Nel processo tributario è l’articolo 15 del D.Lgs. n. 546/1992 che disciplina il regolamento delle spese. Nel suddetto articolo vi è il principio generale di responsabilità per le spese di giudizio (principio di soccombenza).
Inoltre il comma 2-bis dell’art. 15 del d.lgs. n. 546/1992 richiama l’applicabilità dell’articolo 96, primo e terzo comma, c.p.c.per cui trova applicazione il principio di condanna al risarcimento del danno per responsabilità aggravata, che si aggiunge alla condanna del pagamento delle spese di lite.
Sul tema del regolamento delle spese di giudizio va precisato che:
- in caso di rinuncia al giudizio, il ricorrente deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo fra loro (art. 44, D. Lgs. n° 546/92);
- in caso di estinzione del processo per inattività delle parti, le spese del processo estinto restano a carico delle parti che le hanno anticipate (art. 45, D. Lgs. n° 546/92);
- in caso di estinzione del giudizio per definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge, le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate (art. 46, D. Lgs. n° 546/92);
- con l’ordinanza che decide sulle istanze cautelari, la Corte provvede sulle spese della relativa fase. Tale pronuncia conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito (art. 15, comma 2 quater, D. Lgs. n° 546/92);
- nelle controversie di cui all’art. 17 bis del D. Lgs. n° 546/92, le spese di giudizio sono maggiorate del 50% a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento (art. 15, comma 2 septies, D. Lgs. n° 546/92);
- le spese processuali restano a carico della parte che non abbia accettato, senza giustificato motivo, una proposta conciliativa della controparte, qualora il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta avanzata (art. 15, comma 2 octies, D. Lgs. n° 546/92). Per i ricorsi notificati a decorrere dal 16 settembre 2022, la nuova formulazione del comma 2 octies dell’art. 15 del D. Lgs. n. 546/92 (art. 4, comma 1, lett. d) della Legge 31 agosto 2022, n. 130), prevede che qualora una delle parti ovvero il giudice abbia formulato una proposta conciliativa non accettata dall’altra parte senza un giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del giudizio maggiorate del 50%, ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della conciliazione ad essa proposta. Mentre se la proposta di conciliazione avanzata dal giudice o da una delle parti si conclude, le spese processuali si intendono compensate, a meno che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione;
- la parte soccombente è tenuta al pagamento delle relative spese di giudizio, qualora siano accettate le ragioni già espresse in sede di mancato accoglimento dell’istanza di reclamo o mediazione (art. 17-bis, comma 9 bis del D. Lgs. n. 546/92);
- mentre la riscossione delle somme liquidate a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n° 446, se assistiti da propri funzionari, avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo, solo dopo che la sentenza che le dispone è passata in giudicato (art. 15, comma 2 sexies, D. Lgs. n° 546/92), per il contribuente la sentenza è immediatamente esecutiva ai fini del recupero delle spese di lite.
I giudici di legittimità hanno costantemente affermato, in tema di spese processuali, che “…in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e il suddetto criterio non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole” ed ancora, sempre con riferimento al regolamento delle spese processuali, “il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere
discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di
soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso degli altri presupposi previsti dall’art. 92 c.p.c.” (Cass. Sez. Un., n. 11453/2022; Cass., n. 18128/2020; n. 19613/2017 ed altre).
