appellata società, sul punto, reitera l’eccezione già rilevata nel ricorso introduttivo del giudizio. L’atto della riscossione è stato notificato dall’ADER da un indirizzo non estrapolato dai registri espressamente indicati dal legislatore, quali il REGINDE, L’INIPEC O L’IPA, e, pertanto, è giuridicamente inesistente. Per tutto quanto esposto, argomentato e motivato, la L Spa, in p.d.l.r.p.t., come sopra rappresentata e difesa, chiede, quindi, dichiarare l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art.53 del d.lgs. n. 546/1992 ed in ogni caso, rigettare il proposto appello e, conseguentemente, confermare l’impugnata sentenza nonché condannare l’appellante alla rifusione delle spese e competenze del doppio grado di giudizio.
E’ intervenuto, nell’odierno giudizio d’appello, il Comune di L , in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato dall’ avv. A B , il quale, deduce, che la L spa aveva presentato istanza di autotutela e accertamento con adesione. Infatti, la cartella di pagamento n. 000 deriva dall’iscrizione a ruolo dell’avviso n.: notificato il 21/3/18, che rettifica il precedente provvedimento n. a seguito di adesione del contribuente, per ciò che attiene all’ I.M.U. per il periodo d’imposta 2013 e dell’avviso n. notificato il 21/3/18, che rettifica il precedente provvedimento n. del 09/03/2018, a seguito di adesione del contribuente per ciò che attiene all’ I.M. U. per il periodo d’imposta 2014. Deduce, altresì, con riferimento alle ulteriori iscrizioni a ruolo – Tasi anno 2014 – l’avviso n. è stato notificato il 15/3/18, mentre per la Tarsu anni 2012 e 2013 – l’avviso n. è stato notificato il 15/11/18, unitamente alla rettifica n. , per la Tarsu 2012.
le suddette notifiche sono avvenute tramite PEC.
Il Comune, sostiene, che non essendo pervenuti i pagamenti ha provveduto all’iscrizione a ruolo con determinazioni dirigenziali che si depositano in allegato. Evidenzia, altresì, che la cartella impugnata, in primo grado, è stata notificata in conformità al termine di cui all’art. 1, comma 163, Legge n. 296/2006 e cioè entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo. A dimostrazione di quanto dedotto, ha versato in atti, i referti di avvenuta notificazione, nonché i provvedimenti in adesione con la contribuente. Chiede, quindi, di prendere atto delle notifiche degli avvisi di accertamento sottesi alla cartella di cui al presente appello e di riformare la sentenza di I grado dichiarando valida la cartella esattoriale. Condannare la società appellata al pagamento delle spese per il presente giudizio.
Così delineato l’oggetto del contendere, all’udienza del 10 luglio 2023, la causa è decisa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
va preliminarmente disattesa l’eccepita inammissibilità dell’appello, per violazione dell’art.53 del d.lgs. n.546/1992, sollevata dalla contribuente appellata.
Il Collegio, sulla questione, osserva, che per costante orientamento della Suprema Corte di Cassazione, nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (tra le tante, da ultime: Cass., Sez. 6-5, 24 agosto 2017, n. 20379; Cass., Sez. 5, 15 gennaio 2019, n. 707; Cass., Sez. 5, 15 gennaio 2019, n. 707; Cass., Sez. 5, 21 luglio 2020, n. 15519; Cass., Sez. 5, 2 dicembre 2020, n. 27496; Cas., Sez. 5, 11 febbraio 2021, n. 3443; Cass., Sez. 5, 10 marzo 2021, n. 6596; Cass., Sez. 5, 11 marzo 2021, nn. 6850 e 6852; Cass., Sez. 5, 21 luglio 2020, n. 15519; Cass., Sez. 5, 26 maggio 2021, nn. 14562 e 14582; Cass., Sez. 5, 27 maggio 2021, n. 14873). Pertanto, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, non deve consistere in una rigorosa enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza (Cass., Sez. 5, 21 novembre 2019, n. 30341). Si è, inoltre, ritenuto che non vi è incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, tali da comportare l’inammissibilità dell’appello a termini del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, ove il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi ricavarsi dall’intero atto di impugnazione nel suo complesso (Cass., Sez. 6-5, 24 agosto 2017, n. 20379; Cass., Sez. 5, 21 luglio 2020, n. 15519; Cass., Sez. 5, 26 maggio 2021, n. 14582). Non è, quindi, necessaria ai fini dell’ammissibilità dell’appello la indicazione di specifici motivi in relazione a specifiche censure della sentenza impugnata, essendo sufficiente che l’appellante si riporti alle argomentazioni già sostenute nel grado di merito precedente, insistendo per la legittimità dell’avviso impugnato. (Cass., Sez. 5, 26 maggio 2021, n. 14582).
