La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 26464 depositata il 13 settembre 2023, intervenendo in tema di responsabilità professionale di un legale, ha ribadito che il cliente di un avvocato deve essere risarcito nel caso in cui il legale incaricato di redigere il ricorso in cassazione lo stesso non sia stato accolto in quanto dichiarato inammissibile per l’inosservanza dei requisiti di contenuto-forma: nell’atto non risultano specificati quesiti di diritto in alcuni motivi, mentre secondo la consulenza tecnica d’ufficio l’impugnazione proposta nella controversia tributaria poteva essere accolta, se fosse stata ammissibile.
Il legale aveva eccepito che con l’entrata in vigore dell’articolo 366 bis c.p.c. sul ricorso di legittimità, la responsabilità dell’avvocato si sarebbe dovuta misurare sull’ipotesi di questioni di speciali difficoltà, applicando l’articolo 2236 c.c.
La vicenda ha riguardato una società di capitale, che gestiva un campeggio, a cui era stato notificato un avviso di accertamento per la TARSU. La società aveva impugnato tale atto impositivo con ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria sia in primo che i secondo grado sulla circostanza che il Comune aveva errato nella determinazione della superfice tassabile. I giudici di appello avevano rigettato il ricorso. Pertanto la società, affidandosi all’avvocato, aveva proposto ricorso in cassazione. Gli Ermellini avevano dichiarato inammissibile. La società cita in giudizio il legale per ottenere il risarcimento del danno subito. Il Tribunale adito escludeva la responsabilità del legale sul rilievo che la norma “incriminata” è stata abrogata a tre anni dall’entrata in vigore in quanto redatta con una discutibile tecnica normativa, aggravata da «posizioni formalistiche» assunte dalla Cassazione. La società adiva, avverso la decisione dei giudici di prime cure, alla Corte di Appello. I giudici di appello riformavano la decisione impugnata sulla considerazione che ad un cassazionista con vent’anni di esperienza devono essere noti «i requisiti sostanziali, fondamentali e ulteriori» per la redazione dell’atto a oltre un anno dall’entrata in vigore.
Il legale impugnava la decisione dei giudici territoriali con ricorso in cassazione sulla base che ai fini della valutazione del grado della colpa avrebbe dovuto trovare applicazione l’articolo 2232 c.c. relativo alla diligenza qualificata propria del professionista posto di fronte alla soluzione di questioni di particolare difficoltà e non, invece, l’articolo 1176 c.c. riguardante la diligenza ordinaria.
Gli Ermellini hanno ritenuto le doglianze del legale inammissibili perché trattasi di questioni di mero fatto.
Pertanto divenuta definitiva la sentenza di condanna dell’avvocato lo stesso deve risarcire la somma pari alla differenza fra la somma portata dagli atti impositivi impugnati e quella dovuta in corrispondenza alla superficie rettificata.
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