CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 aprile 2020, n. 8177
Tributi – Accertamento – Costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti – Acquisti di autovetture da società cartiera – Caratteristiche soggettive della venditrice – Esclusione buona fede dell’acquirente
Rilevato che
– B.P. Auto Srl, in liquidazione, (di seguito, la contribuente,) propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, depositata il 3 febbraio 2014, di parziale accoglimento dell’appello proposto dall’agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della contribuente per l’annullamento degli avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 2005-2006 per Iva, Irap e Ires; – dall’esame della sentenza di appello si evince che l’Ufficio aveva rettificato il reddito imponibile e recuperato a tassazione i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti nei confronti della contribuente, in relazione ad acquisti di autovetture da A.D. Srl;
– dal PVC della polizia tributaria di Caltanissetta risultava che detta società svolgeva la sua attività in un seminterrato vuoto di 30 m2 ; che a fronte di un fatturato di milioni di euro era amministrata da due coniugi totalmente senz’arte né parte; che gli accertamenti emessi dalla agenzia non erano stati impugnati;
– ad avviso della CTR, era quindi accertato che: – la suddetta A.D. Srl era soggetto interposto e si vedeva in tema di operazioni soggettivamente inesistenti; – questa circostanza comportava il recupero dei costi effettivamente sostenuti, ma non aveva influenza in tema di Iva, dovendosi escludere la buona fede della contribuente in relazione alle caratteristiche soggettive della venditrice “percettibili agli occhi di chiunque intendesse effettivamente percepirle”;
– il ricorso è affidato a tre motivi;
– l’agenzia si è costituita con controricorso.
Considerato che
– con il primo motivo di ricorso, la contribuente denuncia “violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, 1 comma n. 3) c.p.c. di norme di diritto (art. 3 L. 241/90, articoli, 7 e 10 della legge 212/2000 (statuto del contribuente)” e dell’art. 42 d.p.r. 600/73, art. 32 D. Lvo n. 546/92) e Violazione ex art. 360, 1 comma n. 5) c.p.c. per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, sono stati oggetto di discussione tra le parti”;
– ad avviso della contribuente, la CTR avrebbe errato nel considerare adeguatamente motivati gli avvisi di accertamento impugnati omettendo di considerare che nel corso del primo giudizio erano stati prodotti atti relativi ad altri soggetti (PVC e avvisi di accertamento a carico di C.M. e A.D.Srl) che non erano stati allegati agli avvisi di accertamento in violazione delle norme sopra richiamate;
– detti atti, relativi a terzi soggetti, erano stati prodotti in stralcio e in copia, ed erano stati illegittimamente utilizzati nella sentenza impugnata come prova della partecipazione della contribuente ad una frode carosello e della sua consapevolezza di avere a che fare con un soggetto “evanescente”;
– il motivo, nel quale si riscontrano non perspicui riferimenti ad un “PVC elevato a C. quale sostituto d’imposta” (pag. 75), è infondato sotto entrambi i profili dedotti;
– ed invero, in relazione alla violazione di legge, in più occasioni si è affermato che secondo il costante insegnamento di questa Corte, l’avviso di accertamento, costituente l’atto con il quale l’Amministrazione esercita la propria pretesa tributaria nei confronti del contribuente, soddisfa l’obbligo di motivazione, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente medesimo in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l'”an” ed il “quantum debeatur”. Tale atto deve ritenersi, pertanto, correttamente motivato – anche nel regime di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7 – ove esso faccia riferimento ad un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria non è tenuta affatto ad includere nell’avviso di accertamento notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti, né a riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto (Cass. 6232/03; 7360/11; altresì cfr. Cass. V, 26472/14; ed ancora Cass. VI – 5 n. 9008/17);
– va rilevato, infatti, che – come si desume nella parte narrativa dello stesso ricorso – l’avviso di accertamento è stato motivato, nella specie, con rinvio espresso al processo verbale di constatazione del 28.7.09, i cui risultati sono stati contestati alla contribuente e che, quindi, costituisce un atto legalmente conosciuto dalla medesima (pag. 5);
– pertanto, una volta che, attraverso il processo verbale di constatazione la contribuente è stata – nel caso di specie – messa in condizioni di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, l’Amministrazione finanziaria non era obbligata ad indicare compiutamente, o a trascrivere nell’avviso di accertamento, le risultanze delle indagini svolte nei confronti degli altri coinvolti nella frode, sicché, del tutto correttamente, la CTR ha ritenuto che gli avvisi di accertamento impugnati riportavano espressamente il riferimento agli acquisti fittizi presso D., “e dunque devono considerarsi motivati”;
– quanto al profilo motivazionale, sulla base della nuova formulazione dell’art. 360, 1° co. n. 5 cod.proc.civ. (qui applicabile ratione temporis, trattandosi di sentenza di appello depositata successivamente all’il settembre 2012) – applicabile anche al ricorso per cassazione proposto avverso sentenze del giudice tributario -, si è affermato (Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014) che: “la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (così, in seguito, Cass. n. 12928/14; Cass. ord. n. 21257/14; Cass. 2498/15 ed altre);
– nel caso di specie, il giudice di appello, nell’esercizio del proprio potere di valutazione, tra cui rientra anche quello del materiale probatorio acquisito agli atti, ha esposto chiaramente le ragioni per le quali ha ritenuto di rigettare la tesi difensiva prospettata nell’impugnazione dal contribuente, evidenziando gli elementi dai quali ha ricavato la sua consapevolezza in merito alle operazioni fraudolente poste in essere;
– risulta quindi indicato l’iter logico posto a fondamento della decisione di appello e le ragioni che hanno indotto la CTR a rigettare la tesi dell’ appellante, così rendendo possibile il controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento; la parte ricorrente, quindi, deduce, non un “omesso esame”, bensì un “vizio di motivazione”.
