AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 27 dicembre 2018 n. 134
Trattamento fiscale applicabile al reddito prodotto da una ricercatrice dell’European Molecular Biology Laboratory fiscalmente residente in Italia – Interpello articolo 11, comma 1, lettera a), legge 27 luglio 2000, n. 212
Con l’interpello specificato in oggetto è stato esposto il seguente
Quesito
L’istante è stata residente dal 01/01/2017 al 09/03/2017 in Gran Bretagna e dal 10/03/2017 al 31/12/2017 a Trieste. Durante la permanenza nel Regno Unito ha percepito, per la propria attività di ricercatrice presso la European Molecular Biology Laboratory (EMBL), la somma complessiva netta di Lira Sterlina ……
Detta somma è la risultante del seguente conteggio: stipendio lordo al quale vengono detratti gli importi relativi alla: tassa interna, contributo sanitario, contributo pensione, assicurazione vita e assicurazione vita coniuge (………).
Considerato che per l’anno 2017 l’istante ha l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi si pone il problema della determinazione del reddito fiscalmente imponibile, con particolare riferimento alla natura della “tassa interna” (internal tax) applicata allo stipendio lordo.
La “tassa interna” è contemplata dall’art. 15 dell’accordo sottoscritto, in data 26/07/1994, tra il Governo del Regno Unito e l’EMBL, che così recita:
” Articolo 15 – Tassa sul Reddito
1. Sotto le condizioni ed in base alla procedura determinata dal Consiglio, i membri dello staff saranno soggetti ad una tassa interna effettiva, a beneficio del Laboratorio, sui salari ed emolumenti pagati dal Laboratorio. Dalla data in cui questa tassa sarà applicata, questi salari ed emolumenti saranno esenti dalla tassa sul reddito del Regno Unito, ma il Governo si riserverà il diritto di considerare questi salari ed emolumenti allo scopo di valutare l’ammontare della tassazione da applicare al reddito da altre fonti.
2. Nella misura in cui il Laboratorio applicasse il sistema per il pagamento di pensioni e vitalizi a precedenti membri dello staff, le disposizioni del paragrafo 1 di questo articolo non si applicheranno a tali pensioni e vitalizi.”
Tale articolo statuisce, quindi, che i salari e gli emolumenti corrisposti dall’EMBL sono esenti dalla tassa nazionale sul reddito (income tax), ma sono sottoposti ad una tassa interna a beneficio dello stesso ente erogatore.
Il dubbio riguarda il riconoscimento di tale tassa interna, se cioè la stessa, ai fini dichiarativi, debba essere detratta dalla remunerazione/salario lordo, congiuntamente con le ritenute denominate “contributo sanitario”, “contributo pensione”, “assicurazione vita” e “assicurazione vita coniuge“.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’istante ritiene che la tassa interna debba essere detratta dalla remunerazione/salario lordo, congiuntamente con le ritenute denominate “contributo sanitario” e “contributo pensione”.
Tale impostazione trova giustificazione nel fatto che l’eventuale tassazione applicata al salario al lordo di detto importo comporterebbe un onere di natura fiscale gravante su di una somma, la tassa interna, che non ha natura reddituale, andando così contro il dettato Costituzionale dell’art. 53, capacità contributiva.
Pertanto, proprio perché non si tratta di un’imposta sul reddito (income tax), detto importo non concorrerà a formare il credito d’imposta, così come previsto dall’art. 24 della Convenzione tra il Governo della Repubblica Italiana ed il Regno Unito per evitare le doppie imposizioni.
Infine, l’istante ritiene che la ritenuta per l’assicurazione vita trovi collocazione tra gli oneri deducibili, mentre la ritenuta per l’assicurazione vita coniuge non trovi alcun riconoscimento, in quanto il coniuge non risulta essere a carico della contribuente.
Parere dell’agenzia delle entrate
In via preliminare, si evidenzia che l’accertamento dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale costituisce una questione di fatto che non può essere oggetto di istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 (cfr. circolare n. 9 del 1° aprile 2016).
Nel seguito, pertanto, si forniscono alcune indicazioni di carattere strettamente interpretativo sulle disposizioni applicabili al caso prospettato.
Per individuare la nozione di residenza fiscale valida ai fini dell’applicazione delle disposizioni delle Convenzioni contro le doppie imposizioni e, in particolare, della Convenzione tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni ratificata dalla legge 5 novembre 1990, n. 329 (di seguito la Convenzione), è necessario fare riferimento alla legislazione interna degli Stati contraenti.
Si osserva, in particolare, come la Convenzione stabilisca, all’articolo 4, paragrafo 1, che “l’espressione “residente di uno Stato contraente” designa ogni persona che, in virtù della legislazione di designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato, a motivo del suo domicilio, della sua residenza (…) o di ogni altro criterio di natura analoga”.
