AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 07 giugno 2021, n. 393
Interpello – articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – Errata applicazione del reverse charge – ravvedimento operoso. Recupero credito IVA soggetto non residente
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
Si premette che l’interpello in esame è stato presentato in via congiunta dalla società di diritto […][ALFA] (di seguito istante e/o cedente) e dalla società […] [BETA] (di seguito cessionaria).
In sintesi, la cedente riferisce che, a partire dal III trimestre 2018, acquista beni dalla sua controllata italiana [GAMMA] (di seguito controllata) e li rivende alla cessionaria, operatore comunitario non residente, identificata direttamente ai fini IVA in Italia ai sensi dell’articolo 35-ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito decreto IVA). I beni vengono consegnati dalla controllata direttamente alla cessionaria in un magazzino localizzato in Italia.
Con riferimento all’operatività descritta la cedente precisa che:
– la cessione di beni effettuata dalla controllata alla cedente è un’operazione territorialmente rilevante ai fini IVA in Italia (in quanto i beni acquistati restano nel territorio dello Stato) ai sensi dell’articolo 7-bis del decreto IVA e, di conseguenza, la controllata emette fattura esercitando la rivalsa con aliquota IVA al 22%;
– la successiva cessione effettuata dalla cedente alla cessionaria è anch’essa un’operazione territorialmente rilevante ai fini IVA in Italia, ai sensi del citato articolo 7-bis in quanto, anche in tal caso, i beni sono ceduti in Italia. La cedente, dunque, nel 2018 e nel 2019, ha erroneamente emesso fattura in regime di non imponibilità IVA utilizzando la partita IVA […] e, conseguentemente, l’imposta è stata assolta dalla cessionaria mediante il meccanismo dell’inversione contabile (reverse charge). Essendo, infatti, la cessionaria un soggetto non residente identificato ai fini IVA in Italia, l’imposta avrebbe dovuto essere assolta direttamente dalla cedente che, a tal fine, avrebbe dovuto nominare un rappresentante fiscale o identificarsi direttamente.
L’errata individuazione del debitore d’imposta non ha comportato, tuttavia, secondo la cedente, alcun danno all’erario, in quanto l’IVA è stata corrisposta dalla cessionaria mediante il meccanismo dell’inversione contabile. Per l’effetto si è generato in capo alla cedente un rilevante credito IVA che è stato, inutilmente, chiesto a rimborso mediante la procedura di cui all’articolo 38-bis2 del decreto IVA.
Preso atto dell’errore, la cedente si è identificata in Italia il 30 ottobre 2019, tuttavia, come chiarito con documentazione integrativa presentata su richiesta della scrivente, a causa della rigidità operativa del «sistema informativo e di gestione Ordini» della cessionaria, «permane tuttavia un periodo di transizione, successivo all’identificazione di [ALFA] (30 ottobre 2019) nel corso del quale tutti gli ordini che erano stati inseriti a sistema con il precedente profilo di fornitore, sono stati forzatamente evasi utilizzando la Partita IVA […] ».
Ciò detto, la cedente chiede di conoscere come regolarizzare (anche mediante il c.d. ravvedimento operoso) l’attività pregressa, nonché come recuperare il credito IVA maturato.