– Con il secondo motivo, la contribuente deduce “violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, 1 comma n. 3) c.p.c. di norme di diritto (artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., art. 19 d.p.r. 633/72, art. 62 bis d.p.r. 633/72) e Violazione ex art. 360, 1 comma n. 5) c.p.c. per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, sono stati oggetto di discussione tra le parti”;
– ad avviso della contribuente, che riprende anche il contenuto della precedente doglianza, la CTR avrebbe errato laddove aveva affermato che in materia di Iva era il contribuente che doveva dimostrare di non conoscere la natura fittizia del dante causa;
– evidenzia che non solo la contribuente aveva contestato che, per ragioni oggettive, non sapeva che A.D. Srl era soggetto fittizio, ma che l’ufficio non aveva assolto il proprio onere probatorio non essendo stato accertato alcun omesso versamento d’imposta da parte della ricorrente;
– inoltre, non aveva dato nessuna dimostrazione di chi fosse il fornitore comunitario e il reale soggetto destinatario della merce;
– dal canto suo, la contribuente aveva dimostrato l’ineccepibilità della propria contabilità e dimostrato di aver avuto rapporti commerciali solo con la sede secondaria di A.D. Srl sita in Azzano, di cui si era dimostrata l’esistenza negli anni 2005- 2006, tanto è che in sede penale la posizione dell’amministratore era stata archiviata;
– afferma che per il commercio delle autovetture di cui trattasi non era necessaria una struttura di impresa organizzata, bastando un solo locale ed un piazzale;
– la censura, relativamente agli aspetti concernenti la violazione di legge, è infondata alla luce dei principi affermati da questa Corte secondo cui «In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili» (Sez. 5, Sentenza n. 428 del 14/01/2015, Rv. 634233 – 01);
– é superfluo precisare, trattandosi di principi generali in tema di prova, che la prova dell’inesistenza delle operazioni può ben consistere in presunzioni semplici, poiché la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 2012, cit.);
– pertanto, nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno o siano intercorse tra soggetti ché non siano le genuine controparti, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o deduzione dei costi, ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una “cartiera”, quali ad es. la mancanza di sede, la mancanza di iscrizione, l’omesso versamento delle imposte) o è stata emessa da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, e a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate;
– quest’ultima prova non potrà consistere, però, per quanto detto sopra, nella esibizione della fattura, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, (v. Cass. n. 14237 del 07/06/2017; Cass. n. 20059 del 24/09/2014; Cass. n. 25778 del 05/12/2014; Cass. n. 10414 del 12/05/2011; nello stesso senso, Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahagében e David, C-80/11 e C-142/11);
– in relazione al tema delle fatture per operazioni (solo) soggettivamente inesistenti, sorge, tuttavia, l’esigenza della tutela della buona fede del contribuente, anche in relazione alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (cfr. sentenze 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling,, C- 439/04 e C- 440/04; 21 giugno 2012, Mahagè ben e David, C- 80/11 e C- 142/11; 6 settembre 2012, Toth, C- 324/11; 6 dicembre 2012, Bonik, C- 285/11; 31 gennaio 2013, Stroy Trans, C- 642/11);
– in applicazione della citata giurisprudenza, questa Corte ha avuto occasione recentemente di affermare che spetta, in primo luogo, all’amministrazione finanziaria, la quale contesti il diritto del contribuente a portare in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da soggetto diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, provare, in base ad elementi oggettivi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto ed a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; ove l’amministrazione abbia assolto a tale onere probatorio, passa poi al contribuente l’onere di fornire la prova contraria (Cass. n. 23560 del 2012);
– deve, al riguardo, precisarsi che, quanto meno nella ipotesi – più semplice e comune – di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente di tipo triangolare, caratterizzata dalla interposizione di un soggetto italiano – fittizio – nell’acquisto di beni tra un soggetto comunitario (reale cedente) ed un altro soggetto italiano (reale acquirente), il detto onere probatorio dell’amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sé, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poiché l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente in merito all’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta; con la conseguenza che, in tal caso, sarà poi il contribuente a dover provare – ipotesi poco verosimile, ma in assoluto da non potersi escludere – di non essere stato a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri (da ult., Cass. n. 6229 del 2013); – la giurisprudenza della Corte ha evidenziato che tale onere “può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sé, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poiché l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente in merito all’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta” (Cass. n. 24426 del 2013). Una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente;
