La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 47210 depositata il 28 novembre 2013 intervenendo in materia di reati fiscali ha statuito che la sanzione di inutilizzabilità erga omnes delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da un soggetto successivamente al momento in cui l’esame doveva essere interrotto essendo emersi indizi di reità a suo carico, postula che si tratti di indizi non equivoci di reità, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali dell’interrogante e non potendosi far derivare la posizione di indagato automaticamente dal solo fatto che il dichiarante possa essere stato in qualche modo coinvolto in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formazione di addebiti penali a suo carico.
La vicenda ha avuto origine con il provvedimento, emesso dal GIP, degli arresti domiciliari di un commercialista accusato di aver emesso, per conto di un cliente al fine di evadere le imposte, fatture per operazioni inesistenti reato previsto dall’articolo 8 del D.Lgs. 74 del 2000.
Il professionista avverso il provvedimento di restrizione ricorreva la Tribunale del riesame annullava l’ordinanza del GIP di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, in relazione al reato di cui agli artt. 110 c.p. 8, comma 1, D.Lgs. n. 74 del 2000, perché, in concorso con altri, nella qualità di responsabile della tenuta della contabilità della F.S.L. s.r.l. emetteva fattura di 589.585,22 euro, con la clausola provvigioni per servizi resi, relativa ad operazioni inesistenti, al fine di consentire alla S. s.r.l. di evadere le imposte sui redditi per l’importo di 190.533,94 euro. Per i giudici del Tribunale on sussistevano i gravi indizi per affermare che il C. sapesse che la suddetta fattura fosse riferibile ad operazioni inesistenti. Con riferimento alla conversazione intercettata fra V.D. e l’avv. I.S., nella quale si parla di una fattura che “il commercialista C. può fare senza problemi “, lo stesso Tribunale osservava che non è dato conoscere quale sia stato l’oggetto e il tenore della successiva conversazione fra l’avv. S. e il C. Del pari irrilevante per il Tribunale era la dichiarazione del dipendente dell’azienda (quello dell’intercettazione telefonica, n.d.r.) secondo cui il commercialista aveva dato il proprio benestare all’operazione. Tale dichiarazione, per il giudice del merito, non poteva essere utilizzata poiché a contenuto autoaccusatorio.
Il Procuratore Generale per la cassazione della sentenza proponeva ricorso, affidandolo a due motivi di censura, alla Corte Suprema. In particolare le doglianze della Procura riguardano l’interpretazione data dal Tribunale di Lecce alla conversazione intercorsa tra il legale e il già citato dipendente della società, poiché dal testo integrale emergerebbe che per l’emissione della fattura occorreva necessariamente coinvolgere la professionalità del commercialista, tanto più che la fattura era stata regolarmente annotata nelle scritture contabili delle due società coinvolte nel reato ed era logico ritenere che registrazione fosse stata curata dal medesimo professionista.
Gli Ermellini ritenendo fondate le motivazioni accolgono il ricorso del PM ed annulla la sentenza del Tribunale. Infatti i giudici di legittimità hanno ritenuto che il Tribunale non ha spiegato esaurientemente il perché abbia ritenuto che il commercialista non sapesse della falsità della fattura, nonostante i gravi indizi di colpevolezza addotti dalla Procura, “si tratta di carenza totale di motivazione – concludono gli Ermellini – che vizia il provvedimento impugnato che, pertanto, deve essere annullato con rinvio al Tribunale di Lecce per un nuovo esame che faccia applicazione dei principi di diritto come sopra formulati”.
In ogni caso, si tratta di inutilizzabilità relativa e non già assoluta, di tal che le dichiarazioni rese in assenza di tutele difensive, sebbene non possano essere utilizzate nei confronti di chi le ha rese, ben possono essere utilizzate nei confronti dei terzi (da ultimo: Sez. 6, n. 29535 del 02/07/2013, Oppolo, Rv. 256151).
Evidenziamo che il commercialista risponderà anch’egli per concorso nei reati di cui agli articoli 2 e 8 del D.Lgs. n. 74/2000, se il cliente abbia utilizzato e/o emesso fatture per operazioni inesistenti. Ovviamente, occorre dimostrare che il consulente era consapevole della falsità dei documenti o che abbia offerto il proprio contributo alla realizzazione del reato oppure che abbia “istigato” il contribuente a commettere l’evasione.
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