La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 27128 depositata il 4 dicembre 2013 intervenendo in tema di licenziamento ha statuito che in tema di rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, tutte le fasi del procedimento disciplinare sono svolte esclusivamente dall’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, che è competente anche per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari, ai sensi dell’art. 55, D.Lgs. n. 165/2001. Tale principio trova applicazione anche con riferimento alla dirigenza medica. Di conseguenza il procedimento instaurato da soggetto diverso da tale organo è illegittimo e la conseguente sanzione irrogata sarà affetta da nullità.
Nel caso di violazioni disciplinari, la qualifica di dirigente non esonera l’amministrazione pubblica, in questo caso una azienda ospedaliera, al rispetto delle procedure valide per tutti gli altri dipendenti. Ogni provvedimento, eccetto il rimprovero verbale e la censura, deve dunque essere comminato dall’Ucpd (Ufficio competente per i procedimenti disciplinari).
La vicenda ha riguardato un dirigente medico, il quale dopo aver presentato la richiesta, respinta, di aspettativa per sei mesi si era assentato ugualmente dal lavoro accettando un incarico a tempo determinato presso una struttura sanitaria privata. Dopo un primo invito a riprendere l’attività lavorativa rimasto disatteso ed a cui il medico rispondeva con raccomandata giustificando la domanda per i motivi di studio e aggiornamento scientifico specificati. L’Ospedale gli comunicava il diniego della sua richiesta e comunicava una contestazione dell’addebito, con invito a comparire per l’8-8-2005 per rispondere di “assenza dal lavoro nonostante il diniego dell’aspettativa. La risposta del dirigente fu inviata in ritardo. Alla conclusione della procedura disciplinare gli fù comunicato la sanzione del licenziamento.
Il dirigente impugnava il procedimento il provvedimento inanzi al Tribunale, in veste di giudice di lavoro, che in parziale accoglimento del ricorso proposto nei confronti dell’Azienda Ospedaliera, dichiarava l’illegittimità del licenziamento da quest’ultima intimato e condannava la convenuta al pagamento in favore del ricorrente di una somma a titolo di indennità di mancato preavviso. Avverso la decisione del giudice di prime cure l’Azienda Ospedaliere proponeva ricorso inanzi alla Corte di Appello che in accoglimento dell’appello principale rigettava la domanda proposta dal dipendente e condannava quest’ultimo a restituire all’Azienda le somme da questa corrisposte in esecuzione della sentenza appellata.
Il dirigente per la cassazione della sentenza impugnata, per il tramite del suo difensore, proponeva ricorso, basato su sette motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini accolgono il ricorso del dirigente medico licenziato dal direttore generale. I giudici di legittimità hanno respinto la ricostruzione della Corte Territoriale che aveva ritenuto non applicabile ai dirigenti l’articolo 55 del Dlgs 165/2001. Per gli ermellini infatti la responsabilità disciplinare è cosa diversa da quella dirigenziale e per essa valgono regole comuni a tutti i dipendenti. Spiega la Cassazione “allorquando l’amministrazione fa valere ragioni intrinseche di responsabilità disciplinare e non di responsabilità dirigenziale, anche per i dirigenti non può che trovare applicazione la disciplina generale di cui all’art. 55 del Dlgs n. 165 del 2001 (nel testo all’epoca vigente) e non anche quella di cui all’art. 21 dello stesso Dlgs”.
Pertanto “tutte le fasi del procedimento disciplinare sono svolte esclusivamente dall’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, il quale è anche l’organo competente all’irrogazione delle sanzioni disciplinari, ad eccezione del rimprovero verbale e della censura, con la conseguenza che il procedimento instaurato da un soggetto diverso al predetto ufficio è illegittimo e la sanzione è affetta da nullità, restando altresì escluso l’intervento nel procedimento del comitato dei garanti, che è previsto per il diverso caso della responsabilità dirigenziale”.
A conferma di ciò, “la ratio sottesa al citato art. 55 va individuata nell’esigenza di assoggettare ai medesimi organi disciplinari l’esame della condotta di tutti coloro – e quindi anche dei dirigenti – cui vengono contestati addebiti che, in ragione della natura subordinata del loro rapporto lavorativo, configurano un inadempimento agli obblighi scaturenti da detti rapporti, con esclusione quindi di quelle condotte che necessitano invece di giudizi che richiedono differenti criteri valutativi per avere ad oggetto non la configurabilità della responsabilità disciplinare dei dirigenti ma la responsabilità scaturente da un esercizio dei loro poteri del tutto inadeguato rispetto alla rilevanza delle funzioni ad essi attribuite”.
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