La cessionaria, chiede, a sua volta, di confermare che, nonostante l’errata modalità di assolvimento dell’imposta mediante il sistema dell’inversione contabile, essa ha il diritto a detrarre l’IVA sugli acquisti ex articolo 19 del decreto IVA.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In sintesi, la cedente ritiene che «Al fine di procedere con la regolarizzazione del pregresso, successivamente alla sua registrazione ai sensi dell’art. 35-ter D.P.R. 633/72:
a) debba applicare la sanzione formale di cui all’art. 6 co. 9-bis. 2, D. Lgs. n 471/97 e procedere al recupero dell’IVA assolta a monte sugli acquisti mediante presentazione tardiva della Dichiarazione IVA 2019 (FY 2018) e 2020 (FY 2019) e contestuale richiesta di rimborso ex art. 38 bis, D.P.R. n 633/72;
b) in via subordinata, nella denegata ipotesi in cui non sia applicabile la soluzione prospettata al punto sub a), fermo restando l’applicazione della sanzione formale di cui all’art. 6 co. 9-bis.2, D. Lgs. n 471/97:
– debba stornare le fatture irregolari originariamente emesse mediante emissione di note di variazione in diminuzione;
– debba procedere all’emissione delle fatture attive anno 2018 e 2019 mediante la partita IVA italiana, applicando l’aliquota IVA del 22%;
– debba presentare i modelli dichiarativi IVA relativi agli anni d’imposta 2018 e 2019 previa regolarizzazione delle violazioni commesse, ricorrendo all’istituto del ravvedimento operoso ex art 13, D. Lgs. n 472/97».
In tal caso, la cedente «dovrebbe beneficiare della detrazione con la procedura ordinaria anche per quanto riguarda le operazioni passive effettuate prima della registrazione».
Quanto poi ai diritti del cessionario, la cedente ritiene che «In tal caso ultimo caso, al cessionario finale, in base all’art. 19, co. 1, del d.P.R. 633/1972, sarà riconosciuta la possibilità di esercitare il diritto di detrazione dell’IVA addebitata […] per mezzo delle note di variazione emesse a seguito di ravvedimento operoso ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. 633/1972».
Parere dell’Agenzia delle entrate
[…].
L’articolo 17, secondo comma, del decreto IVA dispone che «Gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, compresi i soggetti indicati all’articolo 7-ter, comma 2, lettere b) e c), sono adempiuti dai cessionari o committenti. Tuttavia, nel caso di cessioni di beni o di prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell’Unione europea, il cessionario o committente adempie gli obblighi di fatturazione di registrazione secondo le disposizioni degli articoli 46 e 47 del decreto- legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427».
Il successivo terzo comma dispone che «Nel caso in cui gli obblighi o i diritti derivanti dall’applicazione delle norme in materia di imposta sul valore aggiunto sono previsti a carico ovvero a favore di soggetti non residenti e senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, i medesimi sono adempiuti od esercitati, nei modi ordinari, dagli stessi soggetti direttamente, se identificati ai sensi dell’articolo 35-ter, ovvero tramite un loro rappresentante residente nel territorio dello Stato nominato nelle forme previste dall’articolo 1, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 441. […]».
Come già chiarito in passato (cfr. risoluzione n. 28/E del 28 marzo 2012) «In base al disposto del successivo terzo comma dell’articolo 17 sopra citato, tale estensione del meccanismo dell’inversione contabile non trova applicazione nel caso in cui le cessioni di beni o le prestazioni di servizi, territorialmente rilevanti in Italia, siano effettuate da un soggetto passivo non residente e privo di stabile organizzazione nel territorio dello Stato nei confronti di cessionari o committenti soggetti passivi che siano anch ‘essi stabiliti fuori del territorio dello Stato. In tale caso, torna di norma applicabile la regola generale di cui al primo comma dell’articolo 17 che individua il debitore dell’imposta nel cedente o prestatore».
In altre parole, quando le operazioni domestiche intercorrono tra soggetti non stabiliti ai fini IVA in Italia, né quivi in possesso di una stabile organizzazione, il cedente deve emettere fattura con IVA utilizzando la partita IVA italiana, acquisita mediante identificazione diretta (se stabilito ai fini IVA in un Paese UE o in un paese terzo che abbia stipulato accordi di reciproca assistenza amministrativa ai fini IVA, ex articolo 35-ter del decreto IVA) ovvero attraverso un rappresentante fiscale (ex articolo 17, comma 2, del medesimo decreto IVA).
Ne deriva, pertanto, che la cedente, per assolvere l’obbligo di rivalsa e di versamento dell’IVA – in assenza di una sede o di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato – avrebbe dovuto identificarsi ai fini IVA in Italia oppure nominare un rappresentante fiscale ed addebitare l’IVA in fattura secondo le regole ordinarie.