Nel processo tributario vige, quindi, il principio per cui ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dal d. lgs. n. 546 del 1992, art. 53 secondo il quale il ricorso in appello deve contenere “i motivi specifici dell’impugnazione” e non già “nuovi motivi”, atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito” (cfr., ex multis, Cass. n. 23532/2018, non massimata; Cass. n. 7369/2017; Cass. n. 1200/2016; Cass. n. 3064/2012).
Dunque, per i su enunciati principi, l’appello proposto, dall’Agenzia delle Entrate riscossioni non può che ritenersi ammesso.
L’appello è infondato.
L’appellante, lamenta, l’illegittimità della sentenza, per non aver autorizzato la chiamata in causa dell’Ente creditore, così come richiesta dall’odierno appellante L’appellante, lamenta, l’illegittimità della sentenza, per non aver autorizzato la chiamata in causa dell’Ente creditore, così come richiesta dall’odierno appellante.
Sulla questione, il Collegio, osserva, è orientamento ormai consolidato della S.C. di cassazione il principio affermato dalla pronuncia a Sezioni Unite del 25.7.2007 n. 16412, secondo il quale il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal Concessionario della riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione, ovvero anche alla invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’Ente impositore quanto del Concessionario per la riscossione, senza che sia configurabile alcun litisconsorzio necessario tra i due soggetti. In entrambi i casi, la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario e non già al concessionario, il quale, in presenza di contestazioni involgenti il merito della pretesa impositiva, ha l’onere di chiamare in giudizio il predetto ente, ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1999, ex art. 39, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, perchè non è configurabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario. Più di recente, e con chiarezza, non si è mancato di esplicitare che” in tema di contenzioso tributario, il contribuente, qualora impugni una cartella esattoriale emessa dall’agente della riscossione deducendo la mancata notifica dei prodromici atti impositivi, può agire indifferentemente nei confronti dell’ente impositore o dell’agente della riscossione, senza che sia configurabile alcun litisconsorzio necessario, costituendo l’omessa notifica dell’atto presupposto vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto successivo ed essendo rimessa all’agente della riscossione la facoltà di chiamare in giudizio l’ente impositore“, Cass. sez. V, 28.4.2017, n. 10528.
In questa ipotesi quindi, in cui il Concessionario è stato fatto destinatario dell’originaria impugnazione, non ricorreva alcun vizio del ricorso introduttivo, e sarebbe stato onere del Concessionario chiamare in giudizio l’Ente titolare del credito, laddove non avesse inteso rispondere dell’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile nella specie un litisconsorzio necessario. Anche a prescindere dal concreto sviluppo della vicenda processuale, pertanto, non sono rilevabili vizi della procedura in grado di invalidare il presente giudizio a causa della mancata integrazione di un contraddittorio che non era necessario. In definitiva i motivi risultano infondati e devono pertanto essere rigettati.
L’Agenzia delle Entrate Riscossione critica, in relazione ai profili della nullità della sentenza e comunque della violazione di legge, la decisione assunta dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Catanzaro, in quanto avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità del ricorso introduttivo della contribuente in seguito alla mancata impugnazione dei tre prodromici avvisi di accertamento, contestualmente alla cartella esattoriale. In proposito, il Collegio, ritiene che va confermato l’orientamento consolidato della Cassazione, recentemente ribadito da Cass. SS.UU., 23.2.2021, n. 10012, secondo cui “in materia di riscossione delle imposte, atteso che la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa del destinatario, l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato. Poichè tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta, consentita dal d. lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli, facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell’ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria; spetterà al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che, nel primo caso, dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale (con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza siano o meno decorsi), nel secondo la pronuncia dovrà riguardare l’esistenza, o no, di tale pretesa (in senso conforme cfr. Cass. sez. V, 18.1.2018, n. 1144, e Cass. SS.UU., 4.3.2008, n. 5791)”, ed in definitiva “secondo la giurisprudenza della Cassazione è senz’altro consentito al contribuente impugnare una cartella esattoriale al fine esclusivo di far valere la mancata/irrituale notificazione dell’atto impositivo prodromico alla medesima, senza contestualmente aggredire l’atto stesso sotto altri profili di invalidità formale ovvero per la sua infondatezza nel merito, non sussistendo dunque alcun onere processuale della parte ricorrente al riguardo“, Cass. sez. U., 15.4.2021, n. 10012.
