La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 5168 depositata il 27 febbraio 2024, intervenendo in tema validità del contratto di lavoro instaurato su false attestazioni, ha statuito che “… la salvaguardia rispetto alla eventuale nullità del contratto, ai sensi dell’art. 2126 cod. civ., non è assoluta, ma riguarda solo i periodi in cui il rapporto ha avuto materiale esecuzione e concerne gli effetti retributivi o comunque strettamente consequenziali alla prestazione del lavoro (v. per l’indennità sostitutiva delle ferie Cass. n. 15880/2002 ed invece, v., per le prestazioni previdenziali, quanto ritenuto da Cass. n. 10192/1996)…”
La vicenda ha riguardato un dipendente pubblico, il quale adito all’autorità giudiziaria affinché accertasse il proprio diritto alla differenza di retribuzione in virtù del proprio inquadramento e quella percepita durante il periodo di assegnazione ad un diverso incarico in conseguenza dell’adozione di una misura cautelare. Il Tribunale adito accoglieva la sua richiesta ed otteneva anche il decreto ingiuntivo. La Regione, avverso tale provvedimento proponeva opposizione. Il Tribunale accoglieva l’opposizione al decreto ingiuntivo della Regione, ritenendo che la retribuzione dovesse parametrarsi all’incarico concretamente svolto. Il lavoratore avverso tale decisione proponeva appello. La Corte Territoriale andando in diverso avviso, accoglieva l’appello, ritenendo in primis che l’art. 3 legge n. 97 del 2001, pur venuta meno la cd. pregiudizialità penale, potesse trovare applicazione nei limitati casi in cui, a norma dell’art. 55 ter comma 1 d.lgs. n. 165/2001, l’amministrazione decidesse per la complessità degli accertamenti di sospendere il procedimento disciplinare. La Regione, datrice di lavoro, avverso la sentenza di appello proponeva ricorso in cassazione fondato su tre motivi. In particolare per non avere la pronuncia preso in esame la circostanza costituita dall’accertamento della falsa dichiarazione, da parte del dipendente, del possesso del titolo di laurea, necessario per coprire incarichi dirigenziali.
I giudici di legittimità accolgono il primo motivo del ricorso ritenendo, in base al costante orientamento della Corte, che “… le preclusioni rispetto all’introduzione in causa di nuovi fatti, sia pure a fondamento dell’eccezione di nullità, per quanto in linea teorica sussistente (Cass. n. 36353/2021), venga meno allorquando la conoscenza dei fatti che sostanziano tale eccezione sia sopravvenuta rispetto alla pronuncia di primo grado e ciò in lineare applicazione del principio generale di cui all’art. 153, comma 2, cod. proc. civ.; …”
Inoltre per il Supremo consesso, in ordine alle autocertificazioni. ha ribadito che “… è indubbio che la P. A., a fronte di un’autocertificazione, possa in qualsiasi momento attivarsi per controllare la conformità al vero di essa, provvedendo ad adottare, in caso di accertata non veridicità, le conseguenti misure nei riguardi dell’interessato (v. art. 71 d.p.r. 445/2020);
(…) tuttavia, è altrettanto indubbio che l’intero sistema delle autocertificazioni si basa su una presunzione di veridicità di esse che non consente di affermare che la già menzionata possibilità di controllo in capo alla P.A. sia equiparabile alla concreta conoscenza ab initio delle non veridicità successivamente emerse; …”
Pertanto i giudici di piazza Cavour hanno cassato, con rinvio, la sentenza impugnata disponendo che sia preliminarmente valutata la questione, della falsa dichiarazione del dipendente sul possesso del titolo di studio, sulla validità o meno del contratto inter partes; dovrà essere parimenti valutato in sede di rinvio, qualora sia ritenuta la nullità del contratto, se ricorrano o meno profili di controeccezione, ex art. 2126 cod. civ., rispetto alla portata invalidante di essa.
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