Ciò detto, con riferimento alle violazioni degli obblighi di assolvimento dell’imposta mediante il meccanismo dell’inversione contabile, l’articolo 6, comma 9- bis.2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 dispone che « In deroga al comma 1, qualora, in assenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis, sia stata erroneamente assolta dal cessionario o committente, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il cedente o il prestatore non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cessionario o committente. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano e il cedente o prestatore è punito con la sanzione di cui al comma 1 quando l’applicazione dell’imposta mediante l’inversione contabile anziché nel modo ordinario è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cedente o prestatore era consapevole.».
Come chiarito con la circolare n. 16/E dell’11 maggio 2017, la disposizione sopra richiamata è coerente «con il principio sancito in più occasioni dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in relazione al meccanismo del reverse charge, secondo cui la violazione degli obblighi formali non possono escludere di per sé il diritto alla detrazione del contribuente, pena la violazione del principio di neutralità dell’imposta (..)». In particolare, con specifico riferimento al funzionamento del citato comma 9-bis.2, la circolare ha chiarito che detto comma «disciplina l’ipotesi […] in cui l’IVA doveva essere assolta in via ordinaria, ma è stata, in modo irregolare, assolta con il meccanismo dell’inversione contabile dal cessionario o committente. […]. Il cessionario o committente ha il diritto alla detrazione dell’imposta assolta irregolarmente con l’inversione contabile, mentre il cedente o prestatore – seppur debitore dell’imposta – non è obbligato all’assolvimento della stessa, ma è punito con la sanzione in misura fissa stabilita da un minimo di 250 euro a un massimo di 10.000 euro. Del pagamento di tale sanzione è responsabile, in via solidale, il cessionario o committente.
Anche in tale evenienza, come già chiarito al paragrafo precedente, la sanzione compresa tra 250 euro e 10.000 euro è dovuta in base a ciascuna liquidazione (mensile o trimestrale) e con riferimento a ciascun committente […].
Il comma 9-bis.2, inoltre, prevede espressamente l’inapplicabilità della sanzione in misura fissa, con conseguente applicazione delle regole ordinarie di cui al citato comma 1, nei casi in cui la condotta sia determinata da un intento di evasione o di frode per il quale vi sia prova di consapevolezza da parte del cedente o prestatore.
Ciò posto, riguardo l’ambito applicativo del comma 9-bis.2 in esame, si evidenzia che la norma è applicabile solo al caso di irregolare assolvimento dell’imposta relativa a cessioni di beni o a prestazioni di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis “in assenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile “.
Secondo la Relazione di accompagnamento al decreto, si tratta, in particolare, di tutte ‘le ipotesi in cui l’imposta è stata erroneamente assolta dal cessionario/committente con il meccanismo dell’inversione contabile … per operazioni riconducibili alle ipotesi di reverse charge ma per le quali non ricorrevano tutte le condizioni per la sua applicazione” […].
In base alla ratio della norma, le disposizioni di cui al comma 9-bis.2 non si applicano, invece, nel caso di ricorso all’inversione contabile in ipotesi palesemente estranee a detto regime. In tale evenienza tornano applicabili al cedente/prestatore e al cessionario/committente, rispettivamente le sanzioni di ai citati commi 1 e 8 dell’art. 6».
Ne deriva che – salva l’ipotesi di frode, non verificabile in sede d’interpello – per sanare l’errore, laddove l’imposta sia stata assolta, seppur irregolarmente dal cessionario mediante il meccanismo dell’inversione contabile, il cedente deve definire esclusivamente la sanzione, non avendo l’obbligo di versare l’imposta; il cessionario a sua volta, pur rispondendo solidalmente della sanzione applicabile alla violazione, conserva il diritto alla detrazione dell’imposta.