[…] la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti, rientrante nel potere discrezionale del giudice di merito, per cui questi non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione (Cass. Sez. Un., n. 14989/2005; Cass., n. 18173/2008; n. 2/09/2004, n. 17763/2004; n. 9840/1996). (Cass. Sez. Unite sentenza n. 4040 del 2023) …”
Spese processuali rideterminazione in appello
La Suprema Corte ha statuito il principio di diritto secondo cui il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite, poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale (cfr., fra le numerosissime, Cass. nn. 6259 del 2014, 11423 del 2016, 9064 del 2018, 27056 del 2021). (Cass. ordinanza n. 25306 del 2023) (cfr., ex plurimis, Cass. n. 9064 del 2018). (Cass. ordinanza, sez. V, n. 10575 del 2023)
Inoltre per i giudici del Supremo consesso “… il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo (della lite, poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass., ord., 12/04/2018, n. 9064; Cass. 1/06/2016, n. 11423; Cass. 30/08/2010, n. 18837). (Cass. ordinanza n. 27056 del 2023; Cass. sentenza, sez. V, n. 34013 del 2023) …”
I giudici di legittimità nel ribadire il principio di diritto secondo cui “… Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte (come nel caso di specie) della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione. …” hanno ulteriormente che “… Del resto, nel disporre la compensazione integrale delle spese relative ai gradi di merito, la CTR non ha violato l’altro principio secondo cui nel regime normativo posteriore alle modifiche introdotte all’art. 91 c.p.c. dalla l. n. 69 del 2009, in caso di accoglimento parziale della domanda il giudice può, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma questa non può essere condannata neppure parzialmente a rifondere le spese della controparte, nonostante l’esistenza di una soccombenza reciproca per la parte di domanda rigettata o per le altre domande respinte, poiché tale condanna è consentita dall’ordinamento solo per l’ipotesi eccezionale di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa. (Cass. ordinanza, sez. V, n. 19784 del 2023) …”
Altra ipotesi regolamentata dai precedenti degli Ermellini riguarda la circostanza in cui “… il giudice di appello, che riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, in difetto di una esplicita rinuncia della parte risultata poi vittoriosa deve procedere, anche d’ufficio, ad un nuovo completo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo dell’intera lite, ciò perché, per l’effetto devolutivo dell’appello, la valutazione della soccombenza opera in base ad un criterio unitario e globale;
proprio in applicazione del suddetto principio, il giudice del gravame, avendo riformato la sentenza del giudice di primo grado in senso sfavorevole alla contribuente, ha ritenuto di porre a carico della medesima anche le spese di lite relative al suddetto giudizio, sicchè, infine, è questa la statuizione definita presa dal giudice del gravame in ordine alla questione del pagamento delle spese di lite in esame per la quale, sotto il profilo motivazionale, la sentenza ora censurata ha fatto espresso richiamo al principio della soccombenza; (vd. Cass. Civ., 18 marzo 2014, n. 6259; Cass. ordinanza n. 40018 del 2021) …”
In tema di spese processuali, nella ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, la loro modifica può essere disposta solo su richiesta di parte, come da principio di diritto statuito dalla Corte Suprema secondo cui «Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, poiché l’onere delle spese medesime deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite. Qualora, invece, la sentenza di primo grado sia stata confermata, la decisione del giudice di primo giudice sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo di impugnazione (ex plurimis: Cass. n. 58 del 2004 n. 12551 del 1992). (Cass. ordinanza n. 14244 del 2021)
Estinzione del giudizio e soccombenza virtuale
L’art. 44 d.lgs. n. 546/92, al comma 1, prevede che il processo si estingue per rinuncia al ricorso, ed al comma 2 che il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro.
Il successivo art. 46 contempla poi l’ipotesi dell’estinzione (parziale o totale) del giudizio nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate.
Per cui anche nelle ipotesi di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, trova applicazione del principio di soccombenza. L’estinzione del giudizio per cessata materie del contendere si configura in tutte le ipotesi in cui sia venuto meno l’interesse a coltivare il contenzioso per fatti sopravvenuti che abbiano eliminato la situazione di contrasto tra le parti.
