CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 agosto 2019, n. 21797
Tributi – IVA – Acquisto di merci con operazioni soggettivamente inesistenti – Versamento dell’imposta indicata in fattura – Esclusione della detrazione
rilevato che
l’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in epigrafe, con la quale è stato rigettato l’appello da essa proposto a seguito della cassazione con rinvio della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 65/03/2005;
Il giudice del rinvio ha premesso, in punto di fatto, che: la società contribuente aveva proposto separati ricorsi avverso l’avviso di accertamento Iva anno 1994 e accertamento Irpeg e Ilor anno 1993 con i quali si contestava l’acquisto di merci con operazioni soggettivamente inesistenti, con conseguente non deducibilità del costo per l’acquisto delle merci e non detraibilità dell’Iva; la Commissione tributaria provinciale, riuniti i ricorsi, li aveva accolti;
avverso la pronuncia del giudice di primo grado aveva proposto ricorso l’Agenzia delle entrate; la Commissione tributaria regionale aveva rigettato l’appello; avverso la pronuncia del giudice di appello aveva proposto ricorso in Cassazione l’Agenzia delle entrate; la Corte di cassazione, con sentenza n. 10680/2009, aveva cassato con rinvio la sentenza impugnata, ritenendo che gli atti di accertamento erano correttamente motivati e che non era sufficiente la valutazione operata dai giudici di appello sui fatti relativi all’interposizione soggettiva, rinviando ad altra sezione della Commissione tributaria regionale per nuovo esame di merito; a seguito della pronuncia della Corte di cassazione, l’Agenzia delle entrate aveva riassunto il giudizio in sede di rinvio;
la Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle entrate in sede di rinvio, in particolare: ha preso atto del fatto che dagli accertamenti di cui alla sentenza del giudice penale di Velletri n. 20398/2000, passata in giudicato, che aveva assolto gli imputati perché il fatto non sussiste, risultava che la società contribuente era del tutto estranea alle operazioni soggettivamente inesistenti contestate, circostanza che doveva portare a concludere per l’infondatezza della pretesa sia relativamente all’Iva che alle imposte dirette;
avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a due motivi di censura;
la società E. s.r.l. sì è costituita con controricorso;
considerato che
va preliminarmente dato atto che, nel ricorso, si dichiara espressamente che la sentenza impugnata viene fatta oggetto di censura unicamente con riguardo alla ripresa Iva contenuta nell’avviso di rettifica per l’anno 1994, prestandosi acquiescenza, invece, alla parte della decisione relativa alla pretesa in materia di imposte dirette per l’anno 1993;
pertanto, ai sensi dell’art. 329, cod. proc. civ., il thema decidendum posto all’attenzione di questa Corte è limitato solo entro il limite sopra indicato;
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., per avere, in contrasto con i limiti derivanti dalla pronuncia della Corte di cassazione, che aveva cassato con rinvio la sentenza della Commissione tributaria regionale, pronunciato sulla questione della falsità soggettiva delle operazioni nonostante la stessa doveva essere considerata definita;
con il secondo motivo si censura, in via subordinata, la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere recepito quanto deciso dalla pronuncia del giudice penale senza compiere alcuna autonoma valutazione degli elementi probatori a disposizione;
il primo motivo di ricorso è fondato;
nella citata sentenza n. 10680/2009, questa Corte aveva esaminato i motivi di ricorso che riguardavano sia la questione del diritto alla detrazione Iva che della deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette;
in particolare, con riferimento alla prima questione, in relazione al quarto motivo di censura proposto, con la citata sentenza questa Corte ha precisato che, nel caso di specie, la CTR ha accertato che la falsità delle fatture è soltanto soggettiva e, da questa precisazione, ha fatto discendere la conseguente considerazione in diritto che, in caso di operazione soggettivamente inesistente, deve essere versata la relativa imposta, ai sensi dell’art. 21 del d.P.R. n. 633/1972, non essendo consentita la detrazione dell’Iva per fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto riguardante l’operazione fatturata;
sempre in base al suddetto accertamento, ha poi precisato che deve ritenersi errata l’affermazione della sentenza impugnata, censurata con il quarto motivo d’impugnazione, secondo la quale l’accertata irregolarità soggettiva delle fatture non comporterebbe l’inesistenza delle operazioni fatturate ai fini dell’Iva, vigendo, in relazione al caso di specie ultima oggetto della presente causa, la seguente norma giuridica modellata con il contributo del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, 21, comma 7: “se viene emessa fattura per operazioni soggettivamente inesistenti, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”;
pertanto, con riferimento alla pretesa di cui all’avviso di accertamento Iva, la pronuncia di questa Corte ha definito chiaramente la questione della natura soggettivamente inesistente delle operazioni in esame, sicchè, entro questi limiti il giudice del rinvio avrebbe dovuto pronunciarsi;
né può valere, come invece sostenuto dalla società contribuente nel controricorso, la circostanza che, ove fosse stata accertata dal giudice del merito la questione in esame, la Corte di cassazione non avrebbe avuto bisogno di rinviare nuovamente al giudice del merito, sicchè il disposto rinvio sarebbe indicativo della necessità di ulteriori accertamenti di fatto sulla questione in esame;
