La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 6782 depositata il 14 marzo 2024, intervenendo in tema erogazione dell’indennità sostitutiva del preavviso, ha stabilito il seguente principio di diritto secondo cui “… in tema di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la rinuncia del datore di lavoro al periodo di preavviso, a fronte delle dimissioni del lavoratore, non fa sorgere il diritto di quest’ultimo al conseguimento dell’indennità sostitutiva, attesa la natura obbligatoria del preavviso, dovendo peraltro escludersi che alla libera rinunziabilità del preavviso possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori in contrasto con la disciplina delle fonti delle obbligazioni di cui all’art. 1173 c.c., in epoca successiva alla sentenza impugnata giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio; …”
La vicenda ha riguardato una lavoratrice di una società, la quale si era dimessa con preavviso ma in concreto non lavorato avendovi il datore di lavoro non recedente espressamente rinunciato. La dipendente adiva al Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, al fine di vedersi riconoscere l’indennità sostitutiva del preavviso. I giudici di prime cure accolsero le doglianze della dipendente condannando il datore di lavoro a pagare il preavviso. Avvero la decisione del Tribunale il datore di lavoro propose appello. La Corte Territoriale respinse l’appello della società ritenendo che il datore di lavoro, a fronte di dimissioni con preavviso, si trovi in una posizione di soggezione rispetto al diritto potestativo del lavoratore dimissionario di scegliere tra la cessazione immediata del rapporto oppure la prosecuzione dello stesso per la durata del preavviso; che, attesa la natura obbligatoria e non reale del preavviso, nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva, a meno che la stessa parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendosi l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso. La società, datrice di lavoro, avverso la decisione di appello propose ricorso in cassazione fondato su due motivi.
I giudici di legittimità accolgono il primo motivo ed assorbito il secondo.
I giudici di piazza Cavour precisano che “… l‘istituto del preavviso, comune alla maggior parte dei contratti di durata a tempo indeterminato (si veda, ad es., l’art. 1569 c.c. per il contratto di somministrazione, l’art. 1750 c.c. per il contratto di agenzia, l’art. 1833 c.c. per il contratto di conto corrente), adempie alla funzione economica di attenuare per la parte che subisce il recesso – che è atto unilaterale recettizio di esercizio di un diritto potestativo – le conseguenze pregiudizievoli della cessazione del contratto; …”
Gli Ermellini ritengono che “… costituisce comune affermazione che in tema di rapporto di lavoro a tempo indeterminato l’istituto del recesso – disciplinato dall’art. 2118 c.c.- adempie a una funzione destinata a variare in funzione della considerazione della parte non recedente; in caso di licenziamento si ritiene che il preavviso abbia la funzione di garantire al lavoratore la continuità della percezione della retribuzione in un certo lasso di tempo al fine di consentirgli il reperimento di una nuova occupazione; in caso di dimissioni del lavoratore il preavviso ha la finalità di assicurare al datore di lavoro il tempo necessario ad operare la sostituzione del lavoratore recedente;
(…)
il tema della rinunziabilità del periodo di preavviso da parte del soggetto non recedente e delle conseguenze giuridiche di tale rinunzia è strettamente connesso e condizionato dalla soluzione che si intende dare alla questione circa l’efficacia reale o obbligatoria del preavviso; …”
Il Supremo consesso ha precisato che giurisprudenza di legittimità “… a partire da Cass. n. 11740/2007, è pervenuta al superamento della tesi della natura reale del preavviso, ritenendo che, alla stregua di una interpretazione letterale e logico-sistematica dell’art. 2118 c.c., nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale (implicante, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine), ma ha efficacia obbligatoria, con la conseguenza che, nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso (nel senso dell’efficacia obbligatoria del preavviso si vedano Cass. n. 21216/2009, n. 13959/2009, n. 22443/2010, n. 27294/2018); …”
Inoltre la sentenza in commento ha precisato che “… la libera rinunziabilità del preavviso esclude che a essa possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori in contrasto con le fonti dell’obbligazioni indicate nell’art. 1173 c.c. …”