Agenzia delle Entrate – Risposta n. 555 del 8 novembre 2022
Fusione riorganizzativa per incorporazione di enti religiosi
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
QUESITO
L’istante, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, iscritto al Registro delle Persone Giuridiche tenuto presso la Prefettura, rappresenta di far parte di una complessa struttura religiosa (di seguito, “Congregazione“), ente ecclesiastico di diritto pontificio civilmente riconosciuto.
L’istante precisa che detta “Congregazione”, al cui vertice è il “Rettor Maggiore ” con il Consiglio, è suddivisa in “circoscrizioni giuridiche” (tra le quali si annovera l’ente istante medesimo) “che riuniscono le diverse comunità locali in un’unica comunità più vasta” (ad esempio, Nord Est) e che ciascuna comunità locale è composta da confratelli che abitano in una “Casa (religiosa) legittimamente eretta e fanno in essa vita comune in unità di spirito”.
In particolare, in ordine alla configurazione della struttura della “Congregazione ” sul territorio della Repubblica Italiana, l’istante evidenzia che “ogni Casa religiosa … è un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, che … dipende da un altro ente ecclesiastico civilmente riconosciuto [la circoscrizione giuridica] che, a sua volta, dipende gerarchicamente dall’ente ecclesiastico di diritto pontificio civilisticamente riconosciuto [ovvero la “Congregazione“]”.
Inoltre, “Ciascun ente ecclesiastico civilmente riconosciuto è un soggetto giuridico speciale ed unico poiché – nel medesimo tempo – è pienamente inserito sia nell’ordinamento canonico che in quello civile, conservando però le proprie prerogative canoniche”.
La scelta di erigere o sopprimere le “circoscrizioni giuridiche” spetta al “Rettor Maggiore” con il consenso del Consiglio, così come l’apertura o la chiusura di Case religiose.
Ciò posto, l’istante rappresenta che “la crescente minor presenza di … professi – perpetui e/o temporanei – richiede sempre più di frequente una riorganizzazione degli enti in cui si svolge il loro servizio educativo e pastorale” e, per tale ragione, si trova a dover incorporare due enti ecclesiastici civilmente riconosciuti che operano nel territorio di competenza.
L’istante precisa, inoltre, che negli enti ecclesiastici interessati dalla operazione di fusione sono rinvenibili sia “attività di religione e di culto“, sia “attività diverse” e che i beni, come accade in caso di estinzione di un soggetto giuridico canonico, rimangano comunque destinati ad una delle attività di cui al paragrafo 2 del canone 1254, riservando al Vescovo o al Superiore degli istituti di vita consacrata (nel caso in esame, al Rettor Maggiore) la scelta puntuale del soggetto che li deve ricevere.
Inoltre, l’istante precisa di qualificarsi ente non commerciale ai sensi degli articoli 73, comma 1, lettera c) e 149 del TUIR.
Chiede, quindi, di conoscere il trattamento riservato dalla legislazione fiscale italiana all’ipotesi della “fusione per incorporazione” dei due enti ecclesiastici da parte dell’istante, ai fini delle imposte sul reddito, dell’IVA e dell’imposta di registro.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
L’istante rappresenta che, dal punto di vista civilistico, la descritta operazione di fusione per incorporazione si colloca nella previsione dell’articolo 42-bis del codice civile, inserito dall’articolo 98 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (rubricato ” Trasformazione, fusione e scissione“), secondo cui “Se non è espressamente escluso dall’atto costitutivo o dallo statuto, le associazioni riconosciute e non riconosciute e le fondazioni di cui al presente titolo possono operare reciproche trasformazioni, fusioni o scissioni. (…)
Alle fusioni e alle scissioni si applicano, rispettivamente, le disposizioni di cui alle sezioni II e III del capo X, titolo V, libro V, in quanto compatibili.
Gli atti relativi alle trasformazioni, alle fusioni e alle scissioni per i quali il libro V prevede l’iscrizione nel Registro delle imprese sono iscritti nel Registro delle Persone Giuridiche ovvero, nel caso di enti del Terzo settore, nel Registro unico nazionale del Terzo settore”.
