Agenzia delle Entrate – Risposta n. 309 del 27 maggio 2022
Creditore fallimentare cessato – Recupero dell’IVA di rivalsa non incassata – articolo 30-ter del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
QUESITO
[ALFA] (di seguito istante), titolare di partita IVA fino al […], pone il quesito di seguito sinteticamente rappresentato.
L’istante riferisce di aver emesso nei confronti della società [BETA] le seguenti fatture, aventi ad oggetto il “servizio di consulenza e di valutazione economica e la progettazione […]“:
- fattura […] di […]euro + IVA (totale […]euro), del […];
- fattura […] di […] euro + IVA (totale […] euro), del […];
- fattura […] di […]euro + IVA (totale […] euro), del […].
Nel 2013 il committente è fallito prima di saldare le suddette fatture e l’istante ha chiesto l’ammissione del credito al passivo fallimentare; il curatore, accogliendo l’istanza, ha iscritto la somma di […] euro tra i crediti chirografari.
La procedura concorsuale si è conclusa con il «piano di riparto finale approvato in data […], con perdita da parte dell’istante del proprio credito», cui ha fatto seguito il decreto di chiusura del fallimento emesso il […].
Pur essendo stati soddisfatti tutti i presupposti per l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA – ai sensi dell’articolo 26 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito decreto IVA) vigente ratione temporis, visto che:
«- l’istante ha concorso alla procedura essendo stata ammessa allo stato passivo del fallimento;
- l’imposta per cui dovrebbe esercitare il recupero risulta da fatture regolarmente emesse e registrate ed è stata regolarmente versata all’Erario;
- il momento in cui sorge il presupposto dell’infruttuosità è, per il fallimento, 10 giorni dal deposito in cancelleria del piano di riparto»,
tuttavia, l’istante – avendo chiuso la partita IVA prima del deposito del piano di riparto – sostiene di non poter «materialmente emettere la nota credito, pur vantando il diritto alla restituzione dell’IVA», e di non poter «presentare una dichiarazione integrativa a favore». Ciò premesso, chiede, dunque, di poter recuperare l’IVA non incassata mediante istanza di rimborso ex articolo 30-ter del decreto IVA.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
In sintesi, l’istante ritiene di poter chiedere il rimborso dell’IVA non incassata, ex articolo 30-ter del decreto IVA. Tale soluzione le consentirebbe di non riaprire la partita IVA al solo scopo di emettere una nota di variazione e chiedere l’eccedenza a credito IVA a rimborso ex articolo 30 del medesimo decreto; tra l’altro eviterebbe di incorrere nella difficoltà di trasmettere tramite SDI un documento intestato alla partita IVA ormai cessata del committente fallito.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
L’articolo 26 del decreto IVA disciplina le variazioni in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta il cui esercizio, diversamente dalle variazioni in aumento previste dalla medesima norma, ha natura facoltativa ed è limitato alle ipotesi espressamente previste.
In particolare, per quel che riguarda le procedure concorsuali, il citato articolo 26 – vigente prima delle modifiche recate dall’articolo 18 del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n 106 – subordinava l’emissione della nota di variazione in diminuzione all’infruttuosità delle procedure medesime.
Sul punto, può farsi riferimento a quanto chiarito con la circolare 17 aprile 2000, n. 77/E, e con le successive risoluzioni 12 ottobre 2001, n. 155/E, 18 marzo 2002, n. 89/E, 16 maggio 2008, n. 195/E, laddove è stato precisato che «Per quanto attiene, in particolare, all’ipotesi di mancato pagamento, in tutto o in parte, a causa di procedure concorsuali, rimaste infruttuose, dell’importo fatturato, è da rilevare, in via generale, che tale circostanza viene giuridicamente ad esistenza allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l’esecuzione collettiva sul patrimonio dell’imprenditore viene meno, in tutto o in parte, per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell’attivo. Il verificarsi di tale evento postula, quindi, in via preventiva, da un lato l’acclarata insolvenza dell’importo fatturato e l’assoggettamento del debitore a procedura concorsuale, dall’altro la necessaria partecipazione del creditore al concorso» (cfr. paragrafo 2.a) della circolare n. 77/E del 2000).
In particolare, per ciò che attiene al fallimento, «al fine di individuare l’infruttuosità della procedura occorre fare riferimento alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto (articolo 110 del Regio decreto n. 267 del 1942), oppure, ove non vi sia stato, alla scadenza del termine per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento stesso (articolo 119 del Regio decreto n. 267 del 1942)» (cfr. paragrafo 2.a) della circolare n. 77/E del 2000).
Una volta verificatosi il presupposto per operare la variazione, l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA resta subordinato alle condizioni imposte dall’articolo 19 del decreto IVA. In proposito, con la recente circolare n. 20/E del 29 dicembre 2021, paragrafo 3, è stato chiarito che «In base al comma 2 dell’articolo 26 in commento, il cedente/prestatore (creditore) «ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25».
A sua volta, l’articolo 19, comma 1, secondo periodo, del DPR n. 633 del 1972 dispone che «il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile ed è esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo» […] la circolare n. 1/E del 17 gennaio 2018, paragrafo 1.4, ha chiarito che l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA relativa alle fatture di acquisto ricevute è subordinato all’esistenza di un duplice requisito in capo al cessionario/committente:
- il presupposto sostanziale dell’effettuazione dell’operazione (i.e. esigibilità);
- il presupposto formale del possesso della relativa fattura, redatta conformemente alle disposizioni di cui all’articolo 21 del DPR n. 633 del 1972, da parte del soggetto passivo committente/cessionario. […]
Il diritto alla detrazione può, quindi, essere esercitato entro la data di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui si sono verificati entrambi i menzionati presupposti e con riferimento al medesimo anno.
