La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 31593 depositata il 14 novembre 2023, interviene in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ed unico centro di imputazione, riaffermando l’orientamento della stessa nelle ipotesi in cui il lavoratore riesce a dimostrare che le società del gruppo che operano nel sito costituiscono un unico centro d’imputazione giuridica d’interessi e quindi del rapporto di lavoro trova applicazione il requisito del numero di dipendenti che fa scattare la reintegra.
La vicenda ha riguardato una lavoratrice che era stata licenziata dalla società datrice di lavoro con la motivazione della soppressione del posto di lavoro. La lavoratrice impugnava il licenziamento in quanto riteneva tale motivo era in realtà inesistente e che fra la società datrice di lavoro e le altre due società, che svolgevano l’attività nello stesso sito, vi era un collegamento societario tale da integrare un unico centro di imputazione giuridica di interessi e quindi del rapporto di lavoro. Inoltre la dipendente impugnato il licenziamento produceva, nel corso del giudizio, a conferma della doglianza messaggi, del dirigente che si era dichiarato responsabile per entrambe le società, contenti indicazioni su come svolgere i propri compiti. Il Tribunale adito, cui la dipendente si era rivolto per ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento, il suo annullamento, l’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro considerato sussistente il requisito dimensionale in virtù dell’unico centro di imputazione di interessi fra le tre società, accoglieva l’impugnazione del licenziamento, ma rigettava quella di accertamento dell’unico centro di imputazione di interessi e del rapporto di lavoro. Avverso tale decisione la dipendente proponeva appello. La Corte territoriale accoglieva le doglianze della ricorrente e disponeva la sua reintegrazione nel posto di lavoro e condannava le tre società appellate al pagamento, in solido, dell’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto spettante dal licenziamento all’effettiva reintegrazione.
I giudici di appello richiamano l’orientamento della Corte Suprema secondo cui la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo presuppone da un lato l’esigenza di sopprimere un posto di lavoro e dall’altro l’impossibilità di diversa collocazione del lavoratore (repechage), considerata la sua professionalità, in altra posizione lavorativa analoga a quella soppressa; per cui sul datore di lavoro grava l’onere di allegare e provare fatti, anche indiziari, da cui possa desumersi l’impossibilità di una collocazione alternativa del lavoratore nel contesto aziendale;
Per i giudici territoriali quindi vi sono tutti gli elementi che la Corte di Cassazione ritiene sufficienti per dimostrare l’esistenza di un collegamento economico- funzionale fra imprese gestite da società del medesimo gruppo, che realizza di fatto un unico centro di imputazione giuridica del rapporto di lavoro, quali l’unicità della struttura organizzativa e produttiva, l’integrazione fra le attività delle imprese del gruppo e il correlativo interesse comune, il coordinamento tecnico e amministrativo- finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le attività delle diverse società verso uno scopo comune, l’utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società;
Avverso la decisione di secondo grado le tre società condannate propongono ricorso in cassazione fondato su tre motivi.
Gli Ermellini rigettano il ricorso in quanto le ricorrenti sollecitano una rilettura delle risultanze istruttorie inammissibile in sede di legittimità ed inoltre le società si limitano a riproporre le loro deduzioni in fatto – di cui non indicano alcun elemento di prova che in ipotesi fosse stato acquisito nei due gradi di merito e trascurato dalla Corte territoriale – e non investono con specifica censura tutta quella parte della motivazione, con cui i giudici d’appello hanno fatto riferimento a tanti elementi di fatto, ritenuti significativi dell’unicità del centro di imputazione di interessi.
Infine, per i giudici di legittimità “… Anche l’art. 18, co. 4, cit., infatti, prevede in prima battuta che, oltre alla reintegrazione, al lavoratore illegittimamente licenziato spetti “un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione”.
E’ vero che nel dispositivo della sentenza impugnata manca l’ulteriore specificazione del limite massimo delle dodici mensilità, invece previsto dal legislatore, ma tale omissione non produce alcun effetto invalidante sulla decisione …”
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