Ciò posto, l’istante ritiene che, ai fini fiscali, la descritta operazione di fusione per incorporazione non configuri un’operazione “realizzativa”, posto che i beni appartenenti agli enti che si estingueranno:
- se non rientranti nel regime di impresa, confluiranno nel novero dei beni dell’ente incorporante che non rientrano nel regime d’impresa. Ne consegue, che l’operazione così descritta sarà estranea al regime di impresa e da essa non emergerà alcuna fattispecie rilevante ai sensi dell’articolo 9 del TUIR;
- se rientranti nel regime di impresa (e, come tali, indicati nell’inventario, ai sensi dell’articolo 144, comma 3, del TUIR), confluiranno nel novero dei beni dell’ente incorporante che rientrano nel regime d’impresa, con conseguente applicazione, in via analogica, dell’articolo 172, comma 1, del TUIR e, quindi, la neutralità fiscale di detta operazione straordinaria.
Ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, l’istante ritiene applicabile l’articolo 2, comma 3, lettera f) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, secondo cui non sono assoggettati ad IVA i passaggi di beni posti in essere a seguito di fusione. Per quanto riguarda l’imposta di registro, l’istante ritiene applicabile all’operazione descritta il regime agevolativo introdotto dall’articolo 1, comma 737, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014) per i trasferimenti gratuiti di beni di qualsiasi natura, effettuati nell’ambito di operazioni di riorganizzazione tra enti appartenenti per legge, regolamento o statuto alla medesima struttura organizzativa politica, sindacale, di categoria, religiosa, assistenziale o culturale, ovvero le imposte di registro ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro ciascuna.
A tale regime agevolativo, si aggiunge poi l’applicazione alle operazioni di fusione dell’imposta di registro in misura fissa di cui all’articolo 4, comma 1, lettera b) della Tariffa, Parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
Detta previsione, subordinata alla condizione che le operazioni di fusione avvengano tra società od enti “aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale o agricola”, riguarderà l’ambito “commerciale” dei due enti ecclesiastici oggetto di incorporazione.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
In via preliminare, si precisa che non costituisce oggetto di interpello l’esame ed il riscontro dei profili civilistici correlati all’operazione descritta nella presente istanza.
Ciò posto, si osserva quanto segue.
L’Accordo tra Repubblica italiana e Santa Sede del 17 febbraio 1984, ratificato con la legge del 25 marzo 1985, n. 121 (di seguito “Accordo”), all’articolo 7 prevede che “Ferma restando la personalità giuridica degli enti ecclesiastici che ne sono attualmente provvisti, la Repubblica italiana, su domanda dell’autorità ecclesiastica o con il suo assenso, continuerà a riconoscere la personalità giuridica degli enti ecclesiastici aventi sede in Italia, eretti o approvati secondo le norme del diritto canonico, i quali abbiano finalità di religione o di culto. Analogamente si procederà per il riconoscimento agli effetti civili di ogni mutamento sostanziale degli enti medesimi“.
La successiva legge del 20 maggio 1985, n. 222 stabilisce che “Gli enti costituiti o approvati dall’autorità ecclesiastica, aventi sede in Italia, i quali abbiano fine di religione o di culto, possono essere riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili con decreto del Presidente della Repubblica, udito il parere del Consiglio di Stato” (cfr. articolo 4). Inoltre, “Gli enti ecclesiastici che hanno la personalità giuridica nell’ordinamento dello Stato assumono la qualifica di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti“.
Per quanto riguarda gli aspetti tributari occorre far riferimento al comma 3 dell’articolo 7 del citato Accordo secondo cui “Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione. Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime”.
Da un punto di vista fiscale, l’operazione di fusione è disciplinata dall’art.172 del TUIR il cui comma 1 prevede che “La fusione tra più società non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni delle società fuse o incorporate, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento”.