Come già chiarito con alcune risposte a istanze di interpello (cfr. la n. 192 e la n. 119 pubblicate, rispettivamente, il 24 giugno 2020 e il 17 febbraio 2021 nell’apposita sezione del sito internet dell’Agenzia delle entrate), a parziale modifica e integrazione di quanto già chiarito con la circolare n. 1/E del 2018 (cfr. paragrafo 1.5), i principi sopra richiamati si applicano anche con riferimento alla detrazione dell’IVA relativa alla nota di variazione in diminuzione, nel senso che emessa tempestivamente detta nota – entro il termine di presentazione ordinario della dichiarazione annuale IVA relativa all’anno in cui si sono verificati i presupposti per operare la variazione in diminuzione – “l’imposta detratta confluirà nella relativa liquidazione periodica o, al più tardi, nella dichiarazione annuale IVA di riferimento“. Rileva, in altre parole, ai fini della detrazione, anche il momento di emissione della nota di variazione, che rappresenta il presupposto formale necessario per l’esercizio concreto del diritto.
Volendo esemplificare, se il presupposto per operare la variazione in diminuzione si verifica nel periodo d’imposta 2021, la nota di variazione può essere emessa, al più tardi, entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno 2021, vale a dire entro il 30 aprile 2022. Se la nota è emessa nel periodo dal 1° gennaio al 30 aprile 2022, la detrazione può essere operata nell’ambito della liquidazione periodica IVA relativa al mese o trimestre in cui la nota viene emessa, ovvero direttamente in sede di dichiarazione annuale relativa all’anno 2022 (da presentare entro il 30 aprile 2023)».
In merito all’utilizzo di strumenti alternativi per recuperare l’IVA non dovuta, la medesima circolare n. 20/E del 2021, paragrafo 6, ha chiarito che gli stessi, in generale, non sono tra loro alternativi, precisando che, «il superamento del limite temporale previsto dal legislatore per l’esercizio del diritto alla detrazione – rinvenibile dal combinato disposto degli articoli 26, commi 2 e seguenti, e 19, comma 1, del Decreto IVA – non implica, in via generale, che il recupero dell’imposta non detratta possa avvenire, alternativamente, presentando, in una fase successiva, la dichiarazione integrativa a favore di cui all’articolo 8, comma 6–bis, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, contenente la riduzione non operata dell’imposta, o un’istanza di rimborso ai sensi dell’articolo 30-ter del Decreto IVA».
In particolare, con specifico riferimento all’istituto di cui all’articolo 30-ter, comma 1, del decreto IVA – secondo cui «Il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.» – la medesima circolare, ha chiarito che, «Per quanto concerne l’istituto disciplinato dall’articolo 30-ter del decreto IVA, si ritiene che, trattandosi di una norma residuale ed eccezionale, questo trovi applicazione ogni qual volta sussistano condizioni oggettive che non consentono di esperire il rimedio di ordine generale (nel caso di specie, l’emissione di una nota di variazione in diminuzione). Deve ritenersi, quindi, che tale istituto non possa essere utilizzato per ovviare alla scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del diritto alla detrazione qualora tale termine sia decorso per “colpevole” inerzia del soggetto passivo.
La possibilità di ricorrere al rimborso deve essere riconosciuta, invece, laddove, ad esempio, il contribuente, per motivi a lui non imputabili, non sia legittimato ad emettere una nota di variazione in diminuzione ai sensi dell’articolo 26 del DPR n. 633 del 1972».
Tanto premesso, nel caso di specie – secondo quanto descritto nell’istanza e rilevabile dai documenti allegati – sembra che le condizioni per emettere la nota di variazione si siano perfezionate con la scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto depositato dal curatore il […].
A tale data, tuttavia, l’istante risulta aver cessato la propria attività. Nel presupposto, non verificabile in questa sede, che l’istante abbia assolto a tutti gli adempimenti conseguenti alle operazioni attive e passive effettuate fino alla data di cessazione dell’attività (le operazioni di cui si discute risultano dall’istanza essere state documentate e, presumibilmente, l’IVA ad essa relativa assolta), non si ravvisano motivi per ritenere illegittima la chiusura della partita IVA – pur in pendenza di un fallimento dagli esiti incerti (ai fini della chiusura dell’attività ai sensi dell’art. 35, comma 4, del decreto IVA, infatti, non rileva la riscossione dei crediti) – né sembrano ricorrere le condizioni per richiederne la riapertura al fine di recuperare il credito IVA rimasto insoluto.
Pertanto, nel rispetto del principio di neutralità su cui si impernia l’intera disciplina dell’Imposta sul valore aggiunto, per effetto del quale deve essere garantito al contribuente il mezzo per recuperare l’imposta addebitata in rivalsa e non incassata, si ritiene che la fattispecie descritta – legittima cessazione dell’attività e chiusura della partita IVA in pendenza della procedura concorsuale – possa essere ricondotta tra quelle ipotesi “residuali ed eccezionali” per cui sussistono «condizioni oggettive», non imputabili ad una “colpevole” inerzia del contribuente, «che non consentono di esperire il rimedio di ordine generale (nel caso di specie, l’emissione di una nota di variazione in diminuzione)». L’istante può, dunque, presentare all’ufficio competente apposita istanza di rimborso, ex articolo 30-ter del decreto IVA al fine di recuperare il credito rimasto insoluto, previa dimostrazione di aver assolto correttamente tutti gli adempimenti di legge e di aver fatto concorrere a suo tempo l’IVA addebitata in rivalsa nella liquidazione periodica e annuale di riferimento.
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