Nel caso all’esame, la contribuente, appellata, in primo grado e riproposto in sede d’appello, ha assunto l’omessa notificazione dei provvedimenti impositivi presupposti alla cartella di pagamento di cui è causa, nonché la decadenza dall’esercizio del potere impositivo e l’intervenuta prescrizione dei tributi locali chiesti in riscossione.
Il Comune di L , quale ente impositore, non costituito in primo grado, intervenuto in appello, si è opposto sostenendo, che la Lamezia Europa spa, appellata, aveva presentato istanza di autotutela e accertamento con adesione. In fatti, la cartella di pagamento n. deriva dall’iscrizione a ruolo dell’avviso n. notificato il 21/3/18, che rettifica il precedente provvedimento n. a seguito di adesione del contribuente, per ciò che attiene all’ I.M. U. per il periodo d’imposta 2013 e dell’avviso n. notificato il 21/3/18, che rettifica il precedente provvedimento n. del 09/03/2018, a seguito di adesione del contribuente per ciò che attiene all’ I.M. U. per il periodo d’imposta 2014.
Il Collegio, osserva, che è pacificamente legittimo, nell’ambito del potere di autotutela amministrativa tributaria, il ritiro di un precedente atto può avvenire in due diverse forme, quella del “controatto” (l’atto di secondo grado che assume l’identica struttura di quello precedente, salvo che per il suo dispositivo di segno contrario con cui si dispone l’annullamento, la revoca o l’abrogazione dei primo) o quella della “riforma” (l’atto di secondo grado che non nega il contenuto di quello precedente, ma lo o sostituisce con un contenuto diverso). Entrambi sono caratterizzati dal fatto che l’oggetto del rapporto giuridico controverso resta identico.
Il che distingue l’atto di ritiro da quello cosiddetto integrativo emesso sulla scorta della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Quest’ultimo atto, infatti, è un nuovo atto sul medesimo rapporto su cui è intervenuto quello precedente, perché in relazione ad un nuovo oggetto, non assunto a proprio elemento dal primo, dispone un nuovo contenuto (Sez. 5, Sentenza n. 937 del 16/01/2009).
Perciò i principi secondo cui, fino alla scadenza del termine per l’accertamento, questo può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi e nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposte, disciplinano soltanto l’integrazione o la modificazione in aumento, rispetto all’accertamento originario, e non anche quelle in diminuzione. Soltanto le prime integrano una pretesa tributaria “nuova” rispetto a quella originaria, mentre le seconde si risolvono in una mera riduzione della pretesa originaria e, quindi, in una revoca parziale del relativo avviso.
Ne deriva che, mentre l’integrazione o la modificazione in aumento dell’accertamento originario deve necessariamente formalizzarsi nell’adozione di un nuovo avviso di accertamento – specificamente motivato a garanzia del contribuente che ne è destinatario – il quale si aggiunge a, ovvero sostituisce, quello originario, l’integrazione o la modificazione in diminuzione, non integrando una “nuova” pretesa tributaria, ma soltanto una pretesa “minore”, non necessita neppure di una forma o di una motivazione particolari. (Sez. 5, Sentenza n. 12814 del 27/09/2000).
Ritenuto che, nel caso, l’Ente impositore ha sostenuto che l’iscrizione a ruolo, avviso n. , notificato il 21/3/18, rettifica il precedente provvedimento n dell’avviso n. notificato il 21/3/18, che rettifica il precedente provvedimento n. del 09/03/2018, a seguito di adesione del contribuente per ciò che attiene all’ I.M. U. per il periodo d’imposta 2014, trattandosi di un nuovi avvisi a garanzia del contribuente, che ne è destinatario, vanno notificati.