In merito alla corretta modalità di recupero del credito IVA sugli acquisti da parte di un non residente, si osserva che l’articolo 38-bis2 del decreto IVA stabilisce che «1. I soggetti stabiliti in altri Stati membri della Comunità, assoggettati all’imposta nello Stato in cui hanno il domicilio o la residenza chiedono il rimborso dell’imposta assolta sulle importazioni di beni e sugli acquisti di beni e servizi, sempre che sia detraibile a norma degli articoli 19, 19-bis1 e 19-bis2, secondo le disposizioni del presente articolo. Il rimborso non può essere richiesto dai soggetti che nel periodo di riferimento disponevano di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato ovvero dai soggetti che hanno ivi effettuato operazioni diverse da quelle per le quali debitore dell’imposta è il committente o cessionario, da quelle non imponibili di trasporto o accessorie ai trasporti e da quelle di servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione ed elettronici rese ai sensi dell’articolo 74-septies. L’ammontare complessivo della richiesta di rimborso relativa a periodi infrannuali non può essere inferiore a quattrocento euro; se detto ammontare risulta inferiore a quattrocento euro il rimborso spetta annualmente, sempreché di importo non inferiore a cinquanta euro».
La norma, dunque, esclude la possibilità di chiedere il rimborso con la speciale procedura ivi prevista se i soggetti non residenti hanno effettuato operazioni per i quali sono debitori d’imposta.
Detta previsione, va in ogni caso coordinata con la disciplina di cui all’articolo 6, comma 9-bis.2, del decreto legislativo n. 471 del 1997 che, in caso di errore nell’applicazione del reverse charge, fa salvo il comportamento del cedente che non ha applicato l’imposta, cristallizzando gli esiti dell’errore.
In particolare, nel caso di specie, con riferimento alle operazioni di acquisto effettuate nel periodo d’imposta 2018, per cui i termini di presentazione della dichiarazione annuale IVA (30 aprile 2019) erano già scaduti all’atto dell’identificazione diretta avvenuta il 30 ottobre 2019 (…) – stante la previsione dettata dalla norma sanzionatoria, che non richiede il versamento dell’imposta quando l’IVA sia stata effettivamente assolta dal cessionario, e l’impossibilità di recuperare l’IVA in detrazione in dichiarazione annuale perché omessa e quindi non integrabile – si è dell’avviso che la cedente possa considerarsi al pari di un soggetto che non ha effettuato operazioni per le quali è debitore dell’imposta.
Si è dell’avviso, in altre parole, che, nonostante l’errore, la cedente conservi il diritto ad ottenere il rimborso dell’IVA addebitata alla sua partita IVA spagnola, con la procedura di cui all’articolo 38-bis2.
Diversamente si determinerebbe l’impossibilità per il contribuente di recuperare l’IVA, ledendo in tal modo il principio di neutralità dell’imposta, tenuto conto che, contrariamente a quanto ipotizzato dalla cedente, non è possibile presentare nel 2021 una dichiarazione annuale IVA omessa relativa ai periodi d’imposta 2018 e 2019.
Tale soluzione è, peraltro, in linea con la posizione della Corte di Giustizia europea, che con la sentenza 6 febbraio 2014, EON Global Commodities SE, C- 323/12, in merito ad un soggetto non residente, senza stabile organizzazione, ma identificato ai fini IVA ai sensi dell’articolo 35-ter del decreto IVA, valorizza l’effettiva realizzazione dell’operazione soggetta ad IVA, prevedendo che « l’identificazione di una società a fini dell’IVA per il tramite di un rappresentante fiscale non può essere legittimamente considerata dall’ordinamento giuridico nazionale come prova del fatto che una tale società abbia effettivamente realizzato cessioni di beni o prestazioni di servizi in tale Stato membro ai sensi dell’articolo 1 dell’ottava direttiva. Infatti, si evince chiaramente dal tenore letterale di tale articolo nonché dell’articolo 171 della direttiva IVA che, ai fini dell’esclusione del diritto al rimborso nell’ambito dell’ottava direttiva, è necessario accertare non già la semplice capacità di realizzare operazioni imponibili nello Stato in cui viene presentata la domanda di rimborso, bensì la realizzazione effettiva di tali operazioni (punto 53)».
