La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 49107 depositata il 6 dicembre 2013 intervenendo in materia di reati da omissioni contributive ha ritenuto legittimo il provvedimento di sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, disposto nei confronti di un imprenditore indagato per il reato di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000). Inoltre la Corte ha ritenuto di non dover censurare l’impugnata decisione del Tribunale del riesame che ha ravvisato la sussistenza del “fumus commissi delicti” nel senso che l’indagato non ha fornito prova “assoluta e convincente” dell’impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria per gravi difficoltà finanziarie.
La vicenda ha riguardato un amministratore di una società in difficoltà finanziarie che non aveva versato ritenute per oltre 170 mila euro. Il Gip, prima, ed il Tribunale del riesame poi avevano negato al PM il provvedimento di sequestro per equivalente. Il PM si era rivolto alla Corte Suprema che aveva ritenuto non ostativa all’adozione del provvedimento di sequestro la mancata indicazione nella richiesta del pm del valore dei beni da sottoporre a vincolo.
Il Tribunale del riesame, in sede di rinvio, richiamava quanto al fumus del contestato reato il proprio precedente provvedimento, sul punto non censurato dalla Corte Suprema e ritenendo che la crisi finanziaria della società non valeva ad escludere l’elemento soggettivo del contestato reato atteso che il dato relativo alla impossibilità assoluta a provvedere al versamento delle trattenute previdenziali non era dimostrato risultando piuttosto l’omissione predetta legata a scelte imprenditoriali di natura strategica.
L’indagato avverso la decisione del Tribunale proponeva ricorso, basato su un unico motivo di censura, alla Corte di Cassazione. La difesa lamentava la nullità per mancanza e illogicità della motivazione e la errata applicazione della legge penale e l’illegittimità del provvedimento cautelare per totale assenza del “fumus”. L’indagato, infatti, in qualità di amministratore della società, non aveva la disponibilità economica per provvedere al pagamento delle ritenute in contestazione e non aveva potuto comportarsi diversamente.
Per la difesa l’azienda in grave crisi il pagamento delle somme in questione avrebbe determinato l’impossibilità di pagare gli stipendi e avrebbe portato alla cessazione dell’attività con conseguente impossibilità di pagare i creditori. Il mantenimento in attività dell’esercizio poteva invece consentire il pagamento successivo delle ritenute a seguito dell’intervento di altri soci.
Gli Ermellini hanno rigettato il ricorso dell’indagato ritenendo non fondata la motivazione. Infatti i giudici di legittimità premettono che la questione dell’assoluta impossibilità dell’indagato ad adempiere l’obbligazione fiscale era stata già esaminata dal Tribunale del riesame che ha ritenuto “priva di una prova assoluta e convincente la tesi sostenuta dalla difesa, dovendosi piuttosto rapportare la omessa fatturazione a scelte strategiche”.
Ebbene, a giudizio delle Suprema Corte, il giudice del merito ha fornito “adeguata e logica motivazione sulla questione posta” sicché la decisione impugnata è risultata incensurabile in sede di legittimità, “tanto più in considerazione della natura cautelare del provvedimento di cui si discute – si legge in sentenza – e della conseguente valutazione sommaria circa la sussistenza del fumus del contestato reato”. In conclusione, il ricorso è stato rigettato.
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