Ne consegue che le iscrizioni a ruolo tanto dell’avviso n. quanto dell’avviso n. che si assumono, nuovi, devono essere stati notificati. La cartella richiama che risultano notificati il 21/3/18, ma non risulta dalla stessa cartella che entrambi rettificano i precedenti atti n. e n. a seguito di adesione del contribuente per ciò che attiene all’ I.M. U. , non possono essere ritenuti idonei a giustificare l’iscrizione a ruolo avendo dovuto all’iscrizione a ruolo con l’atto n. e n. per la residua somma rettificata in diminuzione , che nel caso risulta insussistente tanto nella cartella di pagamento quanto nei provvedimenti n. e n. che non fanno affatto riferimento ai consequenziali avvisi n. e n.
Non emergendo dagli atti prodotti dal Comune alcun concreto documento da cui poter rilevare l’esistenza del provvedimento n° ( IMU 2013) o del provvedimento n° o ancora del provvedimento n° o del provvedimento n° ( IMU 2014) o dell’accertamento n° ( Tassa su rifiuti 2013), men che meno delle avvenute notifiche, in contestazione, ne consegue che tanto l’iscrizione a ruolo n. e n. non possono che ritenersi inidonei a rappresentare un titolo esecutivo validamente notificato. Né può assumere rilievo l’esibizione della ricevuta p. e. c., con cui si vuol dimostrare l’avvenuta notifica dell’avviso n. per la Tarsu anni 2012 e 2013 senza documentare l’esatta riferibilità all’atto richiamato nella cartella di pagamento di cui è causa, oltretutto, con riferimento alla TARSU – TIA per l’annualità 2012-2013, oggetto di giudicato irreversibile ( cfr. sentenza n.697/2022, resa dalla CTP di Catanzaro , favorevole alla contribuente avverso gli atti di accertamento che non risultano affatto chiesti in riscossione, con la cartella di pagamento di cui è causa. Né tanto meno può ritenersi idoneo, ai fini della dimostrazione dell’avviso di accertamento presupposto il provvedimento di annullamento parziale/totale provvedimento I.C. I. nr del 05/10/2017 per l’anno 2012 notificato il 02/11/2017, che attiene addirittura un diverso periodo d’imposta diverso da quello richiamato nella cartella di pagamento.
Né può condividersi, quanto sostenuto, dal Comune intervenuto, che la cartella impugnata, in primo grado, è stata notificata in conformità al termine di cui all’art. 1, comma 163, Legge n. 296/2006 e cioè entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo.
Sul punto il Collegio, rileva , che l’art. 72, comma 1, d.lgs. n. 507/1993, non è stato abrogato ed è rimasto in vigore dopo la Legge n. 296/2006; tale norma, disciplinava e disciplina una fattispecie affatto peculiare di riscossione. l’art. 1, comma 163, Legge n. 296/2006 ” ha disciplinato e modificato solo l’ipotesi della riscossione coattiva di tributi locali” mentre ha lasciato immodificata la norma concernente la riscossione a mezzo ruolo, che doveva intendersi come ancora disciplinata dall’art. 72, comma 1, d.lgs. n. 507/1993 .
Né può ammettersi la tesi dell”‘implicita abrogazione del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 72 per effetto della legislazione sopravvenuta” poiché l’art. 1, comma 163, Legge n. 296/2006 “riguarda una ipotesi di riscossione diversa dal ruolo” ovvero la procedura di ingiunzione fiscale di pagamento di cui all’art. 2, R.D. 14 aprile 1910, n. 639, che consiste nell’ordine emesso dall’ente creditore di pagare entro trenta giorni, sotto pena degli atti esecutivi, la somma dovuta. La procedura è preordinata all’espropriazione dei beni del debitore ed il documento notificato al debitore vale come titolo esecutivo. Secondo la giurisprudenza “l’ingiunzione fiscale è uno speciale strumento al fine di consentire una celere riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici, che cumula le caratteristiche e gli effetti del decreto ingiuntivo e del precetto, secondo uno schema derogatorio dell’ordinario procedimento di riscossione che necessita invece della previa iscrizione a ruolo e della notifica della cartella di pagamento (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 12 giugno 2012 n. 3413). Ne consegue che nei casi in cui un Comune abbia deciso, come nel caso di che trattasi, di avvalersi del sistema di riscossione tramite ruolo deve sottostare al più breve termine annuale di cui al d.lgs. 15 novembre 1993, art. 72, secondo cui la formazione e la notifica del ruolo debbono aver luogo entro l’anno successivo a quello per il quale è dovuto il tributo ( … )” e non è possibile “invocare il diverso e più lungo termine di decadenza triennale previsto dalla Legge Finanziaria n. 269 del 2006 per la riscossione coattiva di tributi locali a mezzo di titolo esecutivo“. (Cfr. ordinanza n. 14043/2019 della Cassazione).
