La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 42148 depositata il 14 ottobre 2013 intervenendo in tema di reati fiscali ha affermato che il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, in relazione al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’articolo 11 D.Lgs. n. 74 del 2000, può riguardare anche il diritto di usufrutto del terzo estraneo al reato ove il diritto stesso derivi da un atto simulato.
La Vicenda ha riguardato alcuni imprenditori accusati del reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 11 del d.lgs. n. 74 del 2000 che al fine di sottrarre al pagamento delle sanzioni amministrative relative all’evasione di imposte sui redditi e sul valore aggiunto per circa 1.000.000 di euro, effettuavano un’alienazione simulata di una metà in divisa di un fabbricato al prezzo di euro 167.500.
Il Tribunale del riesame, a cui si erano rivolti dopo il provvedimento del Gip, aveva con ordinanza confermato il provvedimento di sequestro per equivalente.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione M.G., in qualità di terzo non indagato, legale rappresentante della società titolare del diritto di usufrutto sugli immobili sequestrati, dati in locazione ad altri due soggetti anch’essi estranei al procedimento penale, lamentando che il decreto di sequestro era stato eseguito nei suoi confronti, con attribuzione al custode giudiziario del compito di riscuotere gli affitti dei due immobili. Il Tribunale avrebbe ritenuto che la ricorrente non era estranea alla commissione dei reati oggetto di contestazione, tanto da affermare che la stessa avrebbe dovuto essere iscritta nel registro degli indagati.
La decisione del Tribunale del riesame è stata ritenuta, dai giudici del Palazzaccio, legittima e pertanto hanno confermato il provvedimento di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, sui beni immobili riconducibili ad alcuni imprenditori, in relazione al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Gli Ermellini hanno ritenuto corretta la ricostruzione del Tribunale del riesame. Infatti, per i giudici, la società era in realtà un mero “schermo” perché l’usufrutto a favore della stessa sui beni oggetto di sequestro aveva carattere simulato. I giudici della Corte Suprema hanno osservato che “oggetto del sequestro non è il diritto di usufrutto della stessa ricorrente, così come presupposto del sequestro non è il comportamento delittuoso ipotizzato a suo carico. La ricostruzione dei fatti eseguita dal Tribunale ha, infatti, il solo scopo di evidenziare che, essendo l’usufrutto a favore della ricorrente simulato, gli indagati, soggetti diversi dalla stessa ricorrente, che potrà al più essere indagata per gli stessi reati in un nuovo procedimento, hanno di fatto mantenuto la disponibilità dei beni e che pertanto questi beni possono essere sottoposti a sequestro per equivalente ai sensi dell’articolo 322 ter cod. pen.”.
La costante giurisprudenza della Cassazione ha statuito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto per un valore corrispondente al prezzo o al profitto del reato sui beni di cui l’indagato abbia la “disponibilità”, quindi non solo sul denaro o sui cespiti di cui il soggetto sia formalmente titolare, ma anche su quelli rispetto ai quali egli possa vantare una disponibilità informale ma diretta e oggettiva. Il concetto di disponibilità evincibile dal primo comma dell’articolo 322-ter c.p. esprime un potere di fatto sul bene che può sussistere prescindendo dalla titolarità della sua proprietà, cioè da un potere di diritto, in accordo con i principi generali che scindono la titolarità del diritto dal suo contenuto, riconoscendo che di quest’ultimo può fruire un soggetto diverso dal titolare del diritto (esempio tipico è la dicotomia tra proprietà – possesso). Si deve perciò riconoscere che la disponibilità può coesistere con la titolarità in capo ad altri del diritto avente a oggetto il bene e che comunque la disponibilità prescinde come potere di fatto dalla “facies” formale dei diritti sui beni (Cass. Sez. III pen. n. 10580 del 2013). Detto in altri termini, la definizione di disponibilità dell’indagato, al pari della nozione civilistica del possesso, è riferibile a tutte quelle situazioni nelle quali i beni ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi (Cass. Sez. III pen. n. 15210 del 2012).
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