– il giudice tributario di appello ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto di cui ai richiamati arresti giurisprudenziali, posto che, sulla base di elementi, non contestati tra le parti, ha evidenziato che: – la società venditrice delle autovetture era allocata in un seminterrato di 30 m2 ; – i suoi amministratori erano coniugi “totalmente privi di arte e parte”; – gli accertamenti tributari emessi nei loro confronti non erano mai stati impugnati;
– conformemente ai criteri legali dello schema della prova presuntiva, ha quindi concluso circa l’esistenza di operazioni soggettivamente inesistenti e che il contribuente non aveva provato la sua buona fede in presenza di caratteristiche oggettive ben percepibili “agli occhi di chiunque intendesse effettivamente percepirle”, intendendo con tale locuzione richiamare l’oggettiva evidenza della situazione;
– quanto al profilo motivazionale, richiamato quanto detto in relazione all’esame del primo motivo, si osserva che la motivazione adottata supera il “minimo costituzionale” e che non assumono carattere decisivo gli esiti del giudizio penale – stante il diverso regime della prova che caratterizza il processo penale, ancorato al principio della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, ed il processo tributario, nel quale possono essere utilizzate presunzioni -, o l’assenta esistenza di una sede secondaria, di cui non vi è menzione nella sentenza impugnata, posto che, comunque, gli accertamenti relativi alla figura dei proprietari, soggetti “senza arte né parte”, che la contribuente non contesta, si riverberano anche sulla realità della c.d. sede secondaria, dai medesimi, in tesi, amministrata; non é, inoltre, necessario per giustificare l’esistenza della frode carosello che l’ufficio individui o espliciti ogni singolo passaggio del bene, essendo sufficiente che ne dia la dimostrazione relativamente al cessionario.
– Con il terzo motivo, la contribuente deduce “violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, 1 comma n. 3) c.p.c. di norme di diritto (art. 19 e 21 d.p.r. 633/72 ed art. 2033 c.c.)) e Violazione ex art. 360, 1 comma n. 3 e 5) c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”, non avendo la CTR valutato che essa, avendo versato l’Iva, aveva diritto alla detrazione dell’imposta, in difetto di che l’erario avrebbe conseguito un indebito arricchimento in assenza di danno;
– il motivo è infondato;
– venendo in rilievo l’ipotesi di fatture soggettivamente inesistenti, si osserva che la giurisprudenza consolidata di questa Corte è nel senso che l’indetraibilità dell’I.V.A. figurante sulle predette fatture costituisce conseguenza all’accertata fattuale inesistenza degli scambi, che i menzionati documenti fiscali attestano (solo) cartaceamente. In ipotesi di operazioni inesistenti, non si realizza, infatti, l’ordinario presupposto impositivo né la configurabilità stessa di un “pagamento a titolo di rivalsa” né i presupposti del diritto alla detrazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 12, comma 1; peraltro, (cfr. Cass., 12353/05, 13605/03, 7289/02, 6341/02), la previsione del menzionato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7 – se, per un verso, viene, direttamente, ad incidere sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta (pur in assenza del suo ordinario presupposto) sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolarità – per l’altro, viene, indirettamente, ad incidere anche sul destinatario della fattura, confermandone, in combinato disposto con il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, e art. 26, comma 3, la preclusione ad esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta, in assenza del relativo presupposto (acquisto o importazione di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione). In altri termini, non entrano nel conteggio del dare ed avere ai fini Iva le fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, in quanto tali fatture riguardano operazioni, per quanto lo riguarda, inesistenti, senza che rilevi che le stesse fatture costituiscano la “copertura” di prestazioni acquisite da altri soggetti (v. Cass. n. 9851/2018; n. 20060/2015).
– in conclusione il ricorso deve essere respinto, con condanna alle spese.
P.Q.M.
respinge il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità, liquidate in euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.