va altresì, osservato, che secondo la S.C. di Cassazione “ai fini della riscossione del tributo l’ente impositore, ai sensi del d.gs. n. 507 del 1993, art. 71, può procedere all’emissione di un avviso di accertamento quando il contribuente non abbia presentato la denunzia prescritta dal precedente art. 70, oppure nel caso in cui ritenga che la denuncia presentata sia infedele o incompleta (vedi Cass. n. 19255 del 2003; Cass. n. 19181 del 2004; Cass. n. 20646 del 2007). Qualora invece la denuncia sia stata presentata, e l’ente ritenga di non contestarla, il medesimo d.lgs., art. 72, comma 1 consente al Comune di procedere direttamente alla liquidazione della TARSU, sulla base degli elementi dichiarati dallo stesso contribuente originariamente, ed alla conseguente iscrizione a ruolo, attraverso la meccanica applicazione dei ruoli dell’anno precedente e dei dati in esso contenuti, procedendo alla notificazione di una cartella esattoriale, senza previa emissione di alcun avviso di accertamento”. La diretta iscrizione a ruolo della TARSU da parte del Comune può dunque avvenire “sulla base di dati ed elementi già acquisiti e non soggetti ad alcuna modificazione o variazione” e cioè quando “non occorre la preventiva notifica di un atto di accertamento (cfr. Cass. n. 22248 del 2015 e n. 19120 del 2016)”. Nel caso di diretta iscrizione a ruolo deve essere rispettato il termine decadenziale di un anno sancito dall’art. 72, comma 1, d.lgs. n. 507/1993.
Né può assumere rilievo il termine triennale stabilito dall’art. 1, comma 163, Legge n. 296/2006, atteso che “la modifica [normativa introdotta con la Legge n. 296/2006] non ha inciso sul sistema di riscossione tramite ruolo, a cui continua a trovare applicazione stesso d.lgs. n.507/1993, art. 72, soggetto, pertanto, al termine annuale di decadenza espressamente previsto per tale modalità, senza che in tal caso sia possibile invocare il diverso e più lungo termine di decadenza triennale previsto dalla Legge n. 269 del 2006 (vedi ordinanza n. 36961/2021, resa dalla Sezione Vl-5 della Suprema Corte di Cassazione)”. Pertanto, in applicazione del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 72, il tributo relativo al 2013 andava iscritto a ruolo entro l’annualità successiva, e quindi entro il 31 dicembre 2014, con conseguente tardività dell’iscrizione a ruolo avvenuta il 14-11-2018 con la cartella di cui è causa.
Dunque, ritenuto che, gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, tale notifica, all’esito dell’esame degli atti, non risulta essere stata adeguatamente documentata , posto che, quanto sostenuto e documentato dal Comune di L intervenuto nel giudizio d’appello, quale ente impositore dei crediti chiesti in riscossione, con specifico riferimento alla inesatta individuazione dei provvedimenti iscritti, non può costituire né una prova idonea a dimostrate l’avvenuta notifica dei provvedimenti presupposti alla cartella di pagamento né tanto meno ad impedire ogni forma di decadenza degli stessi provvedimenti iscritti, ne consegue che la cartella di pagamento va, pertanto, ritenuta illegittima.
Per tali ragioni, la sentenza impugnata non può che essere confermata. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado, Sezione III, rigetta l’appello e per l’effetto conferma la sentenza impugnata. Condanna, in solido l’Agenzia delle Entrate riscossioni ed il Comune di L al pagamento, in favore della Società L S.p.A., delle spese del presente grado che liquida in Euro 7.000,00 oltre oneri previsti come per legge.
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