A tal riguardo l’articolo 2, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito TUIR) considera residenti in Italia “le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile”.
Le tre condizioni sopra citate sono tra loro alternative, essendo sufficiente che sia verificato, per la maggior parte del periodo d’imposta, uno solo dei predetti requisiti affinché una persona fisica venga considerata fiscalmente residente in Italia e, viceversa, solo quando i tre presupposti della residenza sono contestualmente assenti nel periodo d’imposta di riferimento tale persona può essere ritenuta non residente nel nostro Paese.
Si segnala, inoltre, che l’articolo 2, comma 1, del TUIR dispone che sono soggetti passivi d’imposta tutte le persone fisiche residenti e non residenti nel territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza.
Si rappresenta, infine, che l’articolo 3, comma 1, del TUIR prevede che, per le persone residenti in Italia, l’imposta si applica sull’insieme dei redditi percepiti, indipendentemente da dove questi siano prodotti, mentre per i soggetti non residenti l’imposta si applica solo sui redditi prodotti nel nostro Paese.
Con riferimento alla fattispecie in esame, si evidenzia che, sulla base di quanto rappresentato in istanza (residenza dal 01/01/2017 al 09/03/2017 in Gran Bretagna e dal 10/03/2017 al 31/12/2017 a Trieste), la signora X deve essere considerata per il 2017 come soggetto fiscalmente residente nel nostro Paese, non essendo integrati per la maggior parte del periodo d’imposta i requisiti normativamente previsti per essere considerato residente all’estero.
In applicazione del sopra illustrato “Worldwide taxation principle”, contenuto nell’articolo 3 del TUIR, l’istante è tenuto ad assoggettare ad imposizione in Italia i redditi posseduti, ovunque prodotti.
Ciò detto, occorre, altresì, considerare la normativa internazionale, in particolare quella contenuta nella citata Convenzione tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni.
Al riguardo, si evidenzia che ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della Convenzione prevede l’assoggettamento ad imposizione concorrente nello Stato della fonte del reddito ed in quello di residenza del contribuente, dei redditi da lavoro subordinato.
In tale ipotesi, tuttavia, l’istante avrebbe la possibilità di evitare l’eventuale doppia imposizione sul reddito, sulla base di quanto previsto l’articolo 24, paragrafo 3, della Convezione, ai sensi del quale “Se un residente dell’Italia possiede elementi di reddito che sono imponibili nel Regno Unito, l’Italia nel calcolare le proprie imposte sul reddito … può includere nella base imponibile di tali imposte detti elementi di reddito, a meno che espresse disposizioni della presente Convenzione non stabiliscano diversamente. In tal caso, l’Italia deve dedurre dalle imposte così calcolate l’imposta sul reddito pagata nel Regno Unito, ma l’ammontare della deduzione non può eccedere la quota di imposta italiana attribuibile ai predetti elementi di reddito nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo”.
L’ordinamento fiscale interno, quale rimedio alla doppia imposizione, ha adottato il meccanismo del credito d’imposta (c.d. “foreign tax credit”) sui redditi prodotti all’estero dai propri residenti, previsto dall’articolo 165 del TUIR.
Nella fattispecie in esame, tuttavia, l’istante ha rappresentato che, in virtù di un accordo sottoscritto il 26/07/1994, tra il Governo del Regno Unito e l’ente presso cui la signora X ha svolto la propria attività di ricercatrice (European Molecular Biology Laboratory – EMBL), i redditi esteri in questione sono esenti nel predetto Paese da imposizione sul reddito.
In forza del citato accordo, però, i redditi prodotti in Gran Bretagna dall’istante, sono soggetti ad una “tassa interna” per il finanziamento dell’ente con il quale lo stesso aveva in corso il contratto di lavoro.
Ciò detto, si ritiene che le somme trattenute a tale titolo non possano considerarsi quale imposte sul reddito.
La suddetta “tassa interna” non risulta, pertanto, accreditabile in Italia né ai fini dell’articolo 165 del TUIR né dell’articolo 24, paragrafo 3, della Convenzione ed è, pertanto, evidente che, in relazione a tale prelievo, non possa essere riconosciuto nel nostro Paese il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero.
D’altra parte, in mancanza di una disposizione interna o convenzionale che consenta di dedurre dal reddito le somme trattenute dal datore di lavoro con finalità di finanziamento interno, le stesse, ai fini della tassazione in Italia, non possono essere scomputate dal reddito erogato dall’EMBL, il quale, perciò, deve essere dichiarato dall’istante al lordo di tale importo.
