La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 40793 depositata il 4 ottobre 2019 intervenendo in tema di provvedimenti cautelari reali ha ribadito che “il riferimento al semplice raggiungimento dell’accordo come fattore giuridicamente rilevante, va inteso non nel senso che di per sé esso è ostativo alla successiva confisca, ma nel senso che esso è semplicemente tale da comportare la quantificazione nella misura concordata, sulla base sostanzialmente negoziale definita fra contribuente ed Agenzia, dell’eventuale profitto scaturito dall’avvenuta commissione del reato.”
Inoltre, i giudici di legittimità hanno puntualizzato che nella determinazione della quantificazione del valore sequestrabile “vanno computate anche le sanzioni e gli interessi che il contribuente moroso è tenuto a versare all’Erario, costituendo tale fattori, non un costo per il contribuente […] ma un elemento integrante il profitto […] che è costituito in qualsivoglia risparmio di spesa derivante dal mancato pagamento delle imposte e degli altri debiti accessori, ivi compresi anche quelli relativi agli interessi nel frattempo maturati ed alle sanzioni irrogate”
Nella sentenza in commento, i giudici del palazzaccio, evidenziano come “la previsione di cui all’art. 12-bis, comma 2, del dlgs n. 74 del 2000, introdotta dal dlgs n. 158 del 2015, secondo la quale, anche in caso di condanna o di applicazione della pena concordata, la confisca, diretta o per equivalente, “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”, si riferisce alle assunzioni d’impegno nei termini riconosciuti e ammessi dalla legislazione tributaria di settore, ivi compresi gli accertamenti con adesione, le conciliazioni giudiziali, le transazioni fiscali ovvero l’attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda “
Gli Ermellini ribadiscono che “la finalità del sequestro preventivo può anche essere quella di assicurare l’effettività della successiva, possibile, confisca, risulta allora evidente che, fintanto che la predetta obbligazione del contribuente indagato non sia stata integralmente eseguita è, in linea di principio, adottabile un provvedimento del tipo di quello ora impugnato.
In tale senso, peraltro, milita anche il dato testuale, contenuto nella norma invocata dai ricorrenti, ove in essa si legge che “la confisca non opera (…) anche in presenza di sequestro”, senza che il legislatore abbia provveduto a chiarire, come sarebbe stato logico ritenere ove l’accordo intervenuto fra contribuente ed Erario avesse avuto, così come, invece, ritenuto dal ricorrenti, effetti preclusivi anche sul mantenimento del sequestro in corso, che esso andava, in tali evenienze, revocato.”
Pertanto la norma in questione non costituisce ostacolo all’adozione del provvedimento cautelare di sequestro prodromico all’eventuale successiva confisca, posto che, come visto, questa non è esclusa in radice, ma solo in caso di adempimento da parte del contribuente dell’obbligazione tributaria su di lui gravante.
Infine, spiegano i giudici di legittimità, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa può essere parzialmente revocato nelle ipotesi di avvenuta rateizzazione del debito tributario. In tal caso il contribuente deve produrre una istanza al PM, previa dimostrazione del quantum corrisposto per i ratei di imposta al netto di interessi e sanzioni, mentre non può essere domandata, in difetto di tali indicazioni, al Tribunale del riesame o dell’appello cautelare, essendo tale organo sprovvisto di poteri istruttori; esso, quindi, salvi i casi di immediata soluzione sulla base degli atti, non è in condizione di dirimere le questioni contabili derivanti dal pagamento parziale.
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