La soccombenza virtuale si configura nelle ipotesi in cui l’annullamento in autotutela non si realizza come adempimento spontaneo, ma segue alla proposizione del ricorso in riassunzione. In questi casi trova applicazione il principio espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 274 del 12 luglio 2005, secondo il quale “nelle ipotesi di cessazione della materia del contendere per casi diversi da quelli di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge, la statuizione di cessazione della materia del contendere comporta l’obbligo per il giudice di provvedere sulle spese processuali del giudizio secondo il principio di soccombenza virtuale”
Spese processuali e soccombenza parziale o reciproca
La Corte di Cassazione a sezioni unite con la sentenza n. 32061 depositata il 31 ottobre 2022, in merito alla condanna alle spese in ipotesi di soccombenza parziale o reciproca, ha statuito il seguente principio di diritto secondo cui “… in tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, secondo comma, c.p.c. …”
[…]
il giudice può, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., ed in applicazione del cosiddetto principio di causalità, escludere la ripetizione di spese sostenute dalla parte vittoriosa ove le ritenga eccessive o superflue, ma non anche condannare la stessa parte vittoriosa ad un rimborso di spese sostenute dalla controparte, indipendentemente dalla soccombenza, poiché tale condanna è consentita dall’ordinamento solo per l’ipotesi eccezionale (la cui ricorrenza richiede una specifica ed espressa motivazione) in cui tali spese siano state causate all’altra parte attraverso la trasgressione del dovere di cui all’art. 88 c.p.c.; ne consegue che, qualora la parte attrice sia rimasta vittoriosa in misura più o meno significativamente inferiore rispetto all’entità del bene che attraverso il processo ed in forza della pronuncia giurisdizionale si proponeva di conseguire, e la parte convenuta abbia adottato posizioni difensive concilianti o di parziale contestazione degli avversari assunti, possono ravvisarsi (secondo il discrezionale apprezzamento, ad opera del giudice, del loro vario atteggiarsi) i giusti motivi atti a legittimare la compensazione, pro quota o per intero, delle spese tra le parti e non anche un’ipotesi di soccombenza reciproca (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. III, 19 ottobre 2015, n. 21083; 21 marzo 1994, n. 2653; Sez. I, 23 gennaio 2012, n. 901; Sez. lav., 9 aprile 1986, n. 2493).
Secondo tale impostazione, la nozione di soccombenza, che ai sensi dello art. 91 c.p.c. costituisce il presupposto della condanna alle spese, si identifica esclusivamente con il rigetto integrale della domanda, e non risulta pertanto integrata ove con la sentenza venga liquidata una somma sensibilmente inferiore a quella richiesta dalla parte: la mera resistenza del convenuto alla pretesa dell’attore, in quanto eccessiva o solo parzialmente fondata, anche quando trova consenso nella statuizione del giudice, che accolga soltanto in parte la domanda, non si trasforma infatti in domanda riconvenzionale, e non può quindi dar luogo alla soccombenza reciproca, la quale presuppone invece una pluralità di pretese contrapposte, totalmente o parzialmente accolte o rigettate dal giudice, con la conseguente attribuzione di vantaggi e svantaggi rispettivamente a favore ed a carico di entrambe le parti. Il criterio della soccombenza, ai fini dell’attribuzione dell’onere delle spese processuali, viene poi ritenuto non frazionabile in relazione all’esito delle varie fasi del giudizio, dovendo essere riferito in modo unitario e globale all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole (cfr. Cass., Sez. VI, 23 marzo 2016, n. 5820; 18 marzo 2014, n. 6259; Sez. III, 28 settembre 2015, n. 19122; 12 maggio 2015, n. 9587). …”
Lite temeraria
Il comma 2-bis dell’art. 15 con il rinvio esplicito ai comma primo e terso dell’art. 96 c.p.c., come modificato dalla legge n. 69/2009, consente l’applicazione, in tema di spese con il loro raddoppio, della c.d. “lite temeraria”. La nozione di “lite temeraria” è contenuta nel primo comma dell’art. 96 c.p.c., infatti dispone che “… Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza. …”
Spese processuali e mancata adesione a proposto conciliativa
Il comma 2-octies dell’art. 15 cit. prevede una maggiorazione delle spese processuali quando una delle parti ovvero il giudice abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dall’altra parte senza giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del giudizio maggiorate del 50 per cento, ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata. Se e’ intervenuta conciliazione le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione