La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 23237 depositata il 14 ottobre 2013 intervenendo in materia di prescrizione dei contributi previdenziali ha statuito che il termine di prescrizione dei contributi dovuti all’Inps si allunga a dieci anni purché l’atto interruttivo – consistente nella denuncia del lavoratore (o dei suoi superstiti) – intervenga prima dell’estinzione del diritto alla contribuzione (cioè prima del decorso del nuovo termine di cinque anni).
La sentenza in commento risulta di particolare interesse, occupandosi del termine per la presentazione della denuncia da parte del lavoratore e della relativa prescrizione in rapporto al cd. termine breve introdotto dalla legge 335/95.
Il fatto ha riguardato una società a cui veniva notificata una cartella di pagamento, da parte del concessionario, concernente il recupero contributi previdenziali dovuti all’INPS in riferimento al rapporto di lavoro subordinato.
La società impugna la cartella di pagamento inanzi al Giudice del lavoro ritenendo prescritto il credito dell’INPS. Il Tribunale accoglie la tesi del ricorrente ed annulla la cartella di pagamento. Avverso tale pronuncia, sia il concessionario che l’INPS, propongono ricorso inanzi alla Corte di Appello che, però, respinge l’appello proposto dall’INPS e dal concessionario. In particolare i giudici di appello ritengono di applicare il più recente indirizzo ermeneutico della Corte di cassazione secondo cui l’art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995, nel prevedere la riduzione del termine di prescrizione del diritto ai contributi di previdenza e di assistenza obbligatoria da decennale a quinquennale con decorrenza dalla data di maturazione del credito, è immediatamente efficace, non avendo introdotto alcun effetto sospensivo del decorso della prescrizione, sicché, “con riguardo ai contributi maturati precedentemente all’entrata in vigore della nuova normativa, la denuncia del lavoratore è idonea a mantenere il precedente termine decennale solo se sia intervenuta prima della scadenza del termine quinquennale, senza che rilevi che tale scadenza intervenga in epoca anteriore alla stessa entrata vigore della nuova disciplina, dovendosi escludere che possa operare il prolungamento del termine una volta che il credito contributivo risulti già prescritto”
Per la cassazione della sentenza della corte territoriale l’INPS ed il concessionario propongono ricorso, affidandosi ad un unico motivo di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini ritengono fondata la motivazione ed accolgono il ricorso. I giudici di legittimità richiamano due sentenze della Cassazione a Sezione Unite che hanno risolto alcuni contrasti in giurisprudenza. Infatti la prima sentenza (Cass. SU 4 marzo 2008, n. 5784), ha risolto il contrasto sulla idoneità, di atti interruttivi compiuti dopo la data di entrata in vigore della legge, a conservare il termine di prescrizione decennale. La seconda (Cass. SU 7 marzo 2008, n. 6173) – con specifico riferimento alla questione della conservazione della prescrizione decennale per i contributi maturati in epoca antecedente alla legge n. 335 del 1995, per effetto della denuncia o dell’accertamento ispettivo successivo a tale data – ha risolto il contrasto interpretativo insorto sul coordinamento dei commi 9 e 10 dell’art. 3 cit. affermando il seguente principio: “in materia di prescrizione del diritto ai contributi di previdenza e di assistenza obbligatoria, la disciplina posta dalla legge n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, comporta che, per i contributi relativi a periodi precedenti alla data di entrata in vigore di detta legge – salvi i casi il cui il precedente termine decennale di prescrizione venga conservato per effetto di denuncia del lavoratore, o dei suoi superstiti, di atti interruttivi già compiuti o di procedure di recupero iniziate dall’Istituto previdenziale nel rispetto della normativa preesistente – il termine di prescrizione è quinquennale a decorrere dall’1 gennaio 1996, potendo, però, detto termine, in applicazione della regola generale di cui all’art. 252 disp. att. cod. civ., essere inferiore se tale è il residuo del più lungo termine determinato secondo il regime precedente”.
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