Commissione Tributaria Regionale per la Toscana sez. 4 sentenza n. 63 depositata il 18 gennaio 2018
ACCERTAMENTO – REDDITOMETRO – PROVA DOCUMENTALE IN CASO DI REDDITOMETRO
Con sentenza emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Firenze, veniva accolto il ricorso del contribuente (omissis) avverso avviso di accertamento anno di imposta 2008 effettuato a seguito dell’applicazione di redditometro. L’ufficio aveva rideterminato il reddito dichiarato pari ad euro 4.809,00, portandolo ad Euro 83.007 872,16.
Sostiene la Commissione tributaria che avendo il contribuente dimostrato di possedere delle disponibilità finanziarie sul conto corrente compatibili con le spese sostenute (Il contribuente aveva proposto n corso sostenendo che dall’esame del conto corrente era risultato un versamento per una donazione indiretta di circa euro 90.000,00 e il ricavo della vendita di beni immobili per 220.000,00), e dovendosi ritenere, contrariamente a quanto affermato dall’ufficio, la sussistenza del “nesso eziologico” tra tali disponibilità finanziarie e le spese in virtù della contiguità temporale delle movimentazioni intervenute nell’anno di tassazione, l’accertamento doveva ritenersi infondato.
Procedeva a compensazione di spese.
Avverso la presente sentenza ha proposto appello l’agenzia delle entrate per i seguenti motivi:
secondo consolidato orientamento della Corte di Cassazione l’interessato, per assolvere l’onere della prova a suo carico, deve provare “la presenza e la disponibilità nel tempo dei redditi”. Il contribuente non avrebbe dimostrato la disponibilità nel tempo dei redditi. In particolare secondo l’ufficio sarebbe stata necessaria la prova che questi redditi fossero stati utilizzati per coprire le spese contestate. Ciò non sarebbe accaduto nel caso di specie perché attraverso l’esame del conto corrente risulterebbe che all’accredito sul conto della somma ricavata dalla vendita per euro 220.000,00 in data 31 luglio 2007, era seguita un’ uscita in data 2 settembre 2007 per un ammontare di euro 94.000, che neutralizzava l’effetto della precedente entrata.
Si è costituito a sua volta il contribuente resistendo all’appello e chiedendo la conferma della sentenza. Nel merito deduceva di aver dimostrato di aver incassato, da donazioni intrafamiliari la somma di euro 62.000,00 e dalla vendita di un appartamento di sua proprietà, l’importo di euro 220.000,00, impiegata solo parzialmente per la restituzione delle somme derivanti dai prestiti in precedenza ricevuti e quindi disponibile per la soddisfazione delle altre sue necessità di spesa.
Conseguentemente riteneva di aver compiutamente assolto l’onere della prova a suo carico.
Venivano inoltre avanzate istanze di accoglimento di questioni già dedotte con ricorso di primo grado e sulle quali il primo giudice non si era pronunciato, afferenti a profili di nullità dell’avviso di accertamento per violazione dell’articolo 12 comma 7 della legge 212 del 2000 e per difetto assoluto di motivazione, istanze tuttavia impropriamente qualificate quale appello incidentale.
In esito dell’udienza ascoltate le conclusioni delle parti, ritiene questa Commissione che la sentenza di primo grado non sia meritevole di riforma.
Invero il contribuente ha fornito la dimostrazione del possesso nel periodo considerato, di somme complessive, documentalmente accertate come giacenti sul conto corrente, che coprivano il maggior reddito sinteticamente accertato in base al precedente redditometro, somme già assoggettate a tassazione poiché provenienti da smobilizzi immobiliari.
Se è ben vero che come ribadito dall’agenzia delle entrate in una con la giurisprudenza in materia – Cass. civ. Sez. VI-5 Ordinanza, 28-08-2017, n. 20474 e Cass. civ. Sez. VI-5 Ordinanza, 23-06- 2017, n. 15785
“In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’Ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.”
Si deve però osservare come in base allo stesso orientamento sia sufficiente l’elemento della durata come genericamente sintomatico della destinazione della somma, proprio perché non è necessaria la rigorosa prova, estremamente gravosa per il contribuente, della stretta rispondenza tra reddito e spesa.
Cass. civ. Sez. VI-5 Ordinanza, 26-01-2016, n. 1332
“In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’Ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. n. 600/1973, art. 38, comma 6, nella versione vigente “ratione temporis”, attinente alla disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, oltre che all’entità ed alla durata del loro possesso, non richiede la prova rigorosa e puntuale dell’impiego proprio di detti redditi per l’acquisizione degli incrementi. Nello specifico caso di “transito endofamiliare del reddito”
In definitiva è sufficiente la prova del “possesso” di tali redditi per quella durata di tempo sufficiente a far presumere che egli li abbia impiegati come provvista per le spese e quindi ciò costituisce la prova “documentale” cui rimanda la disciplina normativa.
In altri termini il mero transito della disponibilità finanziaria non consente di certo di ritenere assolto l’onere dimostrativo del sostenimento delle spese afferenti gli indici di capacità contributiva, mentre è sufficiente la perdurante disponibilità per ritenere ratione temporis provata la correlazione citata.
Nel caso di specie il contribuente ha dimostrato la giacenza sul proprio conto di una somma proveniente da una vendita immobiliare in misura più che congrua rispetto al reddito accertato.
Dall’analisi dei movimenti del conto corrente emerge che i prelievi sono stati attinti dal medesimo conto sul quale erano giacenti tali disponibilità nell’anno considerato, eccedenti rispetto alle spese, e dunque egli ha assolto l’onere probatorio su lui incombente.
Va conseguentemente confermata la sentenza di primo grado, con condanna dell’appellante alla rifusione delle spese che si liquidano in euro 1.500,00 oltre accessori se dovuti.
P.Q.M.
La Commissione tributaria regionale di Firenze, rigetta l’appello, condanna la parte appellante al pagamento delle spese di lite che quantifica in euro 1.500,00 oltre eventuali oneri di legge.
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