La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 26997 depositata il 21 settembre 2023, intervenendo in tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, ha ribadito che “… il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, non sussistendo una incompatibilità assoluta tra malattia e ferie, senza che a tale facoltà corrisponda comunque un obbligo del datore di lavoro di accedere alla richiesta, ove ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa; in un’ottica di bilanciamento degli interessi contrapposti, nonché in ossequio alle clausole generali di correttezza e buona fede, è necessario, tuttavia, che le dedotte ragioni datoriali siano concrete ed effettive (così, ex plurimis, Cass. civ., sez. lav., 14.9.2020, n. 19062). …”

La vicenda ha riguardato un lavoratore licenziato per il superamento del periodo di comporto ma intimato prima del suo superamento. Il dipendente impugnava il licenziamento. Il Tribunale adito aveva annullato il licenziamento intimato dalla società datrice di lavoro, condannandola anche al risarcimento, in favore del lavoratore, del danno biologico da mobbing. La società datrice di lavoro impugnava la decisione del giudice di prime cure. La Corte di appello in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla società rigettava la domanda di risarcimento del danno da mobbing e riduceva, inoltre, la condanna al pagamento delle differenze retributive, ma confermava nel resto la sentenza impugnata. Avverso la sentenza dei giudici di appello la datrice di lavoro proponeva ricorso in cassazione fondato su tre motivi.

Gli Ermellini dichiara inammissibile il ricorso.

I giudici di legittimità ricordano che “… il lavoratore assente per malattia non ha incondizionata facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, quale titolo della sua assenza, allo scopo di interrompere il decorso del periodo di comporto, ma il datore di lavoro, di fronte ad una richiesta del lavoratore di conversione dell’assenza per malattia in ferie, e nell’esercitare il potere, conferitogli dalla legge (art. 2109 c.c., comma 2), di stabilire la collocazione temporale delle ferie nell’ambito annuale armonizzando le esigenze dell’impresa con gli interessi del lavoratore, è tenuto ad una considerazione e ad una valutazione adeguata alla posizione del lavoratore in quanto esposto, appunto, alla perdita del posto di lavoro con la scadenza del comporto; tuttavia, un tale obbligo del datore di lavoro non è ragionevolmente configurabile allorquando il lavoratore abbia la possibilità di fruire e beneficiare di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto ed in particolare quando le parti sociali abbiano convenuto e previsto, a tal fine, il collocamento in aspettativa, pur non retribuita (così Cass. civ., sez. lav., 27.3.2020, n. 7566; e in termini esatti o analoghi id., 5.4.2017, 8834; id., 22.3.2005, n. 6143; id., 10.11.2004, n. 21385; id., 9.4.2003, n. 5521; id., 8.11.2000, n. 14490). …”