Il successivo articolo 174, inoltre, stabilisce che “le disposizioni degli articoli 172 e 173 valgono, in quanto applicabili, anche nei casi di fusione e scissione di enti diversi dalle società”.
In relazione all’operazione di fusione che coinvolga enti ecclesiastici sono stati forniti chiarimenti con la risoluzione 15 aprile 2008, n. 152/E.
In tale sede, è stato precisato, in via generale, che la disciplina delle operazioni straordinarie contenuta nelle richiamate disposizioni del TUIR “è basata sul presupposto che le società o gli enti interessati dall’operazione producano reddito d’impresa derivante dall’esercizio di imprese commerciali, disciplinato dal capo VI del titolo I del TUIR per le società personali commerciali e dalle disposizioni del titolo II per le società e gli enti soggetti ad IRES“. In altri termini, il principio di neutralità delle fusioni e delle scissioni, in base al quale il passaggio dei beni dalle società o dagli enti preesistenti al soggetto risultante dalla suddetta operazione non dà luogo a fenomeni realizzativi, “implica un sistema di rilevazione dei valori che è tipico della tassazione dell’imponibile fiscale in base al bilancio e che è proprio delle società che svolgono attività commerciale“.
Con particolare riguardo all’operazione di fusione che coinvolge enti ecclesiastici, nel documento di prassi è stato chiarito che ai fini una valutazione degli effetti fiscali occorre distinguere se i beni che “passano” da un ente all’altro siano o meno relativi ad un’attività d’impresa.
In concreto, una tale operazione di fusione non è da considerare “realizzativa” e può, quindi, beneficiare della neutralità fiscale ai sensi dell’articolo 172, comma 1, del TUIR, limitatamente ai beni gestiti dall’ente incorporato in regime di impresa (e, pertanto, indicati nell’inventario, ai sensi dell’articolo 144, comma 3, del TUIR) che, dopo la fusione, confluiscano nell’attività d’impresa dell’ente incorporante.
Qualora, invece, detti beni non confluiscano in un’attività d’impresa dell’ente incorporante, gli stessi si considerano realizzati a valore normale – in analogia a quanto disposto dall’articolo 171, comma 1 del TUIR in materia di trasformazione eterogenea – generando plusvalenze imponibili a causa della loro destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.
La citata risoluzione n. 152/E del 2008 ha chiarito, altresì, che anche per i beni relativi all’attività istituzionale dell’ente incorporato occorre distinguere a seconda dell’attività in cui gli stessi confluiscono in conseguenza dell’operazione di fusione.
In relazione ai beni non relativi ad impresa che confluiscono nell’impresa, trova applicazione in via analogica l’articolo 171, comma 2 del TUIR che, in caso di trasformazione da ente non commerciale in società commerciale, rinvia alla disciplina del conferimento per i beni non ricompresi nell’azienda o nel complesso aziendale dell’ente stesso. Come evidenziato nel documento di prassi, l’assimilazione del conferimento alla cessione a titolo oneroso, rilevante ai fini delle imposte sui redditi ai sensi dell’articolo 9 del TUIR, “comporta che i beni in ipotesi, qualora confluiscano nella sfera “commerciale” dell’ente incorporante, devono intendersi realizzati in base al valore normale, generando in capo all’ente incorporato, sempre che ne sussistano i presupposti, una plusvalenza imponibile ai sensi degli articoli 67 e 68 del Tuir“.
La medesima risoluzione precisa, infine, nella diversa “ipotesi di beni non relativi all’impresa che confluiscono nell’attività istituzionale dell’incorporante, l’operazione sarà fuori dal regime d’impresa“.
Nel caso di specie, l’istante, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, rappresenta che procederà ad incorporare due enti ecclesiastici civilmente riconosciuti appartenenti alla medesima struttura religiosa (“Congregazione“) e che detta fusione verrà realizzata mantenendo in capo all’ente incorporante la destinazione originaria dei beni all’attività istituzionale o commerciale, come già rinvenibile in capo agli enti incorporati, in sostanza “aggregando” rispettivamente, le attività istituzionali con i relativi patrimoni e le attività commerciali con i relativi patrimoni.