in realtà, dall’esame della pronuncia di questa Corte si evince che l’accertamento di merito richiesto a seguito della cassazione con rinvio ha avuto riguardo all’accoglimento del quinto motivo di impugnazione, relativo alla diversa questione della deducibilità dei costi anche ove relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti;
sul punto, la Suprema Corte, con la citata pronuncia di rinvio, ha precisato che non era in contestazione dall’Amministrazione finanziaria la detraibilità, in astratto, dei costi relativi ad operazioni oggettivamente esistenti dai ricavi nella determinazione del reddito imponibile ai fini Irpeg e Ilor qualora siano documentati in fatture soggettivamente false, quanto, piuttosto, la circostanza della detraibilità ai fini delle imposte sui redditi dell’anno 1993, in quanto la CTR non aveva accertato, oltre all’esistenza oggettiva delle operazioni falsamente fatturate dal punto di vista soggettivo, a quale anno erano imputabili tali operazioni e i relativi costi e non aveva, quindi, motivato al riguardo la sua decisione, sicchè, effettivamente, la CTR non si è in alcun modo premurata di stabilire quale fosse l’anno di competenza delle operazioni, la cui esistenza oggettiva è stata accertata, con la conseguenza che si è anche falsamente applicata la norma sulla detraibilità;
pertanto, l’accertamento in fatto demandato al giudice del rinvio deve essere riguardato unicamente in relazione a quanto statuito in accoglimento del quinto motivo di censura, tanto che la Corte ha precisato che il motivo merita, dunque, di essere accolto, onde la CTR completi l’accertamento necessario per verificare se i costi esaminati siano imputabili al periodo delle imposte sui redditi del 1993;
per quanto sopra detto, il giudice del rinvio, tenuto conto della statuizione di cui alla sentenza di questa Corte sopra precisata, era tenuto a pronunciare entro i seguenti limiti: a) definire la questione della legittimità dell’avviso di accertamento Iva 1994 tenendo conto dell’accertamento della esistenza, nella fattispecie, di operazioni soggettivamente inesistenti e dei principi di diritto enunciati a tal proposito; b) procedere all’accertamento dei fatti espressi in considerazione dell’accoglimento del quinto motivo di ricorso, relativo, come detto, alla legittimità della detraibilità dei costi nell’ambito delle imposte dirette;
tenuto conto di quanto sopra precisato, è evidente che il giudice del rinvio avrebbe dovuto limitarsi, in ossequio al vincolo imposto dall’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., a svolgere unicamente gli accertamenti in fatto richiesti dal superiore punto b);
nel procedere, invece, ad una valutazione della sussistenza o meno, nel caso di specie, di operazioni soggettivamente inesistenti sulla base della pronuncia del giudice penale e, di conseguenza, ponendo in discussione la questione della detraibilità dell’Iva, il giudice del rinvio ha violato í limiti e l’oggetto del giudizio di rinvio come inderogabilmente fissati nella sentenza rescindente, che non può essere sindacata o elusa dal giudice del rinvio;
in questo contesto, va osservato che non può assumere rilevanza l’eccezione, prospettata dalla controricorrente, dell’esistenza di un giudicato esterno consistente nelle sentenze 172/01/10 e 174/01/10 depositate nello stesso giorno in cui è stata pronunciata la sentenza della Commissione tributaria regionale in esame nonché della circostanza che nel giudizio relativo all’Irpeg-Ilor 1993 era stata eccepita l’erroneità dell’ammontare della fatture su cui erano state calcolate l’Iva e le imposte dirette; va osservato, a tal proposito, che l’accertamento, ai fini del riconoscimento della detrazione Iva per l’anno 1994, della natura soggettivamente inesistente delle operazioni compiute ha costituito, come detto, questione definita con la pronuncia di questa Corte sopra citata, che aveva cassato con rinvio unicamente ai fini della verifica della diversa questione della legittimità della detraibilità dei costi nell’ambito delle imposte dirette, sicchè non è possibile prospettare, in questa sede, eventuali giudicati esterni contrari al suddetto accertamento;
l’accoglimento del primo motivo di censura comporta l’assorbimento del secondo, relativo al vizio di motivazione della sentenza;
avendo fatto parte ricorrente acquiescenza alla sentenza impugnata relativamente alla parte in cui si è ritenuto di rigettare l’appello relativo alla pretesa non legittimità della ripresa ai fini delle imposte dirette per l’anno 1993 e non essendo necessario, a seguito dell’accoglimento del primo motivo di ricorso, alcun ulteriore accertamento in fatto, la sentenza va cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 384, cod. proc. civ., rigettando il ricorso introduttivo limitatamente alla pretesa di cui all’accertamento Iva 1994;
con riferimento alla condanna alle spese di lite, sussistono giusti motivi per la compensazione delle stesse relativamente ai giudizi di merito, e, attesa la soccombenza parziale, con condanna della controricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, ridotte della metà;
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo limitatamente alla pretesa di cui all’accertamento Iva 1994, con compensazione delle spese di lite relativamente ai giudizi di merito e condanna della controricorrente al pagamento in favore della ricorrente della metà delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessive euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.
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