La cessionaria, come già anticipato, in linea con le disposizioni contenute nel richiamato articolo 6, comma 9-bis2, del d.lgs. n. 471 del 1997, conserva, con riferimento alle operazioni di acquisto effettuate fino alla data di identificazione della cedente, il diritto alla detrazione dell’imposta assolta irregolarmente con l’inversione contabile.
Con riguardo alle operazioni effettuate dal 2019, anno di identificazione della cedente non residente, l’IVA relativa agli acquisti poteva essere recuperata dalla cedente mediante l’esercizio del diritto alla detrazione ai sensi dell’articolo 19 del decreto IVA, nelle liquidazioni periodiche e nella dichiarazione annuale IVA.
Al riguardo, infatti, con la risoluzione n. 31/E del 1° marzo 2005, è stato chiarito che un soggetto non residente, che ha effettuato acquisti in data antecedente a quella di identificazione, può comunque esercitare il diritto a detrazione dell’IVA ad essi relativa purché dia prova di avere effettuato tali acquisti in relazione ad un’attività economica avviata.
Pertanto, successivamente all’identificazione tardiva:
– la cedente poteva esercitare la detrazione dell’imposta assolta in relazione alle fatture di acquisto del 2019, anche antecedenti l’identificazione, emesse dalla controllata nei confronti della partita IVA estera, nel rispetto dei limiti disposti dal citato articolo 19, secondo cui «il diritto alla detrazione (…) è esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo». Tale diritto poteva essere esercitato nell’ambito della prima liquidazione periodica eseguita dopo l’identificazione o in sede di dichiarazione annuale per il periodo d’imposta 2019;
– la cedente doveva assolvere all’obbligo di rivalsa e di versamento dell’IVA, relativamente alle fatture emesse nei confronti della cessionaria, utilizzando la partita IVA italiana;
– la cessionaria poteva esercitare la detrazione in relazione alle fatture emesse dalla cedente, nel rispetto dei limiti disposti dal citato articolo 19 del decreto IVA.
Se, infine, come rappresentato in sede di documentazione integrativa, anche dopo l’acquisizione della partita IVA italiana, la cedente ha continuato erroneamente a fatturare le cessioni in regime di non imponibilità, ferma la sanzionabilità della violazione commessa, la cessionaria avrebbe dovuto regolarizzare le fatture ai sensi dell’articolo 6, comma 8, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, secondo cui « Il cessionario o il committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, abbia acquistato beni o servizi senza che sia stata emessa fattura nei termini di legge o con emissione di fattura irregolare da parte dell’altro contraente, è punito, salva la responsabilità del cedente o del commissionario, con sanzione amministrativa pari al cento per cento dell’imposta, con un minimo di euro 250, sempreché non provveda a regolarizzare l’operazione con le seguenti modalità:
a) se non ha ricevuto la fattura, entro quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione, presentando all’ufficio competente nei suoi confronti, previo pagamento dell’imposta, entro il trentesimo giorno successivo, un documento in duplice esemplare dal quale risultino le indicazioni prescritte dall’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, relativo alla fatturazione delle operazioni;
b) se ha ricevuto una fattura irregolare, presentando all’ufficio indicato nella lettera a), entro il trentesimo giorno successivo a quello della sua registrazione, un documento integrativo in duplice esemplare recante le indicazioni medesime, previo versamento della maggior imposta eventualmente dovuta».
Per l’effetto, ai sensi del successivo comma 9, «Se la regolarizzazione è eseguita, un esemplare del documento, con l’attestazione della regolarizzazione e del pagamento, è restituito dall’ufficio al contribuente che deve registrarlo ai sensi dell’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633».
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