Corte di Cassazione ordinanza n. 21654 depositata il 7 luglio 2022

la modifica in diminuzione dell’originario avviso non esprime una nuova pretesa tributaria, ma una riduzione di quella originaria

Rilevato che:

1. L’Agenzia delle entrate- ufficio di Fano- notificò a S.R., nella sua qualità di socio unico di Eldorado s.r.l., l’avviso di accertamento n. R9N030200471/2009, inerente ad un maggior reddito di € 415.167,71, quota degli utili extra-bilancio accertati in capo alla società per l’anno di imposta 2004.

Il S.R. impugnò l’atto impositivo innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pesaro, evidenziando di aver ceduto tutte le proprie quote di Eldorado a tale Claudio Moscatelli in data 28 aprile 2004.

Il rilievo di tale circostanza condusse l’amministrazione finanziaria ad annullare parzialmente l’atto impugnato, ragguagliando la propria pretesa al periodo di effettiva partecipazione del S.R. alla società, con l’emissione di un nuovo avviso di accertamento (n. TQ9X10200067/2010).

La C.T.P., ritenendo che tale atto costituisse una mera correzione dell’originaria pretesa erariale, accolse parzialmente il ricorso determinando l’entità del credito nell’importo portato dal secondo avviso.

2. Dopo aver impugnato detta sentenza per revocazione ex art. 395, primo comma, numm. 5 e 6 cod. proc. civ., nelle more del giudizio (poi conclusosi con declaratoria di inammissibilità) il contribuente propose anche appello.

Costituitasi l’amministrazione finanziaria, il gravame fu accolto dalla Commissione tributaria regionale di Ancona con la seguente motivazione: “La Commissione osserva che l’annullamento dell’avviso di accertamento R9N030200471 in via di autotutela da parte dell’ufficio Entrate di Fano costituisce cessazione della materia del contendere. Va pertanto dichiarata l’estinzione del giudizio”.

3. Per la cassazione di detta sentenza, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso sulla base di tre motivi; resiste l’intimato con

Considerato che:

1. Con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente deduce nullità della sentenza ex 132, secondo comma, num. 4, cod. proc. civ. per carenza assoluta di motivazione.

Espone, al riguardo, che il tema centrale della controversia era costituito dall’interpretazione della portata e degli effetti giuridici dell’atto n. TQ9X10200067/2010 emesso in autotutela parziale, del quale essa aveva sostenuto il carattere di mera riduzione della pretesa di cui al primo atto impositivo (in ciò confortata dalla pronuncia di primo grado), in contrasto con la tesi del contribuente, secondo il quale il nuovo atto costituiva una rettifica del precedente, ma a seguito dell’annullamento di quest’ultimo era «da considerare illegittimo, non avendo alcun titolo di sostegno».

In tal senso, l’Agenzia riproduce stralci del proprio atto di appello e di documenti allo stesso allegati onde dar prova della sussistenza di un nutrito novero di argomenti su tale decisivo punto della controversia, e si duole del fatto che il giudice d’appello si sia limitato ad affermare che l’annullamento del primo avviso di accertamento «costituisce cessazione della materia del contendere», senza consentire in alcun modo la comprensione del proprio ragionamento.

2. Con il secondo motivo, formulato «per mero tuziorismo», denunziando violazione «delle norme regolatrici dell’istituto dell’autotutela (D.L. n. 564/1992) e dell’art. 46 d.lgs. n. 546/1992», la ricorrente contesta la decisione dei giudici d’appello, ove ritenuta sufficientemente motivata, per aver essa reputato l’atto emesso in autotutela come idoneo ad incidere sulla pretesa tributaria; osserva, infatti, che lo stesso ha riguardato unicamente il quantum debeatur, mantenendo inalterate le ragioni che ne avevano giustificato l’emissione, ovvero l’esistenza di un consistente utile extrabilancio in capo alla società della quale il S.R. era unico socio.

3. Infine, con il terzo motivo la ricorrente denunzia l’omessa considerazione, da parte della C.T.R., della portata meramente “modificativa in diminuzione” dell’atto emesso in autotutela anche sotto il profilo di cui all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., dolendosi del fatto che la sentenza impugnata non dà conto né delle circostanze riportate nel corpo dell’atto in questione, né delle deduzioni da lei svolte, al riguardo, nella memoria di costituzione in appello.

4. I primi due motivi, da scrutinare congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.

La giurisprudenza di questa Corte è ormai costante nel rilevare che, in tema di accertamento delle imposte, la modifica in diminuzione dell’originario avviso non esprime una nuova pretesa tributaria, ma una riduzione di quella originaria, sicché non costituisce atto nuovo, ma revoca parziale di quello precedente (Cass. n. 7293/2020; Cass. n. 27543/2018); tale evenienza, pertanto, in sede processuale non può comportare la cessazione della materia del contendere, in quanto permane l’interesse della pubblica amministrazione a veder riconosciuto il proprio credito tributario e quello del contribuente a negare la pretesa, con la conseguenza che l’autorità giudiziaria è tenuta a pronunciarsi sulla fondatezza della residua pretesa erariale (Cass. n. 18625/2020).

Da tale principio si è discostata la sentenza impugnata nel ritenere che la revoca parziale del primo atto impositivo abbia determinato la cessazione della materia del contendere, peraltro senza esplicitare le fonti di tale, affermato convincimento.

5. In relazione ai primi due motivi, pertanto, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice quo in diversa composizione, affinché decida conformandosi all’indicato principio di diritto, regolando anche le spese della presente fase. Resta assorbita la terza censura.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbito il restante, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale delle Marche, in diversa composizione, anche per le spese.