L’istante chiede poi, in sede di predisposizione della dichiarazione dei redditi da presentare in Italia, quale sia il trattamento applicabile agli importi trattenuti dall’EMBL a titolo di “contributo pensione”, “contributo sanitario”, “contributo assicurazione vita” e “contributo assicurazione vita del coniuge”:
Considerato che all’interno della Convenzione non risultano disposizioni utili per risolvere tale questione interpretativa, la soluzione deve essere ricercata nell’ambito dell’ordinamento interno, verificando se gli importi in questione concorrano o meno a formare il reddito di lavoro dipendente o possano essere ricondotti tra gli oneri deducibili dallo stesso o detraibili dall’imposta, tenuto conto che trattasi di importi versati all’estero.
Al riguardo l’Agenzia delle entrate, con la circolare n. 17/E del 24 aprile 2015, nella risposta 4.7, ha fornito chiarimenti in merito alla corretta modalità di indicazione nella dichiarazione dei redditi italiana del reddito corrisposto dal datore di lavoro estero, ossia se l’importo corrispondente debba essere indicato al netto o al lordo dei contributi previdenziali esteri obbligatori.
In particolare, in tale documento di prassi, viene inizialmente richiamata la circolare n. 9/E del 2015, laddove è stato precisato che “…il reddito estero deve essere assunto nell’ammontare determinato secondo le regole interne relative alle varie categorie, con l’unica eccezione dei redditi dei terreni e dei fabbricati situati al di fuori del territorio italiano che, invece, rilevano – ai sensi dell’articolo 70, comma 2, del TUIR – secondo la valutazione effettuata nello Stato estero”.
Dopo tale richiamo, la citata circolare n. 17/E ha chiarito che “Pertanto, considerato che l’articolo 51, comma 2, lett. a), del TUIR, in sede di determinazione del reddito di lavoro dipendente, stabilisce, tra l’altro, che “Non concorrono a formare il reddito: … i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge…”….”, si è dell’avviso che il reddito estero debba essere dichiarato al netto dei contributi previdenziali obbligatori versati nello Stato estero.
A supporto di tale soluzione interpretativa, sempre la medesima circolare 17/E ha, infine, evidenziato che il Ministero delle finanze con circolare n. 326 del 1997 aveva precisato che “tenuto conto che il legislatore ha fissato la disciplina dei contributi distinguendo soltanto i contributi obbligatori versati in ottemperanza a una disposizione di legge da quelli che, invece, tali non sono, si deve ritenere che [ai fini della loro deducibilità] sia irrilevante la circostanza che detti contributi, obbligatori o “facoltativi”, siano versati in Italia, sempreché le somme e i valori cui i contributi si riferiscono siano assoggettate a tassazione in Italia”.
Pertanto, in relazione alla fattispecie in esame, nel presupposto che il contributo pensione”, il “contributo sanitario”, il “contributo assicurazione vita” e il “contributo assicurazione vita del coniuge”, siano riconducibili ai contributi previdenziali e assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge, si ritiene che, ai sensi del citato articolo 51, comma 2, lettera a) del TUIR non concorrano a formare il reddito di lavoro dipendente, che, quindi dovrà essere dichiarato nel nostro Paese al netto di tali oneri.
Laddove non si configuri tale ipotesi, la scrivente è dell’avviso che il “contributo pensione” e il “contributo sanitario” costituiscano, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. e), del TUIR, oneri deducibili dal reddito complessivo, quali “contributi previdenziali e assistenziali … versati facoltativamente alla gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza.”.
In relazione, invece, al contributo “assicurazione vita” trattenuto dall’EMBL, si rileva che il Ministero delle Finanze con circolare n. 137/E del 15/05/1997, nella risposta 2.3, aveva precisato che, nel rispetto delle condizioni normativamente previste, erano detraibili ai sensi dell’allora articolo 13-bis, comma 1, lettera f), del TUIR, i premi di assicurazione versati all’estero da un cittadino fiscalmente residente in Italia.
Si ritiene che tali chiarimenti possano considerarsi ancora attuali e, conseguentemente, nella fattispecie in esame, riconoscere la detraibilità delle somme trattenute a titolo di “assicurazione vita” entro i limiti e alle condizioni previste dall’art. 15 (ex art. 13-bis), comma 1, lettera f) del TUIR .Ad analoghe conclusioni non si perviene in relazione al “contributo assicurazione vita del coniuge”, dal momento che la disposizione, da ultimo citata, riconosce la detraibilità dell’onere in esame solo se sostenuto nell’interesse di familiari fiscalmente a carico.
Dal momento che la stessa contribuente istante afferma che il coniuge non è fiscalmente a suo carico, nessun beneficio fiscale può essere riconosciuto in relazione al premio di assicurazione sulla vita versato in favore di quest’ultimo.
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