Alla luce di quanto sopra esposto, pertanto, si ritiene che relativamente ai beni in regime di impresa che confluiranno nel novero dei beni dell’ente incorporante in regime d’impresa, la fusione potrà avvenire in neutralità fiscale, ai sensi degli articoli 172 e 174 del TUIR.
Con riguardo, invece, ai beni non rientrati nel regime di impresa che permarranno nel contesto dell’attività istituzionale, occorre esaminare se con l’operazione di fusione in esame si realizzano le ipotesi di tassazione delle plusvalenze a titolo di redditi diversi, ai sensi dell’articolo 67 del TUIR.
Al riguardo, visti gli effetti evolutivo-modificativi ed esitintivo-successori propri dell’operazione di fusione (cfr. Cass. Sez. Un. 8 febbraio 2006 n. 2637; Cass. Sez. Un. 30 luglio 2021 n. 21970; Cass. ordinanza 27 settembre 2022, n. 28269), si ritiene che l’operazione di fusione prospettata determini un passaggio di beni dagli enti incorporati all’ente incorporante che non produce l’emersione di fattispecie “realizzative” ai sensi del richiamato articolo 67 del TUIR.
Per quanto riguarda le imposte indirette, i passaggi di beni nell’ambito dell’operazione rappresentata non sono soggetti ad IVA, ai sensi dell’articolo 2, terzo comma, lettera f), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, secondo cui non costituiscono cessioni di beni “i passaggi di beni in dipendenza di fusioni, scissioni o trasformazioni di società e di analoghe operazioni poste in essere da altri enti“.
Ne consegue che, in virtù del principio di alternatività IVA/registro recato dall’articolo 40 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, trova applicazione l’imposta di registro.
Al riguardo, si ritiene applicabile l’articolo 1, comma 737, della citata legge n. 147 del 2013, secondo cui «Agli atti aventi ad oggetto trasferimenti gratuiti di beni di qualsiasi natura, effettuati nell’ambito di operazioni di riorganizzazione tra enti appartenenti per legge, regolamento o statuto alla medesima struttura organizzativa politica, sindacale, di categoria, religiosa, assistenziale o culturale, si applicano, se dovute, le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro ciascuna”.
Con circolare 2 febbraio 2014, n. 2/E (par. 9.5) è stato precisato che “la disposizione in commento introduce un regime agevolativo, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale per gli atti di trasferimento di beni a titolo gratuito di qualsiasi natura (beni immobili, titoli, ecc.), posti in essere nell’ambito di operazioni di riorganizzazione di enti appartenenti per legge alla medesima struttura organizzativa politica, sindacale, di categoria, religiosa, assistenziale o culturale. Tali atti sono soggetti all’imposta di registro nella misura fissa di euro 200 e, qualora rechino il trasferimento a titolo gratuito di beni immobili, scontano le imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di euro 200″.
Come chiarito nella risposta ad interpello pubblicata n. 279 del 27 luglio 2020, ai fini dell’applicabilità della citata norma di favore è necessario che il trasferimento dei beni:
- avvenga a titolo gratuito;
- venga effettuato nell’ambito di una operazione di riorganizzazione;
- si realizzi tra enti che appartengono per legge, regolamento o statuto, alla medesima struttura organizzativa politica, sindacale, di categoria, religiosa, assistenziale o culturale.
Le predette condizioni sussistono anche nel caso di specie, tenuto conto che il trasferimento dei beni avviene nell’ambito della descritta operazione di fusione tra i enti religiosi appartenenti alla medesima struttura organizzativa (“Congregazione“), secondo quanto stabilito dalle disposizioni contenute nelle norme dell’ordinamento di riferimento.
Non è applicabile al caso di specie, invece, la disposizione di cui all’articolo 4, comma 1, lettera b) della Tariffa, Parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, essendo detta previsione, subordinata alla condizione che le operazioni di fusione avvengano tra società od enti “aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale o agricola” (cfr. risoluzione n. 152/E del 2008).
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