La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 12058 depositata il 14 aprile 2020 intervenendo in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per reati tributari ha affermato che “in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, la natura fungibile del denaro non consente la confisca diretta delle somme depositate su conto corrente bancario del reo, ove si abbia la prova che le stesse non possono in alcun modo derivare dal reato e costituiscano, pertanto, profitto dell’illecito”

La vicenda ha riguardato il legale rappresentante di una società a responsabilità limitata a cui venivano notificati due provvedimenti di sequestro preventivi in relazione al reato di cui all’art. 10-quater d.lgs. 74/2000. Avverso i due provvedimenti l’imputato presentava due istanze di revoca al GIP, il quale con ordinanza ne disponeva il rigetto. Avverso la decisione del GIP l’impugnava inanzi al Tribunale del riesame che con ordinanza respinse l’appello. L’imputato, qualificandosi terzo estraneo, propone ricorso per cassazione fondato su due motivi.

Gli Ermellini accolgono il ricorso dell’imputato chiarendo che “è illegittima l’apprensione diretta delle somme di denaro entrate nel patrimonio del reo in base ad un titolo lecito, ovvero in relazione ad un credito sorto dopo la commissione del reato, che non risultino allo stesso collegate, neppure indirettamente.”

Per cui  “ai fini della confisca diretta delle somme sequestrate sul conto corrente bancario dell’imputato, la natura fungibile del denaro non è sufficiente per qualificare come “profitto” del reato l’oggetto del sequestro, essendo necessario anche provare che la disponibilità delle somme, successivamente sequestrate, costituisca un risparmio di spesa conseguito con il mancato versamento dell’imposta, precisando che, per accertare se il denaro costituisce profitto del reato tributario, e, cioè, un risparmio di spesa aggredibile in via diretta, è necessario avere riguardo non all’identità fisica delle somme, ma al valore numerano delle disponibilità giacenti sul conto dell’imputato alla scadenza del termine per il versamento dell’imposta, mentre il denaro versato successivamente a detto termine, che fosse stato sequestrato, non può essere ritenuto “profitto” del reato, ma rappresenta un’unità di misura equivalente al debito fiscale scaduto e non onorato, confiscabile se ricorrono i presupposti per la confisca per equivalente” 

Inoltre, i giudici del palazzaccio, hanno precisato che “in tema di omesso versamento di ritenute operate quale sostituto di imposta, che il profitto del reato consiste nel corrispondente risparmio di spesa ed, in particolare, nelle disponibilità liquide giacenti sui conti del contribuente alla data di scadenza del termine per il pagamento e non versate, con la conseguenza che il sequestro, per essere qualificato come finalizzato alla confisca diretta del danaro costituente il profitto del reato omissivo, non può mai essere disposto, né essere eseguito, per importi comunque superiori ai saldi attivi giacenti sui conti bancari e/o postali di cui il contribuente disponeva alla scadenza del termine per il pagamento, né su somme di danaro acquisite successivamente alla consumazione del reato”.